Il dono di Thot: leggere l’antico Egitto

3 Agosto 2023

Una statua che rappresenta Jean-François Champollion con il piede sinistro posato sulla testa di un faraone ha suscitato l’indignazione di molti cittadini egiziani. Il ritratto scolpito in marmo nel 1875 da Auguste Bartholdi per la città natale del linguista (ora nel cortile d’onore del Collège de France), è un’antiquata espressione dell’arroganza colonialista? In una lettera inviata al sindaco della città il 6 febbraio 1867, lo scultore spiega: “Ho voluto rendere Champollion come Edipo che strappa alla sfinge il suo segreto”. La testa sulla quale Champollion posa il suo piede è quindi quella della sfinge tebana. La scultura è una metafora visiva della decifrazione della scrittura geroglifica, considerata un formidabile enigma.

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Auguste Barthol, Statua di Jean-François Champollion, 1875. Cortile d’onore del Collège de France, Parigi.

L’esposizione Il dono di Thot: leggere l’antico Egitto, in corso al museo egizio di Torino (fino al 7 settembre 2023) dimostra come lo sforzo di comprendere i paesi colonizzati è stato in una certa misura parte integrante del processo di colonizzazione. È in questo contesto che sono nati gli studi indo-europei e Champollion ha potuto decifrare la scrittura dell’antico Egitto. 

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Manifesto della mostra.

D’altra parte lo sviluppo della scrittura stessa è il risultato di numerose interferenze e sovrapposizioni, come quella del greco sul demotico che ha generato il copto. Geroglifico, geroglifico corsivo, cuneiforme, ieratico, ieratico anormale, demotico, greco, copto, aramaico, arabo sono forme di scrittura che in questa regione si sono succedute, giustapposte e sovrapposte a causa di campagne militari, scambi economici, trasformazioni politiche e religiose. La mostra ricostruisce con cura scientifica queste sovrapposizioni e compenetrazioni a partire da quelli che alcuni studiosi considerano dei proto-geroglifici. La scrittura dell’antico Egitto è utilizzata per registrare terre coltivabili, lavoratori ed entrate fiscali, per comunicare a distanza e anche per etichettare beni e materiali. 

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Preparazione della carta di papiro. Museo del Papiro, Siracusa. Foto: Giovanni dall’Orto.

Terracotta, ceramica, legno, calcare, pietra e papiro sono i vari supporti utilizzati per scrivere. Un video realizzato con la collaborazione del Museo del papiro Corrado Basile di Siracusa, mostra la preparazione di questo supporto dalla fase di taglio della pianta a quella di pressione e asciugatura delle fibre. Su papiro troviamo testi in ieratico, greco e demotico. Il geroglifico preferisce invece la pietra e il calcare. Usato principalmente su monumenti, statue e steli, combina tra loro ideogrammi, fonogrammi e determinativi. In questa longeva forma di scrittura (l’ultima iscrizione risale al 394 d.C.) un segno può richiamare alla mente un oggetto o un concetto ad esso associato (ideogramma), oppure un suono (fonogramma), formando combinazioni simili ai rebus o agli SMS che inviamo agli amici. Per comporre la parola “aperitivo” utilizziamo l’immagine di un’ape seguita dalle tre sillabe che compongono “ritivo”, oppure il numero 3 come fonogramma per scrivere “ho perso il 3no”. 

Un video illustra in modo chiaro la logica con la quale ideogrammi, fonogrammi e determinativi entrano in rapporto tra loro, facilitando la “lettura” dei pregevoli rilievi su tavolette in calcare, esposti nella stessa sala. Tra questi una bellissima anatra che sta per il suono “sa”, il cui significato è “figlio”. Affascina il modo in cui il modellato naturalistico e vivace di questa immagine entra in rapporto con una rappresentazione complanare, per nulla naturalistica, delle zampe palmate. Il geroglifico trasfigura la realtà per mostrarla in una nuova luce. La realtà splende attraverso il simbolo, e questi piccoli rilievi che raffigurano anatre, falchi, serpenti, avvoltoi, pulcini di quaglia, rondini e passeri comunicano un senso pieno della vita attraverso il meccanismo di rinvio tipico del segno. Guardo il rilievo con la rondine pronta a spiccare il volo e odo il suono “ur” che significa “grande”, immaginando la vastità del cielo nel quale questa ipostasi dell’anima umana vola senza mai posarsi a terra. Immagino anche la vastità degli altri significati che le combinazioni ideografiche e fonetiche conferiscono a queste immagini fresche e vivaci: un sovrappiù di vita. Non basta il palpito che si avverte sotto il soffice piumaggio del pulcino di quaglia, reso con encomiabile abilità dallo scultore, la vita ha bisogno della parola per rivelarsi appieno, ha bisogno del suono “u” che questo simbolo uniletterale richiama alla mente combinandolo ad altri suoni per formare parole e concetti.

In uno dei miti della creazione risalenti all'Antico Regno (2575-2125 a.C.), Ptah crea il mondo pensandolo nel suo cuore e ordinandolo con la parola. Ptah è “colui che forgia”, “il modellatore” oppure “lo scultore” e queste definizioni chiariscono molto bene il rapporto che la parola detta ha con quella scritta (scolpita e dipinta) sulle pareti di quei libri tridimensionali che sono i templi e i mausolei. Questo vale per la scrittura geroglifica che ha una destinazione monumentale e che è la “scrittura di dio”, come suggerisce l’etimo del termine “ἱερογλυϕικός - geroglifico, composto di “ἱερός - sacro” e “γλύϕω - incidere”. I geroglifici sono segni sacri prevalentemente incisi su pietra e calcare.

