1 testa mozzata e 5 stelle

23 Maggio 2013

San Dionigi, vescovo di Parigi, deve essere decapitato per ordine dell’imperatore Domiziano durante una delle persecuzioni dei cristiani. L’esecuzione sarà eseguita sulla collina che molto tempo dopo prenderà il nome di Montmartre. I soldati romani sfaticati, invece di ascendere fin lassù, gli mozzano la testa a metà del percorso. Dionigi si rialza, prende la testa sotto braccio e raggiunge la cima. Il filosofo ed epistemologo francese Michel Serres, uno dei pensatori più acuti del contemporaneo, attivo sin dagli anni Sessanta con una serie di volumi intitolati Hermes (Edition de Minuit), racconta quest’apologo nel suo ultimo libro tradotto in italiano, Non è mondo per vecchi (Bollati Boringhieri).

 

 

 

Vuole fornirci un’immagine di ciò siamo diventati: la nostra testa intelligente fuoriesce dalla testa ossuta e neurale, così la teniamo, alla pari del santo, sotto braccio, oppure in tasca, come i giovani che la estraggono e la toccano a ripetizione sotto forma di smartphone e tablet. Possibile? Sì. È la scatola-computer, cui deleghiamo facoltà che un tempo erano totalmente nostre: memoria potentissima ed estesa, immaginazione ricca di milioni d’icone, ragione che ci serve per risolvere decine e decine di problemi. Tutto questo una volta era dentro la nostra scatola cranica. E ora, cosa ci resta sulle spalle?

 

 

L’intuizione innovatrice, dice Serres: “Caduto nella scatola, l’apprendimento ci lascia la gioia incandescente di inventare. Fuoco: siamo condannati a diventare intelligenti?”.  In questo pamphlet il filosofo affronta un problema che già si era già posto qualche anno fa Edgard Morin, quando aveva redatto per il ministero della istruzione francese un rapporto sulla situazione e il futuro dell’apprendimento nelle scuole del suo paese: La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero (Cortina editore). Quello della testa è un vecchio problema. Nel XVI secolo Montaigne, che disponeva nella sua biblioteca personale di circa mille volumi, aveva sostenuto che alla “testa ben piena” della cultura classica, precedente l’invenzione della stampa e fondata sulla memoria, bisognava sostituire la “testa ben fatta”. Ma ora che la testa si trova in tasca, nella borsa o nello zaino, come deve essere? Ovvero, come procedere nella costruzione e trasmissione del sapere? Oggi i ragazzi – lo possono testimoniare gli insegnanti – non leggono molto né hanno più voglia di ascoltare l’esposizione orale di ciò che è scritto. È finita l’“era del sapere”: questo bene sovrabbonda da tutte le parti, nel web prima di tutto. È contenuto persino nei piccoli aggeggi situati vicino al portamonete e al fazzoletto. Ma nel contempo è anche finita anche l’“epoca degli esperti”. Lo spiega David Weinberger, ricercatore americano, in La stanza intelligente (Codice Edizioni). La vecchia expertise, alla base della cultura degli esperti, si basava su materie e discipline ben differenziate, fondate poi su una gerarchia progressiva.

 

 

Oggi il sapere del web è invece multidirezionale e l’orizzontalità ha scalzato il sistema piramidale tradizionale, quello, per intenderci, di Diderot e D’Alambert, poi di Comte, sino ai neopositivisti della Scuola di Chicago del XX secolo. Il sapere si presenta sotto forma di una ragnatela informe di connessioni, dove vivono le espressioni delle idee, così che il tutto appare non più come il patrimonio di un autore solitario, che lo trasmette ai suoi lettori, bensì della Rete medesima. Si sono, in questo modo, dissolte le varie Repubbliche delle Lettere, della Fisica, della Matematica, della Biologia, e tutti gli altri regni chiusi e ben governati da sacerdoti e papi. Proviamo a seguire Michel Serres nel suo breve libro, che compendia in forma succinta, e provocatoria, suoi saggi scritti a partire dalla metà degli anni Sessanta, fino al più recente Il mantello di Arlecchino (Marsilio) sull’educazione futura.

