Speciale
Ai sud del mondo!
A chi si rivolgono i due tiranni Vladimir Putin e Xi Jinping nel loro brindisi di Mosca, il 21 marzo 2023? Non certo all’Occidente. Putin ha dell’Occidente una visione malata, è lo spauracchio che minaccia la sua personale potenza e ne teme soprattutto il contagio tra le giovani generazioni e il ceto intellettuale e creativo della Russia. Xi ha dell’Occidente una visione cinica, è il capitalismo che gli ha fornito le risorse per crescere in cambio di prodotti a basso costo confezionati da operai semi-schiavi nelle fabbriche lager di Shenzhen e dello Xinjiang (eccone due immagini: nel 2021 un reportage internazionale ha ricevuto il Premio Pulitzer per l’indagine condotta sui campi di detenzione e di lavoro forzato di un milione di minoranze musulmane in Cina, oggi in mostra alla Biennale Architettura di Venezia).
No, i due tiranni rivolgono il loro brindisi ai Sud del mondo. È lì che guardano. A quei quattro quinti dell’umanità che non sono Occidente, e che di esso hanno una visione su cui dobbiamo interrogarci.
India, Brasile, Sud Africa compongono con Cina e Russia un club, i BRICS, molto strano perché sono regimi diversi tra di loro, eppure uniti da un interesse comune: crescere.
Oggi il PIL degli Stati Uniti è di 16 trilioni di dollari, quello della Cina di 12, dell’India e del Brasile di 2, della Russia di 1.5, del Sud Africa di 0.3. Ancora più chiaro il quadro in termini di PIL procapite PPP (a parità di potere d’acquisto): per il cittadino Statunitense è di 60.000 dollari annui, per il Russo di 25.000, per il Cinese di 16.000, per il Brasiliano di 15.000, per il Sudafricano di 13.000, per l’Indiano di 7.000.
In un simile contesto di disuguaglianze, crescere significa trovare nella divisione internazionale del lavoro spazi per investire, consumare: spazi che l’Occidente ha sin qui occupato per via coloniale prima, per via postcoloniale poi, in entrambi i casi senza fare altro che i propri interessi. Sono interessi “estrattivi”: estrarre il più possibile di materie prime, risorse materiali, terre rare da quei paesi che abbiamo chiamato a lungo Terzo Mondo, o Paesi in via di sviluppo.
Nei vent’anni trascorsi, con l’adesione della Cina al WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio) si sono moltiplicati i commerci e gli investimenti, in un quadro di liberalismo degli scambi. Il liberal-capitalismo ha conquistato buona parte del mondo, e lo ha fatto imponendo le proprie ricette: una rete di interessi di grandi imprese multinazionali che hanno conquistato nuovi mercati, investito in nuove fabbriche, estratto nuove materie prime, costruito nuove infrastrutture. Le ricette hanno comportato però l’indebitamento di molti Paesi in via di sviluppo, hanno fatto crescere una classe compradora locale corrotta, dedita al proprio arricchimento a scapito delle popolazioni povere. Nel 1947 Mao Zedong definiva il capitalismo nascente in Cina “capitalismo burocratico monopolista di Stato feudale di compradores” e possiamo dire che è sostanzialmente la definizione dell’attuale sistema di capitalismo politico cinese.
Le ricette dell’Occidente non sono congeniali alla crescita autonoma dei paesi periferici del mondo. Non perseguono uno sviluppo integrato ed equilibrato. Anzi accentuano le diseguaglianze e il consumo di risorse umane e naturali.
Ecco dove si innesta lo sguardo dei tiranni. Cina e Russia sono presenti nei Sud del mondo perché ne sono a vario titolo “alleati”. La Cina investe in Africa, in America Latina: è il primo partner commerciale del Brasile, costruisce infrastrutture, porti e città in molti paesi africani. La Russia guarda all’Africa, e soprattutto all’Asia (repubbliche ex-sovietiche, Iran, Siria). Ma sono alleanze asimmetriche. Dove la Cina investe, cresce l’indebitamento di quei Paesi che dovranno ripagare le infrastrutture. La Via della Seta cinese è una catena di debito che sta avvolgendo quei Paesi nei confronti della Cina. La Russia ha un ruolo di potenza energetica e militare.
I Sud del mondo rischiano così di passare da una dominazione coloniale Occidentale a una nuova colonizzazione Orientale.
La svolta che vede i BRICS come possibile nuova formazione mondiale, una specie di federazione dei Sud del mondo contrapposta all’Occidente, ha coinciso con la piena affermazione del capitale finanziario globalizzato prima e dopo la crisi del 2007-8. Tra la fine di Bretton Woods (1971) e lo svilupparsi di una lex mercatoria globale sui mercati delle transazioni economico-finanziarie del mondo esiste una continuità di disegno, che non corrisponde però affatto all’affermazione di forze e pratiche liberali. È una mega-macchina quella che si afferma, con proprie leggi e architetture di dominio, che nulla ha di spontaneo: la sua governance mondiale è frutto di istituzioni e sedi, l’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), il Fondo Monetario Internazionale (IMF) e la Banca Mondiale (World Bank) tutte legate al Consenso di Washington, advisors e società di consulenza globali, grandi banche d’affari e società di rating finanziario da cui dipendono i debiti sovrani dei governi. Ma il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale potrebbero diventare istituzioni del passato se la Cina decidesse di uscirne, grazie alla sua egemonia in direzione trans-pacifica, africana, russa e perfino europea (la dipendenza della Germania dagli scambi con la Cina, il ruolo della Francia in Asia e Africa). La Cina è il primo detentore mondiale di riserve di valuta estera (3,1 trilioni di dollari). Potrebbe essere invece che gli USA decidano di uscire, o di rompere l’assetto delle istituzioni mondiali. La geopolitica del capitalismo è quindi in pieno sommovimento.
