La quintessenza del romanzo americano / Les Edgerton, Tempi difficili

Spesso, la letteratura non è affare per azzimati arzigogolatori di storie. Edward Bunker è lì a dimostrarlo. Con Educazione di una canaglia, Animal Factory, Come una bestia feroce, lo scrittore di Hollywood, morto nel 2005, ci ha lasciato romanzi forti come colpi di lama. Del resto, lui non ha mai provato a nascondere il suo passato da ergastolano, visto che conosceva meglio la topografia delle galere che quella del mondo libero. Ci era entrato a 17 anni, ne aveva bruciati quasi 18 dietro le sbarre con l’accusa di essere un falsario, un estorsore. Di avere trafficato droga e rapinato banche.

     

Eppure, il “Delitto e castigo” dei bassifondi americani l’ha scritto lui. Perché, a differenza dei narratori laureati, dei letterati che raccontano la realtà senza mai sporcarsi le mani per davvero, Bunker ha tracciato, secondo James Ellroy, l’osannato autore di noir come Dalia nera e American Tabloid, un’analisi “acuta e vera della psicopatologia criminale”. Parlando di rapine a mano armata e altre attività criminali non ha attinto “alla realtà, esagerandola e travisandola”. Si è limitato a raccontarla “con precisione e rigore dei dettagli”.

       

Un tipaccio, Edward Bunker. Non certo lo scrittorino da salotto. Eppure, il figlio oscuro di Hollywood non ha mai fatto mistero di avere trovato nella letteratura la via iniziatica per tenere a bada le ombre più oscure della sua mente. In Educazione di una canaglia ha confessato: “Un libro era un libro, un varco possibile verso luoghi lontani e meravigliose avventure. Risale all’epoca della Compagnia G la mia consapevolezza che i romanzi, più delle storie vere, possono avvincere e divertire. E che la saggezza e la forza visionaria di quei libri riescono anche a penetrare i recessi più intimi del comportamento umano”.

          

Rispetto a Bunker, Les Edgerton può considerarsi un pivello del mondo criminale. Perché ha trascorso soltanto due anni nelle galere americane. Condannato per furto con scasso. Forse è per questo che, adesso, riesce a scherzarci sopra, quando afferma sul suo blog: “Sono tutto ripulito e puoi invitarmi a casa tua senza dover contare le posate quando me ne vado”. 

         

I tempi della galera, delle infinite partite a scacchi con i compagni di cella, sono lontani. Les Edgerton, ormai, è uno scrittore a tempo pieno. Ha pubblicato una ventina di romanzi, saggi, raccolte di racconti. Collabora al cinema come sceneggiatore, insegna scrittura creativa a livello universitario. E riesce a conquistare, con le sue storie, la stima di affermati colleghi. Come Joe R. Lansdale, leggendario autore della trilogia del “Drive-in” e di “Freddo a luglio”, che ha voluto dirgli di persona: “Quando scrivi crime, sei il mio autore di crime preferito”.

         

Tempi difficili non può essere definito un crime. Tanto che lo stesso Lansdale, firmando la prefazione al romanzo tradotto da Marco Piva per la casa editrice Elliot (pagg. 187, euro 16), lo definisce “la quintessenza di un romanzo americano”. E aggiunge: “Mi piace il suo approccio delirante alla narrativa, poiché con essa racconta sia la verità quotidiana che quella metaforica”.

         

In Tempi difficili, a fare da sfondo alla storia non c’è il mondo post-apocalittico raccontato da Cormac McCarthy in La strada. Perché Les Edgerton, pur mostrando di conoscere e apprezzare pure l’altro splendido romanzo dell’autore di Providence Il buio fuori, preferisce andare a ritroso nel tempo. Recuperando dalla memoria la Grande Depressione, sul finire degli anni Venti del Novecento. E muovendo i suoi personaggi in un Texas rurale poverissimo. Dove la certezza che Dio non c’è si fa più evidente ogni volta che il sole appare all’orizzonte. E infuoca una terra dura, arida, avara di soddisfazioni e illusioni. Abitata da uomini e donne il cui destino li porta a non credere più in niente. A non fidarsi più di nessuno.