 

L’uso del computer e del cellulare, dice, porterà presto – sta già accadendo – alla fine dell’“età dei decisori”. Usando i nuovi media, gli strumenti elettronici, il corpo stesso dei ragazzi mal sopporta di essere passivo. Provate a entrare in un’aula scolastica, dove sotto i banchi, tra le mani, in mezzo ai libri, decine di mani toccano e sfiorano tastiere virtuali connettendosi con il mondo e verificando quello che l’insegnante sta dicendo in quel momento. Nelle aule, ma anche fuori, non ci sono più solo spettatori, come accadeva nell’era televisiva, dove il massimo della interattività era il telecomando: l’età dello zapping. I ragazzi, per primi, non sopportano più di stare al posto del passeggero passivo, mentre al volante c’è il docente. Sono entrati in fibrillazione. Tutti valutano, a torto o a ragione,  tutti. Siamo solo agli inizi del processo.

 

 

Serres va ancora più in là. I ragazzi, dice, oggi valutano i propri padri: ci accusate di egoismo, ma non siete, dicono, forse voi così? Chi ci ha insegnato l’individualismo? Siete voi adulti capaci invece di fare squadra? Quanto durano i vostri governi? Le vecchie appartenenze si frantumano una dopo l’altra: parrocchie, patrie, sindacati, partiti, famiglie. Restano ancora i gruppi di pressione, vergognosi ostacoli alla democrazia. Dicono i ragazzi: ci prendete in giro perché usiamo la parola “amico” nei social network? Ma voi adulti siete sin qui riusciti a creare gruppi così consistenti, che ora arrivano a numeri stratosferici, comprendendo gran parte dell’umanità? Portando la loro testa sotto braccio alla maniera di san Dionigi, i giovani hanno capito una cosa: gli adulti temono che da queste nuove aggregazioni nascano forme politiche che spazzano via quelle vecchie diventate di colpo obsolete. Esercito, nazione, chiesa, popolo, classe, proletariato, famiglia, mercato, sembrano, dentro le teste sottobraccio, feticci del passato. Tutto è mutato nel sapere stesso: oggi i ragazzi ne sanno di chimica e di ecologia molto di più dei loro stessi padri e nonni. Tutti sono epistemologi. Quando fu dato il voto a tutti, aggiunge Serres, si gridò allo scandalo; oggi la democrazia del sapere dà una “presunzione di competenza” in modo potenziale a tutti. I grandi apparati pubblici e privati, la burocrazia, i media, la pubblicità, i ceti tecnocratici, le imprese, le università, le amministrazioni grandi e piccole, ricorrono alla vecchia “presunzione d’incompetenza”, e trattano il grande pubblico come degli ignoranti informatizzati o poco più. Ma è anche vero che oggi gli esperti non possono più ignorare quello che si dice in rete di ogni singolo problema da loro trattato. In La stanza intelligente David Weinberger fornisce parecchi di esempi di questo tipo. Quando la conoscenza entra a far parte di una rete, la persona più intelligente, scrive Weinberger, non è quella che tiene la lezione dalla cattedra, e neppure la stessa folla delle persone presenti: “La persona più intelligente nella stanza è la stanza stessa”.

 

Certo non è tutto così semplice. Ci sono luci e ombre. Questi cambiamenti hanno il loro lato oscuro e problematico. Evgeny Morozov, ricercatore, studioso e blogger, bielorusso che vive in Usa, insiste da tempo su questi problemi, e ne parla ampiamente in L’ingenuità della rete. Il lato oscuro della libertà di internet (Codice Edizioni). Tuttavia il cambio di paradigma è avvenuto e bisognerà tenerne conto sia nel campo dell’istruzione, come della società, e ora anche della politica.

 

 

Il Movimento Cinque Stelle è solo l’avanguardia del nuovo modo di far politica. La crisi che stiamo attraversando non è solo economica, bensì culturale. Riguarda il fatto che la nostra stessa testa non è più al suo posto: non è più piena, non più ben fatta, si trova sotto braccio. Il libro di Michel Serres fa riflettere, anche perché scritto da un signore di ottantatre anni. Che avesse ragione san Dionigi ad alzarsi e a risalire la collina? Dovremo farlo anche noi?

 

Una versione più breve di questo pezzo è apparsa su La Stampa il 23 maggio 2013

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