Picasso e la corporeità: due mostre recenti

6 Maggio 2023

Il 2023 segna il cinquantesimo anniversario della morte di Pablo Picasso e pone l’anno sotto il segno della celebrazione della sua opera in Francia e Spagna come pure a livello internazionale. Picasso Celebration 1973-2023, promossa dal Musée national Picasso-Paris, prevede una cinquantina di mostre e di eventi che si svolgeranno in rinomate istituzioni culturali europee e nordamericane. Essendo le iniziative in corso, è ancora presto per capire in che misura questo turbinio di attività contribuirà all’avanzamento dello stato degli studi e della comprensione di Picasso, così fondamentale per la storia della cultura artistica della modernità occidentale.

Chi scrive ha visitato due mostre allestite nell’ambito di queste celebrazioni: Picasso e l’antico, a cura di Clemente Marconi, visibile dal 5 aprile al 27 agosto 2023 al museo Archeologico Nazionale di Napoli; e Picasso. Artista e modella, a cura di Raphaël Bouvier, alla Fondazione Beyeler di Basilea, che ha chiuso il 1° maggio. Entrambe relativamente modeste quanto al numero di opere incluse, le due mostre costituiscono nondimeno una stimolante occasione per apprezzare alcuni aspetti decisivi dell’arte picassiana. Inoltre, entrambe lasciano interagire Picasso all’interno di una più vasta e paradigmatica collezione di opere d’arte, nel primo caso antiche, nel secondo moderne e contemporanee. 

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Picasso e Cocteau a Pompei.

L’esposizione napoletana prende spunto dal fatto che nel 1917 Picasso, assieme a Jean Cocteau, Léonide Massine e Igor Stravinskij, visita Napoli due volte, e ha modo di vedere Pompei e il Museo Nazionale (a quel tempo non ancora esclusivamente “archeologico”, perché ospitava una collezione di opere cinque-seicentesche ricollocate a Capodimonte nel 1957). A colpire l’artista spagnolo sono specialmente l’Ercole e il Toro Farnese, tanto che entrambi diventeranno dei motivi ricorrenti nella sua oeuvre. È appunto questa influenza dell’antico che la rassegna, giustamente allestita nelle sale della collezione Farnese, vorrebbe illustrare. Lo fa istituendo un confronto tra le statue millenarie conservate nel museo e un complesso di opere raccolto per l’occasione e composto sia da dipinti (invero insufficienti viste le dichiarate ambizioni della mostra), sia da decine di splendide acqueforti della celebre Suite Vollard. L’insieme è inteso a ribadire la nota tesi di come il viaggio in Italia, che lo vide a Napoli ma anche a Roma e Firenze, abbia contribuito a radicalizzare l’orientamento di Picasso verso un nuovo naturalismo caratterizzato dalle forme classicizzanti che popolano i quadri e i disegni post-cubisti dal 1917 al 1925 circa, così come l’opera grafica degli anni Trenta, di cui la Suite è un esempio.

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Purtroppo le sale Farnese sono state invase da una imponente struttura (in legno?), realizzata con spreco di materiali e risorse umane, che funge da “cornice” o contenitore per buona parte di quanto esposto ai fini della celebrazione. Siffatti allestimenti rischiano di distrarre l’attenzione dei visitatori anziché favorire una visione meditata delle opere. Comunque, se non ci si lascia stordire dal ridondante apparato scenografico, i materiali presenti possono ispirare una varietà di questioni. Ci si chiede cosa significasse l’arte classica per uno dei più rappresentativi maestri dell’arte “moderna”. Non sembra costituisse un modello insuperabile, lontano dalla sua sensibilità e dal suo intendimento della forma e della missione dell’artista. Anzi, molto probabilmente Picasso deve avere vissuto l’antico come un gene immanente nella storia e quindi come portatore di verità capaci non solo di trasmigrare ma addirittura di far saltare l’abituale dicotomia tra l’antico e il moderno, la tradizione e l’innovazione.

Da Beyeler a Basilea, il maestro spagnolo è onorato con tre grandi sale. Nella prima sala è allestita la parte intitolata Artista e modella, che raccoglie una selezione di dieci dipinti realizzati negli anni Sessanta e nei primi anni Settanta. Oltre a indicare come l’artista, ormai ottantenne, non passasse un giorno senza impegnarsi nella sua arte, spesso eseguendo simultaneamente opere diverse, la raccolta conferma anche la sua rimarchevole capacità di adottare e adattare stili e generi diversi, passando dall’appassionata introspezione all’autoritratto caricaturale.    

