Archivio Zeta: Gran teatro anatomico

11 Novembre 2025

Liberamente ispirato a tre racconti contenuti nella raccolta I Vagabondi di Olga Tokarczuk, Gran Teatro Anatomico è l’ultimo lavoro del gruppo teatrale Archivio Zeta allestito negli ambienti dell’antico convento olivetano di San Michele in Bosco, sede storica dell’istituto ortopedico Rizzoli a Bologna.

Archivio Zeta da sempre ha fatto dell’interazione con i luoghi una propria caratteristica saliente, proponendo un teatro che non è mai (solo) racchiuso dalle quinte e da un sipario bensì movimento che allarga i confini, si appropria dello spazio e ne fa un protagonista altrettanto vivo e mobile dell’azione scenica, mettendo gli spettatori stessi nella condizione di spostarsi e cambiare prospettiva.

Gli ambienti dell’istituto Rizzoli, in particolare la biblioteca seicentesca, i corridoi e i chiostri quattro-cinquecenteschi, la sala del disegno anatomico e il refettorio, dove si articolano gli atti di Gran Teatro Anatomico sono dunque parte di un progetto che non è solo site specific, come si usa dire oggi, ma in sinergia pura con il tema affrontato perché a parlarci di corpi – vivi, morti, amputati, sezionati, esposti – sono gli attori ma anche la pagine degli antichi trattati medici aperte sui grandi leggii, le fotografie storiche dei ricoverati risalenti al primo Novecento, i busti dei luminari della scienza, le tavole anatomiche, gli affreschi e il grande mappamondo settecentesco, oggetti che spostandosi da una stanza all’altra non forniscono mera ambientazione ma sono sorgenti di dialogo visivo e simbolico.

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Willem van Horsen (Giuseppe Losacco).

Sfruttando l’estensione longitudinale della biblioteca lo spettacolo inizia con la presenza delle tre figure che si faranno portatrici di storie che percorrono tre secoli: dal Seicento olandese che vede l’anatomista Philip Verheyen (Andrea Maffetti) sezionare con l’assistente Willelm van Horsen (Giuseppe Losacco) la propria gamba amputata, in vista del trattato che porterà a termine prima di morire, al Settecento viennese dove la figlia di Angelo Soliman, Josephine von Feuchtersleben (Ermelinda Nasuto) reclama il corpo del padre, un nero che aveva goduto i favori di corte ma che da morto viene esposto come un animale impagliato nella wunderkammer imperiale, fino a metà dell’Ottocento quando la sorella di Chopin, Ludwika Jędrzejewicz (Enrica Sangiovanni), assiste all’autopsia compiuta sul corpo del fratello e, dopo la sepoltura e il travagliato funerale parigino, ne riporterà il cuore nella natia Polonia.

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Philip Verheyen (Andrea Maffetti).

A introdurre e legare i diversi episodi è Frederik Ruysch (Gianluca Guidotti) botanico e anatomista olandese del Settecento, noto per le sue pratiche di imbalsamazione e protagonista di una delle Operette Morali di Leopardi. Sono tre storie distinte e lontane nel tempo, eppure accomunate dalla riflessione sul corpo, luogo dove dimoriamo senza averlo potuto scegliere, e col quale cerchiamo di continuo di ricomporre unità e armonia, mentre esso si modifica, si riproduce, si ammala, si frammenta, viene discriminato perché difettoso o di un colore diverso. Vagabondi sono dunque questi personaggi attraverso le mappe geografiche e i confini stabiliti dal censo sociale, dal genere, e dalle convenzioni storiche, ma soprattutto vagabondi sono i corpi, o meglio i frammenti di corpo che, come reliquie, sono la traccia di vite vissute ancora in grado di irradiare significato per i vivi. Con struggimento e strazio Philip Verheyen si raccomanda al chirurgo che lo opera di conservargli la gamba amputata che chiederà invano venga poi seppellita con lui alla sua morte, per poter risorgere intero, come vuole il credo cristiano per cui saranno i corpi a risorgere, con lo stesso strazio e con rabbia la figlia di Angelo Soliman chiede la restituzione del cadavere paterno per potergli dare sepoltura e sottrarlo agli occhi morbosi dei visitatori della wunderkammer imperiale, con strazio e gran rischio la sorella di Chopin nasconde il cuore del fratello sotto le spesse trine della gonna sfidando frontiere e controlli per riportarlo in patria.

