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Nella testa di Alcibiade

24 Giugno 2025

Harry Houdini non ha mai smesso di credere che, in giro per il mondo, ci fosse un vero medium. Anche solo uno. Non il solito imbroglione, insomma, ma una donna o un uomo dotati di reali poteri medianici. Capaci di materializzare davanti agli occhi di scettici osservatori una credibile fotografia spiritica, o di mettersi in contatto con le anime dei trapassati.

Ci credeva a tal punto, il più famoso illusionista e escapologo di tutti i tempi, da appoggiare con gioia la sfida lanciata da “Scientific American”. La rivista, infatti, prometteva al primo medium che fosse riuscito a superare una serie di test e controlli scientifici, validi a testimoniare le sue facoltà paranormali, un premio di cinquemila dollari. Una fortuna, all’inizio del ‘900, che poteva ingolosire davvero tanti.

Ebbene, Harry Houdini stesso finirà per confessare nel suo libro Un mago tra gli spiriti (Edizioni Mediterranee 2023): “Dopo venticinque anni di intense ricerche non mi è stato rivelato niente capace di convincermi che un’intercomunicazione si sia stabilita tra gli spiriti dei defunti e coloro che sono ancora in vita”.

Perfino dopo la sua morte, avvenuta nella notte di Halloween del 1926 per un attacco di peritonite, qualcuno tentò di truffare sua moglie Bess. Facendole credere che “se è veramente possibile a qualcuno tornare dall’aldilà, Houdini lo farà”. Ma anche in quel caso, nessun fenomeno medianico credibile si verificò, tanto da convincere la vedova ad annullare qualunque futura seduta spiritica. E a spegnere per sempre la candela della speranza di rivedere Harry almeno una volta ancora.

A ben guardare, però, risulta evidente che Houdini insistesse a cercare nella direzione sbagliata. Perché gli unici medium davvero capaci di sintonizzarsi con le anime dei trapassati non sono mai stati gli spiritisti, bensì gli scrittori. Lo dimostra la nuova, monumentale opera di Ilja Leonard Pfeijffer Alcibiade, tradotto con grande maestria da Claudia Cozzi per Ponte alle Grazie (pagg. 1020, euro 24,90). Più che a un romanzo, l’autobiografia impossibile di uno dei personaggi più affascinanti e contraddittori della Storia antica assomiglia, infatti, a una fluviale seduta spiritica. A un’infinita sintonia post mortem tra l’autore olandese di Rijswijk e quello che Plutarco definì il Camaleontico Alcibiade.

Nei pensieri di Pfeijffer, che dall’estate del 2008 abita in pieno centro storico a Genova, Alcibiade aveva messo radici almeno una ventina d’anni orsono. Ben prima che lo scrittore cominciasse a progettare, e pubblicasse poi, i suoi acclamati romanzi La Superba e Grand Hotel Europa. Ma dare corpo a un’idea letteraria così ambiziosa significava dover cambiare del tutto abitudini di lavoro. Sarebbe stato impossibile, infatti, affrontare una navigazione lunga e perigliosa nell’antica Grecia scribacchiando su dei quadernetti stando seduto ai tavolini dei bar, come ha sempre usato fare lo scrittore olandese.

Riportare in vita Alcibiade richiedeva una dedizione totale. Un’immersione nel maelstrom delle fonti imprescindibili come Senofonte, Platone, Tucidide, Plutarco, ma anche della sterminata bibliografia dedicata al personaggio. In quella foresta di testi in cui Pfeijffer è riuscito a orientarsi con grande lucidità e dimestichezza, visto che la sua formazione da classicista lo ha portato a insegnare per un decennio all’Università di Leida.

Questa debordante messe di testi, che compone una bibliografia lunga ben più di cento pagine, rischiava di costruire sotto i piedi di Alcibiade un piedistallo ben levigato, ottimamente squadrato, perfetto insomma. Non certo capace, però, di trascinare un personaggio di tale levatura lontano dalla polvere degli studi universitari. E allora? Pfeijffer ha fatto quello che i ciarlataneschi medium inquisiti da Houdini non sono mai stati in grado di realizzare davanti ai suoi occhi: ha lasciato che lo spirito di Alcibiade si impossessasse della sua mente. E che la voce del più bello, brillante e spregiudicato degli aristocratici ateniesi fluisse direttamente dal passato sulle pagine del romanzo.

