Il regno delle donne

2 Novembre 2013

Ricardo Coler, nato a Buenos Aires nel 1956, è medico e fotoreporter. Di lui Nottetempo ha tradotto Eterna giovinezza indagine sulla popolazione ultracentenaria che vive a Vicabamba in Ecuador. Nel regno delle donne, scritto dopo la sua permanenza in Cina, nella regione dello Yunnan, è uscito in edizione originale nel 2008 ed è diventato un best-seller mondiale.

 

Il regno delle donne descrive il suo soggiorno in Cina, presso un villaggio dell’etnia Mosuo. Distribuiti su un altipiano a 2600 metri, intorno al lago Loshui, i venticinquemila esponenti di questa etnia, arrivata dal Tibet nel XIII secolo, vivono da allora in una struttura sociale che lei ha definito di puro matriarcato, che nemmeno Mao è riuscito a cambiare. Può spiegare come il matriarcato definisca la formazione della famiglia e la gestione della società?


 

Nella società matriarcale la famiglia è molto importante, molto di più di quanto lo sia da noi. È formata dalla matriarca, dai suoi figli, siano essi maschi o femmine, e dai nipoti. Non esistono i mariti. È una famiglia inseparabile in cui neanche le proprietà vengono divise. Le famiglie matriarcali sono solide ed eterne.

 



In Occidente si lamenta la decadenza del ruolo del padre da più di mezzo secolo, almeno dalla pubblicazione del testo del sociologo Alexander Mitscherlich, Verso una società senza padre, uscito per la prima volta nel 1963. Il confronto con una società che viceversa ha istituzionalmente abolito la figura del padre cosa le ha permesso di osservare?

 



Che se manca il padre non cambia nulla. La gente lavora, i bambini crescono, vengono istruiti, le persone stanno e si comportano ugualmente bene. Perché l’importante non è il padre, ma la sua funzione. In Occidente identifichiamo la figura maschile con la legge. Nel matriarcato la legge è nelle regole che si danno la società e la famiglia. I Mosuo non hanno bisogno di un padre perché le regole vengano rispettate.

 

 

Lei afferma che il matriarcato non è il mero rovesciamento del patriarcato, ossia dello stesso tipo di logica di potere ma in mano alle donne. Può fornire qualche esempio legato alla vita quotidiana di questa popolazione?



 

Quando comanda un uomo, generalmente lo fa da lontano, controllando. La donna che comanda ricopre il suo ruolo da vicino, lavorando più di tutti. È capace di far rispettare e sentire il suo potere ma al tempo stesso tutti percepiscono la cura e l’attenzione che ha per la famiglia, il suo preoccuparsi che tutti stiano bene e che a nessuno manchi qualcosa.



 

La famiglia basata sulla coppia eterossessuale e monogamica è una delle istituzioni sottoposte a maggior pressione e critica nella società occidentale, da almeno un secolo. Presso i Mosuo la coppia viene ritenuta un elemento di grande instabilità. Alla base della comunità c’è la famiglia di consanguinei, la madre, le sorelle i fratelli, quindi gli zii-e e nipoti. La vita amorosa e sessuale dei Mosuo è molto lontana dal finalismo riproduttivo o familiare a cui noi l’associamo. Si potrebbe quindi dire che famiglia e vita sessuale, amore e vita di coppia siano vissute come entità separate?



 

Noi crediamo che una sola persona possa darci amore, sesso, vita di coppia, famiglia, sostegno economico e all’educazione dei bambini. Se fossimo un pochino più ragionevoli, ci renderemmo conto che stiamo chiedendo troppo a un’unica persona. Il matrimonio d’amore è una pratica relativamente moderna e in molte culture, ieri come oggi, funziona di rado. E’ una nostra pretesa, qualcosa che si avvera molto raramente. Le donne Mosuo vivono in una società che permette loro di essere spesso innamorate: non esistendo il matrimonio ed essendo la famiglia costruita al di fuori del rapporto di coppia, la relazione con un uomo dura fino a quando c’è l’amore. Quando questo sentimento finisce, non ci sono altre ragioni per continuare a stare insieme. Non c’è una casa messa in piedi insieme, non ci sono legami di tipo economico. Nella società Mosuo, peraltro, i soldi sono di proprietà delle donne e i figli stessi appartengono solo a loro. E’ solo l’amore a tenere assieme una donna e un uomo e quando questo termina non c’è altro che li tenga uniti: possono separarsi e cercare un nuovo amore.



 

Lei afferma: “La donna Mosuo si sente al proprio posto. Non aspira a incontrare l’uomo della sua vita, con cui potrà sentirsi completa e raggiungere quello stato di felicità che, ipoteticamente, solo lui potrà darle. Né lei, né la sua comunità considerano la coppia come ideale da perseguire. Le situazioni simili a questa, che si sono moltiplicate in Occidente, si collocano più dalla parte della rassegnazione che della convinzione e della scelta.” In un certo senso è quanto afferma anche la sociologa Eva Illouz, in Perché l’amore fa soffrire, solo che presso i Mosuo i presupposti sociali e le convinzioni morali per cui l’amore sia causa di pene laceranti vengono a mancare, o s’indeboliscono fortemente. Cosa possiamo imparare, dunque, sulla faticosa costruzione culturale che è l’amore di coppia?