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Ludwika Jędrzejewicz (Enrica Sangiovanni).

Le disiecta membra fisiche di cui si parla sono letteralmente le spoglie di affetti perduti, ma anche le parti di quel continuum vitale in cui tutti siamo immersi e Gran Teatro Anatomico, più che mimare la realtà organica di una gamba mozzata, di un cuore trafugato, di una cotenna impagliata, li trasforma in icone simboliche che i protagonisti indossano. Sono una vera e propria seconda pelle i superbi costumi realizzati da Emanuela Dall’Aglio che fa fiorire in perline finissime e traslucenti la cassa toracica di Chopin, come i coralli che ricoprono le ossa nel mare di cui ci parla Shakespeare nella Tempesta, punteggia casacche di occhi e sfere celesti che alludono al rapporto fra macrocosmo e microcosmo, disegna la fisiologia femminile sotto il corpetto di Josephine von Feuchtersleben pronto a essere scoperto e dispiegato come una tavola anatomica. Al tempo stesso questi abiti così parlanti sono frutto di una rigorosa ricerca storica e contribuiscono a evocare, insieme alla musica curata da Patrizio Barontini, il passato con la sua precisa impronta materiale. Ancora una volta la puntualità filologica, sempre presente nel lavoro di Archivio Zeta, non rimane inerte ma è messa in gioco con quel senso di attraversamento del tempo e dello spazio che è forse la restituzione più potente che il loro teatro offre allo spettatore.

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Frederik Ruysch (Gianluca Guidotti).

Quando, ad esempio, Ludwika Jędrzejewicz si aggira nel buio del chiostro ottagonale del Fiorini e risuonano le note del requiem di Mozart che Chopin aveva richiesto venisse eseguito alla sua morte con la presenza di donne soliste, cosa che ritardò di tredici giorni il funerale per l’opposizione all’ingresso di donne nel coro del parroco della chiesa della Madeleine, si produce una delle scene più suggestive, e ciò che gli spettatori percepiscono è proprio la vertigine della sincronicità: siamo a fine Cinquecento, siamo nel Settecento, siamo nell’Ottocento ma anche nel presente.

Altissimo e liberatorio il finale: il cuore di Chopin estratto dal viluppo di trine a lutto dell’abito di Ludwika è tornato a casa, la sorella può finalmente piangere. Calano il silenzio e il buio nella grande aula del refettorio. Si crea un’oscurità prolungata e intima in cui gli spettatori avvertono il battito del proprio cuore e di quello dei vicini e finalmente il respiro che è, per tutti, rilascio di emozioni, consapevolezza di portare dentro di sé mescolate vita e morte insieme.

Gran Teatro anatomico, dal 24 ottobre al 23 novembre 2025

drammaturgia e regia Gianluca Guidotti e Enrica Sangiovanni

linfa liberamente tratta dalle storie di Olga Tokarczuk

con Gianluca Guidotti, Giuseppe Losacco, Andrea Maffetti, Ermelinda Nasuto, Enrica Sangiovanni

consulenza musicale Patrizio Barontini

costumi Emanuela Dall’Aglio

assistenti costumi Ilaria Strozzi, Anna Gaiti

tecnica Elio Guidotti

grafiche stampe anatomiche Andrea Sangiovanni

cura delle relazioni Emanuela Rea

ufficio stampa Francesca Rossini – Laboratorio delle parole

foto di scena Franco Guardascione

grafica Silvia Galliani

produzione archiviozeta 2025 fa parte di VISTA PARADOX 2025 prospettive culturali realizzato con il sostegno del Comune di Bologna | Settore Cultura e Creatività, nell’ambito dell’accordo di programma con MiC Direzione Generale Spettacolo a sostegno di attività di spettacolo dal vivo nelle aree periferiche e con il contributo di Regione Emilia-Romagna e Fondazione   collaborazione con IRCCS Istituto Ortopedico Rizzoli nell’ambito del Patto per la lettura Bologna

L’ultima immagine ritrae Josephine von Feuchtersleben (Ermelinda Nasuto).

Le fotografie sono di Franco Guardascione

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