Per un teatro pubblico
Teatro pubblico uguale a teatro commerciale.
Voci arrivavano dai lavori della Commissione consultiva per il teatro da tempo: si sta cercando di penalizzare la scena pubblica, quello che punta sul rischio culturale più che sugli incassi; si sta procedendo verso un’equiparazione tra teatro pubblico e teatro commerciale. Come? Con gli articoli del nuovo decreto ministeriale, licenziato il 23 dicembre 2024 (leggi qui) e con le scelte della Commissione consultiva che attribuisce i punteggi di qualità e determina la posizione dei teatri nel sistema (Teatri nazionali, Teatri delle città di rilevante interesse culturale ossia, Centri di produzione ecc.) e quindi i relativi finanziamenti.
Erano solo voci. Poi il 13 giugno, durante la conferenza stampa di presentazione della stagione 2025-2026, la Fondazione Teatro Metastasio di Prato è uscita allo scoperto con un documento firmato dal presidente, l’antropologo Massimo Bressan, e dal direttore generale, il regista pluripremiato Massimiliano Civica (leggi qui il documento). Si avvertiva che eravamo di fronte a un attacco al teatro pubblico:
Il nuovo decreto ministeriale entrato in vigore quest’anno introduce due rilevanti novità per la vita dei teatri pubblici:
- I teatri che ricevono finanziamenti pubblici da parte dello Stato non hanno più l’obbligo di proporre un’offerta di spettacoli di alta qualità e improntati al rischio artistico.
- L’inserimento, tra i criteri di valutazione del lavoro svolto da un teatro pubblico, della “congruità gestionale”, criterio valutativo che si articola in due parametri: il rapporto tra il costo totale dell’attività e il numero di spettatori; il rapporto tra gli incassi totali dell’attività e il numero di spettatori.
Giovedì 19, infine, è scoppiata la bomba, con la dimissione di tre membri della Commissione, contrari a un pesante declassamento “per ragioni pretestuose” del Teatro Nazionale della Toscana. I tre scrivono nella lettera di dimissioni al ministro Giuli di aver rilevato “l’impossibilità di costruire, all’interno della Commissione, un percorso condiviso ed equilibrato nella valutazione dei vari Organismi teatrali richiedenti”.
Alberto Cassani, Carmelo Grassi e Angelo Pastore rappresentavano le diverse componenti della Conferenza unificata degli enti locali. Le loro dimissioni sono state una reazione all’attacco della maggioranza (di centro destra) della Commissione alla nomina a direttore del Teatro di Toscana di una figura di intellettuale dichiaratamente di sinistra come Stefano Massini, scrittore tradotto in 24 lingue, primo vincitore del Tony Award per Lehman Trilogy. Un attacco al suo programma. Da diverse fonti, inoltre, apprendiamo che corrono il rischio di declassamento (passare da una categoria superiore a una inferiore, con decurtazione pesante dei contributi) o comunque di abbassamento sostanziale dei punteggi sulla qualità artistica – che pure concorrono all’entità dei finanziamenti – realtà importanti, votate al rapporto con il territorio e alla ricerca di un teatro di qualità e rischio, come i Teatri di Bari, Teatro di Sardegna, Teatro Due di Parma, Metastasio di Prato; anche Emilia Romagna Teatro potrebbe subire un ridimensionamento del sostegno economico statale.

La maggioranza, a colpi di maggioranza
Anche nella Commissione consultiva per la danza sta succedendo, per ora con esiti meno clamorosi, qualcosa di simile: si procede a colpi di maggioranza, ignorando le richieste di confronto da parte di consiglieri di minoranza (Paolo Dalla Sega e Nicola Arrigoni), che non possono fare altro che chiedere di mettere a verbale il loro dissenso.
Racconta Alberto Cassani, ex assessore alla cultura di Ravenna e responsabile del progetto della città per Capitale europea della cultura del 2019: “Da tempo c’era tensione, opinioni nettamente diverse e spesso contrastanti e si faticava a giungere a soluzioni condivise. C’era la volontà da parte della maggioranza di compiere forzature. La loro idea era che il sistema andasse smontato, facendo entrare nuovi soggetti e uscire soggetti storici. Volevano si attuasse un ricambio, nella maggior parte dei casi non fondato su valori artistici veri e condivisi.
Si favoleggia per esempio – aggiungo io – che nei “Progetti speciali”, da sempre esposti a ogni arbitrio, la maggioranza stesse facendo di tutto per far finanziare una compagnia amatoriale di centurioni.