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Sono quattro i quadri espressamente dedicati al tema del “pittore e la modella”. Di particolare interesse è una tela, datata “25.10.1964”, dove Picasso si raffigura mentre contempla la modella di fronte a lui. Tra i due non è percepibile, come spesso accade, un cavalletto né il quadro o la scultura grazie al quale si materializzerà l’effigie della donna. Le fatture del corpo sulla destra potrebbero rappresentare tanto quelle reali al quale si sta ispirando il pittore quanto quelle già trasfigurate dalla pittura. Questa condizione di mistero è ricorrente in molte delle opere dedicate da Picasso al tema della modella. Nel quadro a Basilea il senso di un arcano è inoltre accentuato dal fondo informe, tra il grigio e il bianco, dove il pennello ha tracciato delle confuse linee ondulate quasi a voler significare il misto di esitazione e slancio che caratterizza l’atto creativo.

Attraversando una stanza con alle pareti delle opere di Van Gogh, si raggiungono le altre due sale intese a celebrare il maestro spagnolo. I dipinti e le sculture stavolta risalgono agli anni Trenta e in alcuni casi anche agli anni proto-cubisti. Femme (1907) ricorda una delle figure presenti nel paradigmatico Les Demoiselles d’Avignon, mentre La femme qui pleure (1937) è riferibile a Guernica, una delle opere più emblematiche della barbarie, dell’ingiustizia e della lotta e volontà di riscatto che hanno segnato il Novecento. Ma l’anelito alla libertà in Picasso riguarda anche, se non soprattutto, la possibilità di vivificare la forma: creare un’opera indistinguibile dalla vita stessa. 

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Picasso, Buste de femme au chapeau (Dora), (1939) Fondation Beyeler, Basel.

Ne è una riprova il volto di Dora Maar che si dispiega quasi tridimensionalmente in Buste de femme au chapeau (Dora) (1939). In quello stesso anno, un’altra suggestiva metamorfosi dell’amata si compie nel celebre ritratto della Maar conservato al Musée Picasso di Parigi. Entrambi i dipinti confermano quanto l’artista fosse affascinato lungo tutta la sua carriera dalla opportunità di cogliere i volti e la figura umana non solo in una infinità di pose ma in modo da rivelare simultaneamente delle posizioni contrastanti (per esempio, di fronte e di spalle, prono e supino). 

Durante la visita, ci si rende conto che la Fondazione Beyeler custodisce circa trenta opere del maestro, tutte di rimarchevole qualità e interesse storico-artistico. Non solo: tra gli artisti moderni Picasso è probabilmente l’autore più rappresentato nella raccolta. Essa include da opere di Degas, Rodin, Monet e Cézanne a Braque, Léger, Mondrian, Brancusi e Giacometti. A questa famiglia otto-novecentesca si affianca quella di autori delle generazioni successive, quali Lousie Bourgeois, Marlene Dumas, Mark Rothko, Gerhard Richter, Andy Warhol, Roy Lichtenstein, Jenny Holzer, Anselm Kiefer e tantissimi altri. Come si posiziona Picasso in questo insieme? Esistono sì delle affinità tra la sua oeuvre e, per esempio, quelle di Francis Bacon, o anche di Georg Baselitz e Thomas Schütte, ciascuno presente a Basilea con delle opere significative. Nel complesso, però, Picasso resta stranamente isolato. Forse a renderlo impareggiabile è una costante che lo allontana in parte dai contemporanei e che è ancora meno riscontrabile negli artisti venuti dopo. La rappresentazione del corpo è il tratto preminente della sua oeuvre. Esso può essere animale – il toro è un tema prediletto –, ma è anche e soprattutto umano. Picasso usava dire che in arte è importante “trovare” anziché “cercare”. E quel che egli ripetutamente trova è il corpo: il catalizzatore delle energie sensoriali, emotive e mentali dell’artista, nonché l’astante vicino all’origine della vita senziente, imprescindibile per la vista come per l’immaginazione e la cognizione. 