Pfeijffer, insomma, ha deciso di raccontare la versione dei fatti materializzando una voce, quella di Alcibiade, che parla in prima persona. E che, capitolo dopo capitolo, giustifica la sua smisurata ambizione, argomenta sulla seduzione irrinunciabile del potere, descrive gli atti di eroismo e i tradimenti, le guerre e le dispute politiche.

Alcibiade, così, diventa il narratore inaffidabile di pagine memorabili. Perché è la sua stessa voce a zittire i dubbi e le accuse degli storici quando racconta perché è stato lui, ateniese, a smantellare la democrazia di Atene. Invece di tentare l’impossibile per salvarla. E poi, non può sottrarsi dall’argomentare il perché, a un certo punto della sua vita, si è trovato dall’altra parte della barricata, alla guida dell’esercito dell’odiata Sparta. Senza riuscire a glissare su uno dei punti nodali della sua esistenza: quella congiura delle Erme che, in una notte del 415 a.C., gli tolse il comando della spedizione ateniese in Sicilia. Un progetto azzardatissimo, da lui stesso ideato, e che, poi, senza di lui terminò in una disastrosa disfatta per gli Ateniesi.

Uomo senza pace, cacciato per due volte da Atene e una da Sparta, criticato per il suo rapporto amoroso con il filosofo Socrate, Alcibiade racconta con la voce di Pfeijffer l’azzardata propensione a inimicarsi i potenti. Fino alla sua morte violenta, probabilmente per mano degli Spartani. Ma che rimane, tutt’oggi, un mistero. E poi si addentra a materializzare davanti agli occhi del lettore i paesaggi di un mondo perduto, i meandri delle città, gli intrighi nei palazzi del potere, la quotidiana ritualità, le passioni, le conquiste.

Clarice Lispector, in La scoperta del mondo (La Tartaruga 2001) confessava il suo timore che “scrivere molto può corrompere la parola. La si preserverebbe di più vendendo scarpe. Che peccato che io non sappia fabbricare scarpe”. Per fortuna, la scrittrice brasiliana di origine ucraina non ha mai smesso di dedicarsi alle parole in libri di cesellata bellezza. Come Pfeijffer, che in quest’opera affianca al rigore del romanzo storico la ricerca di uno stile immediato, efficace, capace di farsi cronaca dei fatti e luogo di introspezione profonda della folla di personaggi che porta in scena. Tanto che, al termine del suo viaggio narrativo, lo scrittore compone un lungo elenco, in ordine alfabetico, in cui ripercorre i nomi di chi ha avuto un ruolo, anche secondario, in questa storia.

Ho scritto Alcibiade in 14 mesi – spiega Ilja Leonard Pfeijffer, che ha presentato in anteprima il suo nuovo romanzo al Salone del Libro di Torino . Ma se devo dire la verità, non posso tacere sul tempo lunghissimo di progettazione, di riflessione e di studio. Allora, sarebbe meglio ammettere che Alcibiade ha preso forma nella mia testa 25 anni fa. Ha richiesto, insomma, qualcosa come vent’anni di studio.

Lei, prima di scrivere romanzi, è stato un classicista?

Ho insegnato per dieci anni all’Università di Leida. Quando mi è venuta l’idea di scrivere un romanzo su Alcibiade, posso dire che mi sentivo un po’ a casa. Conoscevo bene il personaggio, il periodo storico, le figure che lo hanno accompagnato. Oltre a quelli che su di lui hanno scritto pagine importanti: Platone, Tucidide, Senofonte. Altrimenti, la mia sarebbe stata soltanto una folle idea, perché non sarei mai riuscito a ultimare un’opera così.

C’è stato un momento in cui ha pensato: sono pronto?