Continua Cassani: “Si sta cercando di rendere marginale il concetto di innovazione, sia nella distribuzione dei soggetti nelle diverse caselle (Teatri nazionali, Teatri delle città ecc.) sia nella valutazione, facendo pesare i risultati economici nella considerazione della qualità artistica. Abbiamo assistito, sulla base degli effetti del decreto, all’entrata di soggetti commerciali come il teatro napoletano Diana Or.i.s. nella categoria “Centri di produzione, capienza 450 spettatori” (la stessa dove si trova un centro di qualità internazionale come Ravenna Teatro, ndr.). Nel decreto è stato ridimensionato, sempre ai fini del sostegno dello stato, il finanziamento di comuni e regioni: prima valeva quanto sponsorizzazioni e incassi, ora la proporzione a favore di questi ultimi è di quattro-cinque a uno”.
Ecco l’equiparazione del teatro pubblico a quello commerciale. Quest’ultimo è rispettabilissimo, ma non si vede perché debba essere finanziato con soldi della comunità (dove va il tanto sbandierato “rischio d’impresa”?). Mentre il teatro pubblico è un investimento, anche in perdita, per produrre un altro tipo di “ricchezza”: il benessere culturale dei cittadini, il dibattito, l’incontro, lo scambio di idee, per far crescere la società, la cittadinanza, la consapevolezza attraverso la bellezza e la conoscenza,
Spendere poco e incassare tanto, questo è il problema!
Il documento di Prato è molto chiaro nel segnalare cosa può succedere in base al criterio della “congruità gestionale”: i teatri saranno costretti a spendere meno, investendo solo su nomi di richiamo, riducendo le paghe degli artisti e dei lavoratori, puntando su recital di artisti famosi, accompagnati da allievi (sottopagati o non pagati). La qualità generale decadrà.
Quello che sta avvenendo per il teatro, settore – se volete – marginale nella vita del paese, ricalca le orme di ciò che è avvenuto per il cinema d’arte e per istituzioni ben più ‘centrali’, la scuola, l’università, la sanità: managerialità, sussidiarietà, tagli, sostanziale messa in crisi del sostegno pubblico, con la prospettiva dello smantellamento. Nella Commissione è accaduto quello che vediamo ogni giorno in parlamento: l’annullamento della dialettica con l’opposizione e rifiuto di ogni istanza non allineata.
In questo si rivela, anche nel piccolo mondo del teatro, la zampata del centro-destra, il suo procedere a colpi di maggioranza. Ancora dal documento di Prato: “I teatri pubblici ‘non rendono’, non ‘fanno profitto’, sono solo costi senza tornaconto economico”. Perciò devono essere riportati alle ragioni della maggioranza, della “produttività”. In modo miope, disinvestendo sul futuro della società. Offrendo repertori stantii, visti e rivisti, che diano l’impressione di condividere la cultura senza affrontare nessun rischio.

Scenari
Cosa succederà ora nella Commissione? Il ministero chiederà alla Conferenza unificata degli enti locali di nominare altri membri? O procederà come se niente fosse accaduto, e andrà avanti con i commissari rimasti al loro posto e con questa politica dissennata. E i teatri? Il pericolo è sempre che per quieto vivere si accontentino delle briciole. Intanto l’Agis, Associazione generale dello spettacolo, famosa per i suoi atteggiamenti alla Ponzio Pilato, senza entrare nel merito bruciante delle questioni “auspica un clima di distensione e continuità operativa”.
A Firenze, in difesa del Teatro Nazionale e della programmazione e della figura di Stefano Massini, sono intervenuti la sindaca e parlamentari di Pd e di Alleanza Verdi e Sinistra. Ha dichiarato il deputato Pd Federico Gianassi. “Il Comune di Firenze aveva dato il via alla nuova era della Fondazione individuando Stefano Massini, figura di grande e indiscutibile valore, alla guida del Teatro della Pergola. Cosa sta succedendo ora? È in atto una ritorsione politica rispetto alle libere e autonome scelte fatte dai soci fondatori della Fondazione solo perché il ministero della Cultura ne pretendeva altre”. Il programma contestato, “si dice” con una drastica riduzione di 20 punti di qualità, Massini e la sindaca lo hanno presentato sulla scalinata di Palazzo Vecchio, davanti a una platea fittissima di cittadini, per chiamarli alla difesa del loro teatro.
Prato risponde intitolando la stagione “In Compagnia”, tenendo bassi i pressi dei biglietti, producendo spettacoli di qualità con lunghi tempi di produzione, scommettendo sul nuovo, sulla ricerca, puntando su artisti capaci di interpretare il presente.
La cultura non è un lusso e non può essere sottoposta alle oscillazioni e agli arbitri del sistema politico, anche quando questi si nascondono dietro “regole” decretate da una maggioranza, specie se questa è incapace di dialogare. La cultura, l’arte, deve essere ricerca, innovazione, fiducia nelle energie imprevedibili, impresa collettiva e pubblica, in cui si mettono a frutto le risorse di tutti. Perciò la rottura di questi giorni può essere fertile: perché può, deve portare, a un ripensamento globale di un sistema che si trascina arbitrario e asfittico. Peraltro, da sempre senza una legge condivisa.