           

Amelia Laxault è il centro di gravità di Tempi difficili. Quando inizia la storia, lei è una ragazzina. Non conosce ancora le regole del Texas, dominato da un brutale maschilismo che si tramanda di padre in figlio. Le impara, però, molto presto: quando, in terza elementare, la maestra Wexler decide di promuovere un concorso di aritmetica. E lei riesce a primeggiare su tutti. Portando a casa un diploma, una penna stilografica d’oro e il suo naso sanguinante. Omaggio, quest’ultimo, del compagno di classe Arnold Critchin, che la pesta mentre rientra a casa.

Del resto, quello sarà solo il primo avviso di come gira il mondo, là in Texas. Spazio per donne indipendenti non ce n’è. E tantomeno per quelle che vorrebbero far funzionare a pieno regime il loro cervello. “Quale ragazzo sposerebbe una secchiona?”, sarà il commento del padre di Amelia la sera, a casa. Dopo aver appallottolato il diploma, vinto alla gara di aritmetica, e averlo seppellito nella tasca dei calzoni.

            

Non ci sono principi azzurri, nel mondo di Les Edgerton. Né salvatori di povere fanciulle vessate. Ed è impensabile che l’amore di Billy, il ragazzino “figlio di una specie d’artista” venuto ad abitare nella fattoria vicina, possa scardinare le regole di quel mondo. Infatti, sarà il padre di Amelia a costringerla a frequentare prima, e a sposare poi, proprio quell’Arnold Critchin che le aveva spaccato il naso fuori scuola. 

 

 

Crescendo, il ragazzo non è migliorato affatto. Anzi, al primo incontro pensa sia suo diritto prendersi tutto il divertimento che crede, violentando l’ex compagna di classe. Tanto, sa benissimo che nessuno difenderà Amelia, anche se dovesse raccontarlo in giro.

E poi, quale può essere il futuro più normale per una ragazza in quella terra desolata? Sposare il primo che le mette gli occhi addosso, anche se non lo ama. Così, Amelia finisce in moglie proprio a Arnold, tre giorni prima del suo quindicesimo compleanno. Spedita come un pacco postale dal padre, che dimostra tutta la sua benevolenza regalando agli sposi un appezzamento di terra al confine meridionale della sua proprietà. 

           

Da parte sua, la madre, per aiutare Amelia a spianarsi la strada verso l’infelicità, non troverà di meglio che consigliarle di “non litigare con Arnold”. Perché quel matrimonio è benedetto dal sacro vincolo della religione. Qualunque cosa accada, va onorato e rispettato fino in fondo.

Ma è possibile andare d’accordo con un pendaglio da forca come Arnold? Uno che continuerà a violentare la moglie, pensando che sia quello il tanto decantato “fare l’amore” all’interno del matrimonio. Uno che farà sfornare figli ad Amelia senza preoccuparsi affatto di trovare un lavoro. O, almeno, di coltivare seriamente l’arida campagna donata dal suocero, per farla fruttare.

            

Arnold finirà molto presto per cacciarsi nei guai. Dovrà confrontarsi con la legge quando verrà accusato di contrabbando di liquore clandestino. Pronto a menare le mani ogni volta che esagera con le bevute, verrà condannato a tre anni in prigione. E ad arrestarlo sarà Billy, che nel frattempo è diventato lo sceriffo della zona. Senza mai smettere di amare Amelia.

Agota Kristof, straordinaria autrice della “Trilogia della città di K.”, era convinta che per scrivere buoni libri fosse indispensabile adottare “lo sguardo di un bambino che è talmente oggettivo da svuotare il cinismo”. Ecco, Les Edgerton nel suo Tempi difficili descrive il Texas di Amelia esattamente con quello sguardo. Limpido, tagliente, implacabile, a tratti beffardo. Toglie ai suoi personaggi ogni sovrastruttura. Li porta sotto gli occhi dei lettori completamenti nudi. Senza orpelli. Scendendo a esplorare il limite più profondo del loro cuore oscuro. 