Per apprezzare questo elemento di rarità picassiana è utile riferirsi alla mostra napoletana. Sono presenti 37 delle 100 tavole che compongono la Suite Vollard, la serie commissionata da Ambroise Vollard per illustrare Il capolavoro sconosciuto (1831) di Balzac. Il racconto narra la storia del pittore Frenhofer e della sua compulsione a dipingere il capolavoro ultimo – un tentativo destinato al fallimento, che lo condurrà alla follia e al suicidio. Realizzate tra il 1930 e il 1937, le immagini incise da Picasso raffigurano la situazione archetipica di artista e modella, perlopiù introducendo tra i due l’opera che sta emergendo in virtù del loro incontro. A volte compare anche una testa reminiscente di quella dell’Ercole Farnese. L’autoritratto in una sembianza classicheggiante e la presenza dell’opera in fieri comunicano un senso di positiva realizzazione. Al solipsismo tragico del personaggio di Balzac viene contrapposta la possibilità di interazione e dialogo vuoi tra l’artefice e la donna vuoi tra la coppia e l’entità terza. In alcuni casi, sembra addirittura che quell’entità terza si generi causa sui o che comunque non costituisca il passivo contenitore delle energie altrui ma a sua volta contenga i due personaggi e influisca su di loro. Quel che accade o è accaduto non è solo il risultato dell’incontro tra artista e modella, artista e opera, e via dicendo: l’opera che affiora tra i due trascende qualsivoglia polarità, anche se non ne è la sintesi.

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Nei dipinti e nelle opere grafiche in cui si autoritrae davanti alla modella, Picasso non rappresenta tanto qualcosa che sta realmente accadendo nel suo studio, quanto quel che avviene allorché un artista visivo pratica l’arte intendendola nella sua antica vocazione di dare consistenza plastica ai corpi. Nell’antico egli (ri)trova il corpo o, meglio, la “corporeità” quale compendio di proprietà sensoriali ed extrasensoriali che già intrigava gli scultori dell’epoca classica, impegnandoli nello studio e nell’individuazione delle posture, degli atteggiamenti e delle emozioni degli dei e dei mortali. Picasso deve avere intuito come i loro sforzi non fossero solo intesi a migliorare la perizia tecnica di per sé, bensì mirassero a rivendicare la libertà di (re)inventare la forma dell’uomo e della donna in maniera integrale, secondo le sue componenti incorporee, antropocentriche e soprannaturali. E questo preciso anelito all’unità galvanizza Picasso. Lo distingue in parte dagli altri artisti presenti nella collezione Beyeler e ritorna prepotente quando raffigura “artista e modella” trasformando quel tema in una appassionata meditazione su di un enigma che è simultaneamente erotico, umano e artistico.

Non a caso, e le immagini della Suite Vollard lo confermano, il confronto con la modella, invece di attenersi a una pedissequa imitazione del dato, libera Picasso da regole e convenzioni spingendolo a interrogarsi sulle finalità della propria pratica: su se e in che misura un artista potrà mai dare vita a ciò che emerge senza necessariamente avere precedenti o referenti noti. L’opera in fieri astante tra i due, tutt’altro che astratta dalla realtà, è l’attestazione di una nascita sensibile dell’idea.

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Ingres, Raffaello e la Fornarina - Fogg Arts Museum, Cambridge (Massachussetts).

Infatti, sostenuta dal dialogo con i capolavori dell’antichità, la visione picassiana del classico si sviluppa anche attraverso l’incontro con Ingres e Raffaello, i due maestri dell’idea o ideale. Vengono in mente i disegni e i dipinti dedicati da Ingres al tema di “Raffaello e la Fornarina”. In essi, Raffaello abbraccia l’amata mentre rivolge lo sguardo verso la sua effigie nel quadro poggiato sul cavalletto alle sue spalle, quasi avvertisse l’irriducibile iato tra rappresentazione e realtà, corpo e idea. Qualcosa di analogo si ritrova in Picasso, grande ammiratore di Ingres. Nelle sue opere, però, lo iato tra l’artificio e il fattuale è accettato, compreso e approfondito; diviene un efficace agente di significazione grazie al quale si posizionano artista, modella e l’opera delineata all’interno dell’opera. La loro triangolazione rafforza l’ipotesi che uno dei motivi per celebrare oggi Picasso riguardi la sua modernità sui generis: il suo essere stato il più antico tra gli artisti moderni.

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