Paolo Di Paolo: l'Italia tra muli e aeroplani

3 Dicembre 2025

È così, di fronte a una macchina fotografica non si può sottrarre la propria condizione, qualsiasi essa sia: Paolo Di Paolo l’aveva capito guardando un bambino di Forchia, piccolo e malato, che non si sottrasse allo sguardo del fotografo. Anzi, lo affrontò con dignità serena.

Paolo Di Paolo: cinquant’anni quasi di oblio dopo una carriera brillante, autocostruita, da figlio molisano scappato a Roma per studiare Filosofia, innamorato di una Leica vista in vetrina e poi fotografo di riferimento di Mario Pannunzio, leggendario fondatore del leggendario “Il Mondo”, settimanale dei più intellettualmente vivaci, meta di lustro dei repoter, con una visione della fotografia inedita in un panorama editoriale che voleva l’immagine supporto e didascalia del testo, senza autonomia. Pannunzio insegnò alla fotografia, e quindi ai fotografi (o viceversa, forse), che lo scatto poteva reggersi in piedi da solo, e nelle sedici pagine che costituivano i suoi numeri, dal 1949 al 1966, ogni immagine doveva seguire direttive formali che sfidassero la curiosità del lettore, ora interprete della complessità di un mondo (appunto) stratificato e multiforme, visto attraverso le sue sfumature più che dalla superficie dei suoi dettagli più evidenti. Pannunzio e Di Paolo si trovarono bene insieme, il fotografo possedeva quella qualità innata, amatore dilettante com’era, di vedere nelle scene che inquadrava storie e sentimenti che bastavano a raccontare una città, talvolta una regione, un certo stato d’animo dell’Italia frammentata in lungo e in largo negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra. 

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Paolo Di Paolo by Bruce Weber, 2017.
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Paolo di Paolo, La Ferrari, Maranello (Modena), 1961.

Un’Italia che, dai volti delle sue celebrità al visino del bimbo infermo di Forchia, era da sola un racconto, una scenografia, pura commedia dell’arte di cui grandi fotografi come Paolo Di Paolo, di cui adesso parleremo meglio, hanno raccolto quasi col cucchiaino i frammenti migliori. Migliori nel senso di più carichi di significato e, dunque, di valore anche formale. A noi le immagini di Di Paolo sono state mostrate tardissimo, la prima volta nel 2019 per la grande retrospettiva, a cura di Giovanna Calvenzi, che gli dedicò il MAXXI di Roma, dopo che la figlia Silvia, che cura la mostra insieme a Calvenzi di cui ci accingiamo a parlare, ritrovò in cantina centinaia di negativi e materiali di cui il padre non volle mai parlare prima. Una cesura netta con la propria carriera da fotoreporter, quella di Di Paolo, dovuta alla chiusura di “Il Mondo”, all’ingresso massiccio di altri mezzi di comunicazione (la televisione, in primis) che fece tremare il terreno sotto i piedi dei giornali, fino ad allora vissuti in un clima di crescita e successo. Paolo Di Paolo divenne reporter, non lo nacque; o se lo nacque si tenne nel sangue questo istinto fino al 1953, lui del 1925, quando appunto si innamorò dell’albero prima che del frutto. La Leica vista in vetrina, prima che di un’immagine. 

Gli anni precedenti si era dedicato a vari lavori, per mantenersi gli studi. Poi il grande ingresso nel mondo florido dei giornali, del racconto di un’epoca, dei viaggi, delle intimità concesse dai grandi volti del cinema, delle amicizie. La mostra “Fotografie ritrovate”, a Palazzo Ducale a Genova fino al 6 aprile 2026, è appunto il tesoro sotto terra e dissepolto, trecento immagini nate durante la vicenda umana di Di Paolo. Definito un po’ come il nostro Henri Cartier-Bresson, nei numerosi reportage di Di Paolo, passati doverosamente in quegli anni dai borghi contadini del centro e sud Italia a indagini di costume che lo portarono fuori dai confini nostrani fino a Tokyo o Teheran, in effetti si intravede una simile lucidità di sguardo, un’affilatezza capace di capire la storia che si ha di fronte dando il giusto peso ai personaggi che la porteranno avanti, senza giudizio, con l’emozione giusta di chi non vuole imporne nessuna al lettore, invitato semmai a provare le proprie di fronte a ciò che vede. Così appaiono i bambini tristi di Trani intravisti da un finestrino di automobile, il prete che cammina assorto nella lettura dietro la parata dei carabinieri, persino Giorgio De Chirico che ci guarda torvo per il sole negli occhi, e i tanti, davvero tanti soggetti voltati di schiena. 

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Paolo Di Paolo, Puglia, Trani, Il padre della sposa, Litorale di Trani (Puglia), 1959.
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Paolo di Paolo, Giorgio de Chirico nella sua terrazza, Roma, 1964.