            

In prigione, Arnold non cambia. Anzi, moltiplica l’odio, il rancore, il desiderio di vendicarsi che cova dentro di sé da sempre. Mentre Amelia è costretta a lottare con la miseria, con la fame, a proteggere i suoi bambini dal richiamo sempre più vicino della Morte. In più, deve ingegnarsi a sfuggire alla caccia spietata dei cani allevati da suo marito. Trasformati in belve feroci, in quell’estate torrida che spacca la terra e toglie il respiro, pronte a sbranare chiunque pur di procurarsi un po’ di cibo.

“Fuori era tutto marrone e rosso – scrive Les Edgerton –; anche se ci fosse stata qualche erbaccia da raccogliere, i cani non avrebbero mai permesso loro di uscire: erano di guardia di fronte all’uscio, in attesa; sarebbe stato folle anche solo provare ad aprire la porta”. 

            

È fissando negli occhi la realtà, senza mai abbassarli, che Les Edgerton trasforma il suo romanzo in un luminoso, e tenebroso, concentrato di tensione. Mentre Arnold si prepara a uscire dal carcere, gonfio di rabbia e desideroso di vendicarsi, la sua famiglia boccheggia senza più niente da mangiare. Costretta a rimediare qualche radice da mettere in pentola. A buttare giù gli ultimi brandelli di carne, ormai putrefatta, che Amelia ha messo da parte per i suoi bambini. A convivere con una fame che torce le budella, toglie le forze. A combattere con una sete che prosciuga la gola, inaridisce la pelle.

Tempi difficili diventa, pagina dopo pagina, una discesa nel maelstrom della disperazione. Il cielo è vuoto, sopra i personaggi di Les Edgerton, non ci sono angeli vendicatori pronti a correre in loro soccorso. Anzi, la storia si ingarbuglia ancor di più quando sul polveroso palcoscenico di un Texas abbandonato a se stesso compare Lucius Tremaine. Un nero cinquantenne che ringhia in faccia a chiunque gli rivolga la parola. Paga gli alcolici, al bar, togliendo le banconote dal calzino sinistro. Ed è braccato da un passato inconfessabile, che autorizza i bianchi a sputargli in faccia tutto il loro disprezzo urlandogli “negro”.

          

Leggendo le storie di Les Edgerton sembra di risentire l’eco dei grandi romanzi “hard boiled”.  È come se lo spirito di Cornell Woolrich, il maestro di suspense di Appuntamenti in nero, di La sposa era in nero, si fosse appollaiato sulla spalla dello scrittore di Odessa, Texas, mentre scriveva. Per suggerirgli un crescendo di atmosfere fatte “di un buio che va oltre la notte”, nello stile di Raymond Chandler.

Ma la metrica narrativa di Les Edgerton scandisce ritmi che vanno molto al di là della letteratura di genere. La sua America disperata è lontana parente della Francia dei “miserabili”, della Sicilia dei “vinti”, della San Pietroburgo di Raskol’nikov, della Russia degli “umiliati e offesi”. La sua prosa tagliente, scarnificata, precisa, mai disposta a cedere il passo alla retorica, è figlia dell’evoluzione del romanzo novecentesco. Di quel lungo percorso che ha portato tanti narratori a liberarsi di una compiaciuta zavorra fatta di pagine superflue. Per inchiodare la trama a una scarnificata, spietata disamina della condizione umana.

           

Ricordando ciò che annotava la severa critica Dorothy Salisbury Davis, autrice di crime lei stessa, commentando i libri di Woolrich, potremmo affermare che la scrittura di Les Edgerton “è lacerante come un urlo nella notte”. I suoi personaggi, però, non si piegano mai a trasformare “la rassegnazione in tormentosa disperazione”, come ammoniva György Lukácks nella sua Teoria del romanzo. Perché trovano la forza di ribellarsi, anche quando le tenebre sembrano prevalere sulla luce.

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