 



I film e i romanzi d’amore ci hanno un po’ confusi. Dopo un finale lieto, mi trovo sempre a chiedermi “e ora cosa succederà?”. Dobbiamo abbandonare l’idea fantasiosa che l’amore sia una garanzia di una vita di coppia felice e per sempre. Basterebbe cominciare a guardarci intorno, chiederci quante coppie conosciamo che dopo 30 anni di matrimonio si amano ancora e quante sono quelle che a malapena si sopportano. 
Le donne Mosuo non chiedono all’uomo più di quello che può dare. Sanno che l’uomo ha i suoi limiti, inutile rimproverarlo per le sue mancanze, sarebbe come pretendere di pescare in un fiume secco. Costruiscono perciò con gli uomini una relazione differente, senza lamentele e senza senso di insoddisfazione. E, soprattutto, senza pretendere che duri per sempre.


 


La società Mosuo sembra privilegiare il senso della comunità rispetto al culto dell’individuo. In controluce, l’amore e la coppia etorosessuali e monogamici come vengono concepiti in Occidente appaiono monumenti a un individualismo piuttosto logorante. Posto che le civiltà non sono abiti da poter indossare a piacimento, ancora una volta cosa ci dice il loro sistema di vita confronto con il nostro?



 

Oltre a quella dei Mosuo, esistono altre comunità matriarcali, Haneyo in Corea, Juchitan in Messico, Khasi, Jaintia e Garo in India. Non tutte sono società matriarcali pure, ma in tutte c’è un’idea di società diversa dalla nostra: solidale, fatta di forti legami sociali. Così succede quando sono le donne a comandare.



 

L’elemento che più colpisce del suo racconto della società matriarcale è l’assenza di violenza e la riprovazione a livello di ethos comunitario di qualsiasi forma di aggressività. La sua osservazione collima con le conclusioni pionieristiche di Jakob Bachofen, autore di un monumentale studio sul Matriarcato nelle civiltà antiche, pubblicato per la prima volta nel 1861. Ritiene che il potere maschile sia associato indissolubilmente al conflitto?

 



Non credo ci siano società ideali, però certamente tra i Mosuo non esiste nessuna forma di violenza. È interessante che questa mancanza di violenza non dipenda da un sistema di repressione e punizione. Essere violenti è considerata una cosa di cui vergognarsi, qualunque gesto aggressivo produce rigetto e disapprovazione. È una questione culturale e di nuovo vi vedo il segno della donna. Quando noi maschi litighiamo, e ci battiamo, sappiamo perfettamente perché lo stiamo facendo, mentre le donne, in generale, non riescono a trovarvi un senso. 



 

In che misura ritiene che la promiscuità sessuale dei Mosuo, ossia la possibilità di avere più partners ma anche di averne uno solo, volendo, senza tuttavia che questo implichi legami di possesso, sia legata alla comunità dei beni materiali e ai legami di solidarietà da essi fortemente sentiti e praticati?

 



Il fatto che le donne Mosuo scelgano con chi passare la notte e che cambino spesso il proprio partner non ne fa una società in cui vige la promiscuità. È una questione culturale, godono della loro vita sessuale senza farsi problemi. E la società lo accetta, non ci trova nulla di male. Certamente hanno un’idea di possesso dell’altro diversa dalla nostra. Esiste la gelosia, e certamente quando si innamorano chiedono l’esclusività.
 

 


L’economia praticata dai Mosuo potrebbe in qualche modo essere accostata ai fondamenti socialisti-marxisti in quanto non dà luogo all’arricchimento del singolo ma privilegia la ridistribuzione delle ricchezze e delle risorse? 



 

La teoria di Marx presuppone che la politica possa cambiare il modo di pensare e di sentire. Fino a 200 anni fa le donne non potevano neanche votare, e a nessuno sembrava strano. Oggi, se qualcuno prova a dire che le donne non dovrebbero votare, corre il rischio di essere impiccato. C’è stato un cambiamento politico che si è portato dietro un nuovo punto di vista sulle cose. Ciò che oggi ci fa infuriare prima ci sembrava normale. Non credo che un movimento politico, per come oggi si struttura, possa lasciar spazio al femminile. E qui bisognerebbe fare una distinzione importante tra il femminile e la donna.


 

Bachofen, i cui studi sul diritto materno antico furono attentamente presi in considerazione da Marx, Engels e Benjamin, pur essendo affascinato dalla possibilità di una società matriarcale pacifica e solidale, riteneva che il diritto maschile fosse comunque portatore di un balzo di civiltà. Ritiene che il rischio delle società matriarcali, le poche ancora esistenti sul pianeta, sia quello di essere eccessivamente statiche e semplificate?



 

Credo che la cosa più importante del conoscere una società matriarcale risieda nel fatto che fa capire che ci sono altri mondi possibili.

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