Nel catalogo, edito da Marsilio Arte, ricco di testi (oltre a quelli delle due curatrici: Roberta Valtorta, Michele Smargiassi, Bruce Weber, Alessandro Sarlo, Isabella Rossellini), Weber, che dedicò al fotografo il documentario “The Treasure of his Youth” (2021), scrive una frase incisiva e bella: “La cosa meravigliosa dell’essere un fotografo è come se il mistero di se stessi venisse rivelato nelle immagini.” Pur non vedendo in volto molti dei suoi soggetti, capiamo che quello è Paolo Di Paolo, la sua visione riconoscibile. Anche quando invece i volti si fanno reali, presenti, e sono magari quelli dei nomi più rilevanti della cultura italiana del tempo. “Incontri impossibili” è una serie di ritratti doppi di celebrità appartenenti ad arti diverse: vediamo Gina Lollobrigida e Giorgio De Chirico, Salvatore Quasimodo e Anita Ekberg, giustapposti e fatti confluire in un unico recinto, come due animali di razze diverse per vedere quale sorpresa la natura potrà riservare dall’incontro. Quasimodo, estasiato e forse timoroso per la prorompenza della diva, Lollobrigida quasi metafisica sotto gli occhi obliqui del maestro. Sembra quasi avesse un modo proprio di incontrare, di andare incontro alla gente e alla realtà, Paolo Di Paolo: una genuinità capace di perdurare negli anni e che permise di mantenere saldo il proprio sguardo, senza frizioni interne. Quasi dando l’impressione che le immagini gli venissero con naturalezza, frammenti di questo mare certamente impossibile da svuotare con un cucchiaino ma di cui il fotografo sa, sapeva, quali parti raccogliere. 

Tra i grandi nomi, Anna Magnani e Pier Paolo Pasolini meritano una parola. Fu a Di Paolo che la grande attrice diede il permesso di fotografarla insieme al figlio Luca, tenuto lontano dai riflettori in una riservatezza di protezione totale; fu a Di Paolo che il grande intellettuale chiese di essere ritratto, lui che rifiutava sempre le proposte di altri fotografi. Sempre nel catalogo, Di Paolo parla della sua “foto della vita”, e fu appunto con Pasolini: “Ci incontrammo l’indomani ai piedi di Monte dei Cocci, al quartiere Testaccio. [...] Quando fummo alla sommità, la scena da Golgota appariva perfetta. [...] Capii anche che il luogo gli era abituale. Capii che vi veniva per nutrirsi di solitudine.” Qui, l’incontro con un ragazzo, sfuggente sulla sinistra dell’immagine mentre Pasolini lo guarda andare via mentre “l’unico protagonista”, il gasometro svettante sulla periferia plumbea di Roma, si contende i nostri rimasugli di attenzione. Ancora, quindi, l’istinto di Di Paolo a trovare personaggi e storie anche nel mondo inanimato, saperli collocare dentro una riproduzione infinitesimale, quasi come se le cose oltre alle persone fossero state da lui dirette, collocate, minuziosamente decise. Un tipico scatto à la sauvette, per tornare a Cartier-Bresson: realizzato, tra la visualizzazione mentale e lo scatto, in dieci secondi appena. Eppure, l’effetto del momento colto al volo accoglie l’ipotesi, chiaramente infondata, di un ordine imposto alle cose, quasi il fotografo potesse davvero decidere il corso degli eventi, dar loro, seppur con gentilezza, una fissa disposizione.     

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Paolo Di Paolo, Puglia, Trani, Il padre della sposa, Litorale di Trani (Puglia), 1959.
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Paolo Di Paolo, Anna Magnani, San Felice Circeo, 1955.

Così i volti della gente che accompagnò, a fiumi, il corteo funebre di Palmiro Togliatti il 24 agosto 1964, sempre quasi senza farsi vedere: dei primissimi piani di sgomento, la gente arrampicata sulle finestre, l’anziana signora coi gladioli in mano (che ricorda molto l’anziano di Sarajevo fotografato da Uliano Lucas nel 1992), il silenzio assoluto delle strade di Roma.

Tutto, gli occhi non possono averlo: ma la somma degli scatti di Di Paolo danno l’impressione chiara di un tempo e di un paese; e l’intero comunque ci compare.

Nonostante l’allontanamento dal mondo giornalistico e il ritiro in campagna, dopo la chiusura di “Il Mondo” Di Paolo non smise di fotografare. Lavorò a stretto contatto con l’Arma dei Carabinieri a numerose pubblicazioni, curando oltre all’immagine anche i testi e l’aspetto grafico. L’anno della sua scomparsa, il 2023, all’età di novantotto anni, coincide con quello della laurea ad honorem in Storia dell’arte e insegnamento della fotografia che gli conferì l’Università La Sapienza di Roma. Il mondo lo salutò dunque con l’incoronazione a fotografo più importante del XX secolo. Una vestizione che avviene non all’apice dei propri successi, ma dopo la loro somma, sepoltura, e riscoperta: il segnale forte dell’efficacia duratura dell’immagine, di certe immagini. Pensiamo a questo: nel 2021 usciva DALL-E, nel 2022 ChatGPT, per citare due software dei più famosi relativi alla creazione di immagini tramite intelligenza artificiale. E il mondo celebrava Di Paolo, le sue fotografie di un’Italia scomparsa, divisa tra i muli e gli aeroplani. Quasi una resa alla nostalgia, alla coscienza rinnovata del passato, dei suoi ritorni speculari. Pensando a questo, l’uomo ci può apparire davvero spaccato in due come il giano bifronte: proteso verso l’entusiasmo del recupero e travolto dalle nuove tappe della propria vicenda. Ed è pensando a questo che la realtà, pur sapendola ancora più estesa del pensabile, si fa qualcosa di comune, a portata, se vogliamo, di cucchiaino.

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Paolo Di Paolo, Porto di genova, 1959.

PAOLO DI PAOLO
Fotografie ritrovate
A cura di Giovanna Calvenzi e Silvia Di Paolo
Dal 23 ottobre 2025 al 6 aprile 2026
Palazzo Ducale–Sottoporticato   

In copertina, In copertina, Paolo di Paolo, Gargano (Puglia).

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