Cosa possiamo offrire di diverso ai Sud del mondo da quanto promettono oggi i tiranni? Questa domanda è altrettanto importante di quella legata al sostegno dell’Occidente all’Ucraina. Da entrambe, tenute insieme, dipenderà il futuro del mondo.
Possiamo offrire accoglienza: i migranti dei Sud oggi respinti dall’Europa, e ai confini messicani dagli Stati Uniti. Significa rifare i conti con la demografia e i consumi, con i mercati del lavoro dei paesi ricchi. Soprattutto, rifare i conti con una cultura razzista che continua a proliferare da noi in Europa e negli Stati Uniti. Necessario e urgente. Possiamo offrire cooperazione: oggi rappresenta un obolo, una percentuale dello 0,7%- 0,6% del PIL (Regno Unito, Francia, Germania), 0,2%(Italia) del PIL dei paesi ricchi. È affidata al terzo settore in modo opaco, è un’industria della carità che serve più ai finanziatori che ai destinatari. Possiamo offrire nuove basi di divisione del lavoro, investimenti in attività meno estrattive (come continuano a fare le grandi imprese energetiche europee in Africa, Total Eni etc.) e più legate allo sviluppo locale endogeno in agricoltura, trasformazione dei prodotti agricoli, riserve naturali, fonte energetiche rinnovabili (solare, idrico, geotermico, eolico). Possiamo reindirizzare l’urbanizzazione del mondo emergente, anziché il modello del ferro e del cemento, quello delle materie locali per abitare in modo sostenibile, a cui lavorino insieme gli architetti e i pianificatori del Nord e del Sud del mondo. Possiamo infine produrre una nuova visione culturale basata sulla piena conoscenza e acquisizione dei contenuti che vengono dai Sud del mondo (arte, musica, cinema, teatro,etc.) che propongono una poetica della relazione, come l’ha chiamata il poeta caribico Eduard Glissant.
Il silenzio della tirannide oppressiva contro la libertà che esprimono le società democratiche pluraliste: questa visione va ripensata, alla luce di quanto potrà avvenire nei Sud del mondo, che non corrispondono più alla dicotomia Occidente/Oriente. Sono diaspore globali di intere nazioni, come quella indiana nel mondo (A. Appadurai), sono formazioni ibride non nazionali come l’AfroAtlantico (P. Gilroy), di individui, stati, opinioni pubbliche e culture. Queste costellazioni sono il futuro prossimo. Costringeranno i mercati ad adeguarsi e non viceversa? Estenderanno la democrazia nel mondo rispetto al liberal-capitalismo che ha fallito? Occorrerà in primo luogo rispettare la varietà di voci, linguaggi, modelli di cui il mondo è composto e che non può essere uniformato, ridotto a una sola forma: quella del mercato liberista, del disordine mondiale e dell’anarchia che esso porta con sé.
Eppure le cose non stanno andando in questa direzione. La grande sfida del cambiamento climatico, è ignorata da molti Sud del mondo. L’India ha decuplicato le sue importazioni di petrolio dalla Russia. La Cina e l’Iran stanno sostenendo la Russia con armamenti e droni. L’Africa resta ai margini del mondo, neppure sfiorata dal dubbio che i due tiranni saranno presto i nuovi padroni coloniali. La democrazia e i diritti civili, di cui l’Occidente è stata la culla, non si diffondono in nessuno dei nuovi regimi politici seguiti alla caduta del muro di Berlino. Il mercato non porta la democrazia, come hanno pensato i liberali e i progressisti. Aveva ragione Max Weber, a vedere nell’Occidente un’eccezione nata dalla polis e dall’individualismo etico. Intanto la burocrazia celeste che domina la Cina continua a giocare il ruolo del futuro mondiale. L’economia dell’Occidente non sta rispondendo con una proposta equa e solidale verso i Sud del mondo. Dovrebbe rivedere radicalmente la divisione del lavoro che penalizza gli anelli più deboli delle catene globali del valore, soprattutto africani. Dovrebbe contendere alla Cina il primato nell’auto elettrica di cui essa oggi controlla gran parte dei componenti. Dovrebbe sostenere Taiwan in ogni modo, ben più di quanto abbia fatto nei confronti di Hong Kong. La globalizzazione irresponsabile condotta dall’Occidente – le piattaforme digitali, i grandi gruppi industriali in testa – negli ultimi trent’anni ha favorito i tiranni, anzi per certi versi li ha creati.