Sì, un momento preciso. Una sera Stella, la mia compagna, che è abituata a leggere a letto soprattutto testi di filosofi greci, aveva tra le mani il Simposio di Platone. Il testo finisce proprio con una scena bellissima in cui Alcibiade ubriaco entra in una festa e comincia a dichiarare il suo amore per Socrate. Ecco, lì mi sono ricordato del mio vecchio progetto che sonnecchiava. Ma, soprattutto, ho capito che ripercorrendo la sua vita avrei potuto affrontare temi molti attuali.

Per esempio il fatto che la prima democrazia della Storia, Atene, stava vivendo un momento di crisi?

Sì, Alcibiade diventa protagonista proprio di questo clima politico mutevole e della conseguente sfiducia verso le istituzioni e la politica. I sintomi di quella crisi sono per noi, oggi, spaventosamente riconoscibili. La sola via d’uscita, allora come ora, era quella di appellarsi all’uomo forte. Ecco perché scrivere questo romanzo diventava urgente: raccontando i fatti di un passato lontano, quella precisa storia poteva risuonare come un avvertimento per il presente.

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Parlare con la voce di Alcibiade: una scelta forte, coraggiosa…

Una scelta che ho fatto fin dall’inizio. Mi rendo conto che è stata una sfida, ma quando scrivo mi piacciono gli azzardi. E siccome Alcibiade è stato un personaggio controverso, facendolo parlare in prima persona mi era consentito creare la figura di un narratore inaffidabile, come capita spesso in letteratura. Il suo percorso umano è costellato di episodi di cui si deve giustificare. E di cui, naturalmente, offre al lettore la sua versione.

Difficile immedesimarsi in un personaggio di 2500 anni fa?

Non è facile, però è molto affascinante. Perché le leggi che governano la letteratura mi hanno consentito di dare voce ai suoi pensieri, alle paure e ai sogni, ai desideri e alle delusioni. C’è voluta molta partecipazione per essere Alcibiade.

Si è mai sentito posseduto da Alcibiade?

È proprio così. Ci sono stati momenti in cui mi sembrava di essere un medium, capace di riportare in vita uno spirito ormai perso nel divenire del tempo. Dovevo immedesimarmi soprattutto nelle sue motivazioni, nelle strategie che adottava per ottenere quello a cui aspirava. Però sono sicuro che quello che ho scritto è vero. Perché, come direbbe un vero medium, me l’ha raccontato Alcibiade stesso.

Il suo rapporto d’amore con Socrate è sempre stato controverso.

Formavano una coppia, seppure strana. All’epoca non era affatto un rapporto controverso, anche se oggi darebbe scandalo. Alcibiade era il ragazzo più bello della città, Socrate famoso per la sua bruttezza. Lo paragonavano a un satiro, che allora era l’esempio sommo di scarsa avvenenza fisica. Erano come la Bella e la Bestia, diversissimi anche per le ambizioni che li animavano. Socrate viveva al servizio della verità, della giustizia e del pensiero, Alcibiade ha scelto la carriera politica, la fama, la gloria, tutto ciò da cui il filosofo rifuggiva.

La scrittura come seduta spiritica?

Ho dovuto immedesimarmi del tutto nel personaggio che racconto. Anche dal punto di vista stilistico, perché volevo che il lettore mi seguisse in un favoloso viaggio nel tempo. Possibilità che ti regala soltanto la letteratura. Pagina dopo pagina ti puoi illudere di vivere in un’epoca storica lontanissima. Per questo ho scelto uno stile di scrittura che rendesse Alcibiade totalmente credibile, come se riemergesse dalla sua epoca.

Senza la congiura delle Erme la Storia sarebbe cambiata?

Io credo che questo progetto folle di andare a conquistare la Sicilia avrebbe potuto cambiare del tutto il corso delle Storia. Atene avrebbe potuto mettere assieme un impero mediterraneo senza paragoni. Ma non è andata così.

E adesso, quando si rimetterà a scrivere?

Alcibiade è ancora dentro la mia testa. Nel frattempo, però, sto già lavorando a qualcos’altro.

L’Italia è stato il primo Paese a tradurre il suo Alcibiade?

Abito in Italia da tanti anni e ci tenevo che la prima edizione, dopo quella olandese, uscisse proprio qui. Trovo straordinaria la traduzione di Claudia Cozzi: ha fatto un ottimo lavoro, e di questo non posso che esserle grato.

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