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Statua stelofora del caposquadra Inherkau (frammento), Nuovo Regno, XIX-XX dinastia (1250-1130 a.C.). Museo Egizio di Torino.

Segni o simboli? Per la difficoltà posta a linguisti e semiologi nel definire i meccanismi di rinvio questi segni vengono chiamati anche simboli. Molti usano infatti i due termini come sinonimi. Nel simbolo opera un meccanismo di rinvio che ricongiunge (come suggerisce l’etimologia del termine σύμβολον), mentre nel segno la dialettica di significante e significato, che si attiva ad ogni interpretazione, divarica anziché accostare e riunire. Non è però questa una questione che avrebbe potuto interessare lo scriba, attento piuttosto al potere magico delle parole che agiscono direttamente sulla realtà e la influenzano. A questo proposito è significativo il fatto che nel Papiro della Congiura, il riassunto di un processo ai congiurati che hanno tentato di suscitare una rivolta e attentare alla vita del faraone, si usano giri di parole per evitare di usare l’espressione “uccidere il re”. La parola non descrive la realtà ma la determina. 

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Vetrina espositiva con strumenti utilizzati dallo scriba (a destra un modello di tavoletta da scriba del Primo Periodo Intermedio, VII-XI dinastia (2118-1990 a.C.). Museo Egizio di Torino.

Di grande aiuto per la ricostruzione del ruolo svolto dalla scrittura in questa società sono stati i testi ritrovati a Deir el-Medina, il villaggio che ospitava le famiglie degli operai incaricati di costruire le tombe reali nel corso del Nuovo Regno (1350-1050 a.C.). Questi scritti hanno permesso di delineare la figura dello scriba (sekhau), che poteva essere un funzionario amministrativo o un militare, ma anche un medico o un sacerdote, poteva essere anche un pittore o uno scultore. Nell’antico Egitto l’arte della scrittura era trasversale ai diversi ambiti professionali e alle varie discipline. Champollion ebbe a dire che la scultura e la pittura “non erano altro che dei veri rami della scrittura”. Nel mito di Ptah infatti scrittura e scultura sono considerate la stessa cosa. Il testo, l’immagine e lo spazio in cui si dispongono costituiscono un tutt’uno. Il Museo Egizio del Cairo conserva le statue in calcare di Rahotep e della consorte Nofret, che svolgono la funzione di determinativo tridimensionale per il loro nome, scritto sulla lastra che hanno alle loro spalle (Penelope Wilson, Hieroglyphs: A Very Short Introduction, Oxford University Press 2004). Il testo conduce perciò alle statue, che svolgono la doppia funzione di determinativo per il nome e di riferimento plastico per lo spazio architettonico nel quale si trovavano inserite. Il gruppo statuario è un formidabile esempio del rapporto fra testo, spazio e soggetto che lo rappresenta, attraverso la scrittura e la lettura. In Rahotep e consorte: parole con figure, Luigi Grazioli esplora queste relazioni, animando i due personaggi. 

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Statue di Rahotep e Nofret (con dettagli), Antico Regno, IV dinastia (2650-2610 a.C.). Museo Egizio del Cairo.

Il dono di Thot: leggere l’antico Egitto ci invita quindi a riflettere anche sul rapporto tra la scrittura e lo spazio che, secondo Tim Cresswell, si trasforma in luogo attraverso il processo della nominazione (Place: A Short Introduction, Blackwell, Oxford 2004). L’antico Egitto, che per secoli ha alimentato curiosità, fantasie e mode, è diventato esso stesso uno di questi luoghi. In Orientalism Edward W. Said sostiene che l’Oriente è uno spazio immaginario costruito dalla scrittura coloniale (Penguin Classics 2003). La testa sulla quale la statua di Champollion posa il suo piede è una metafora visiva della decifrazione della scrittura geroglifica, ma anche una testimonianza del nodo che lega lo sforzo di comprendere i paesi colonizzati al processo di colonizzazione, legame che la mostra mette in evidenza con un meditato approccio postcoloniale. 

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Description de l'Égypte, frontespizio, Parigi 1809.

Nella cornice del frontespizio della Description de l'Égypte (vol. I, 1809) il disegnatore François-Charles Cécile raffigura l’imperatore francese in nudità eroica, che mette in fuga l’esercito egiziano: “un esempio paradigmatico della completa integrazione dell’archeologia in una retorica imperiale e coloniale”, sottolineano i curatori della mostra Paolo Marini, Federico Poole e Susanne Töpfer.

Il dono di Thot: leggere l’antico Egitto, Museo egizio di Torino (fino al 7 settembre 2023). Curata da Paolo Marini, Federico Poole e Susanne Töpfer, curatori del Museo Egizio, la mostra è frutto di un progetto scientifico ideato dal direttore del Museo, Christian Greco, ed è sostenuta dalla Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino.

In copertina, Statuetta di Thot come ibis (722-332 a.C.). Museo Egizio di Torino.

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