Margherita Moscardini, "Mahallat el-Ghouta 94, Block 8, District 4, dal progetto The Fountains of Za’atari", 2019

11 Maggio 2023
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Nel Parco Alcide Cervi di Reggio Emilia, dal lato verso Via Gazzata, si può vedere una lastra di marmo inclinata che si trova appoggiata su un bel prato. Dalla lastra, se la fontana è in funzione, guizza preciso uno zampillo di acqua. Se sei un bambino e indossi degli stivali, sentirai un richiamo irresistibile a salirci sopra per scalarla: puoi farlo, nessuno te lo impedisce, non ci sono recinti o allarmi, è lì anche per questo, per te. Il suo dorso, dove camminerai, è irregolare e ruvido. Quando arrivi in cima, se guardi che cosa c’è di sotto, ti accorgerai che la lastra sta in pendenza perché l’asse culmina in un cilindro di marmo, che poggia a terra. Tu, bambino, forse, potresti apprendere che si tratta di una fontana rovesciata, ma per te ha tutto l’aspetto di un’isola. Casomai quest’isola dovesse diventare nel gioco una zattera, una nave, o la casa che possiedi, allora la tua attenzione potrebbe cadere su un particolare, cioè una scritta incisa sopra, al fondo della lastra. Se non sapessi leggere, il suo significato potrebbe essere qualunque: sarà parte del tuo lavoro inventarlo. Nel caso, invece, in cui tu sia capace di leggere, potrai sillabare il nome e l’indirizzo di chi ha progettato la fontana. Un signore di Za’atari dal nome esotico.

La storia della fontana, se la vuoi inseguire, porta molto lontano da qui. Fino, appunto, a Za’atari, un campo profughi che è stato allestito a nord della Giordania, nel 2012, per ospitare i cittadini siriani che fuggivano dalla guerra. In due anni quel riparo di fortuna fatto di piccole baracche è diventato una vera e propria città di 150.000 abitanti – più di Bergamo, per intenderci –, che l’hanno organizzata al meglio con scuole, negozi, e cortili. In Italia non tutte le case hanno un cortile, soprattutto non tutti i cortili hanno una fontana, ma nell’architettura araba, invece, è frequente che sia così. Se vivi a un passo dal deserto, il posto più accogliente che puoi immaginare è un’oasi, e allora desideri per prima cosa che la tua casa sia fatta di ombra, subito dopo che ti faccia passare la sete.

Margherita Moscardini, l’artista che ha concepito quest’isola-fontana per il Parco Alcide Cervi di Reggio Emilia grazie alla cura della Collezione Maramotti, ha conosciuto la storia di Za’atari parlando con un Killian Kleinschmidth, commissario delle Nazioni Unite e, per qualche tempo, anche sindaco di Za’atari. Si è incuriosita, è andata sul posto, ha percorso la città in lungo in largo, ha ammirato, contato, disegnato, catalogato le fontane nei cortili con l’aiuto dei residenti, facendo affidamento sul loro spirito di accoglienza. Era splendido che qualcuno avesse fatto fiorire nel deserto una fontana, per farvi correre dell’acqua, e per mettere radici, nonostante quella città non esistesse sulle cartine geografiche perché era fatta per scomparire subito, proprio come l’acqua delle fontane che vi zampilla e un secondo dopo è già scomparsa. Quest’acqua nel marmo era qualcosa che andava raccontato e salvato come una meraviglia. Allora Margherita Moscardini si è ingegnata e ha inventariato sessantuno modelli di fontane, per farle diventare delle sculture pubbliche, come questa, che sorge quasi all’angolo con via Gazzata.

Non è ancora tutto. La fontana su cui tu, bambino, sei salito, è un’isola che non c’è, proprio come la città di Za’atari e le sue case disposte con cura, perché l’artista si è impegnata per dare a ciascuna di queste sculture una legge speciale, per farle diventare degli scorci di mondo extra-territoriali: in pratica, se cammini sulla statua, non sei in Italia, né in nessun altro Stato conosciuto. Sei cittadino di un Pianeta a parte, proprio come gli abitanti di Za’atari che vivono in una terra di nessuno, in un tempo che non si sa, sospeso tra la pace e la guerra, tra il presente e il futuro, tra il deserto e l’acqua. A volte, l’arte, può fare molto, può mettersi in una zona di frontiera, al confine con altre discipline come il diritto, l’urbanistica, l’antropologia, l’architettura. In questo caso l’ha fatto.

Le fontane sospese all’incontrario assomigliano al cavallo di Troia: aiutano a insinuare il dubbio che da qualche parte stia capitando una vita diversa dalla nostra, che esista un modello di cittadinanza distante da quello che conosciamo, più libero – fatto di città invisibili, e di scultori nel deserto. 

Se un Comune o un’istituzione compra la scultura dell’artista, il ricavato va al vero costruttore, che di solito è un padre di famiglia. E così questo cavallo non porta guerra, ma porta pace e denaro in un posto del mondo sottosopra, quello dove la vita scorre acquatica senza che noi ci voltiamo a guardarla.

Se sei un bambino e indossi gli stivali, pazienza se non sai leggere o se l’arte per te è soltanto un foglio di scuola con una casa sotto il sole. C’è il rischio che tu abbia già capito quasi tutto – che gli oggetti sono fatti per usarli, per spostarsi nel tempo e nello spazio. Come fai tu che, senza saperlo, proprio adesso stai camminando a testa in giù nelle pozzanghere sotto il suolo di Za’atari. 

Nella foto un dettaglio dell'opera "Mahallat el-Ghouta 94, Block 8, District 4" di Margherita Moscardini, 2019, Bruno Cattani.

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