Il fondamentalismo occidentale e gli spari

17 Settembre 2025

Le università americane sono al centro di una battaglia politica altrettanto importante di quella che coinvolge la magistratura o l’istituzione sanitaria degli Stati Uniti. L’attuale presidenza, insieme ai media e agli opinionisti che compongono la galassia della nuova destra, ha individuato nel mondo universitario il “cuore del sistema” che garantirebbe il perpetuarsi dell’egemonia culturale della sinistra. L’attacco alle università è dunque prioritario al fine di ristabilire un’egemonia conservatrice che può far pensare a un ritorno agli anni Cinquanta, alla paura del comunismo e al periodo del maccartismo, mentre in realtà si tratta di un fenomeno politico nuovo, e che mira a stabilire un vero e proprio “fondamentalismo occidentale”.

Come tutti i movimenti nati dopo la crisi della modernità (che possiamo datare all’incirca tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso), e che aspirano ad essere fondativi o rifondativi, anche il fondamentalismo occidentale, non diversamente dal fondamentalismo islamico, senza escludere quello neoconfuciano, si basa su principi largamente ricostruiti ad hoc. Sulla base di un’armoniosa comunità immaginaria, che non è mai esistita nel modo in cui viene idealizzata, il fondamentalismo occidentale pianifica un mondo in cui convivono, impossibilmente, le origine greco-romane dell’Occidente insieme alla morale puritana, i valori della modernità insieme all’esclusione dell’illuminismo, il rifiuto dell’Islam insieme a un ridimensionamento del ruolo della donna che troverebbe favorevole qualunque fondamentalista islamico, la rivendicazione del cristianesimo come unica religione compatibile con l’Occidente insieme al ripudio totale di ogni manifestazione di compassione cristiana verso chi si trova in uno stato di bisogno, la rivendicazione della dignità della classe operaia non qualificata insieme a un completo silenzio sulle possibilità di miglioramento economico della stessa classe, per finire con l’adorazione esplicita nei confronti dei tecnocrati neofeudali che violano tutte le regole dello stesso capitalismo a cui dicono di tenere fede.

Lo scopo del fondamentalismo occidentale è l’istituzione di una società fondata sulla supremazia della razza bianca anglosassone di sesso maschile, intesa come unica portatrice di civiltà. Istituzioni tramontate o sulla via del tramonto come schiavitù, segregazione, colonialismo, nazionalismo estremo, discriminazione nei confronti delle donne e delle minoranze etniche e sessuali, vengono rivalutate nella loro supposta necessità storica e nel loro ruolo di difesa di una razza altrimenti minoritaria rispetto ad altre razze più numerose ma considerate intellettualmente e moralmente inferiori. Gli apologeti, gli attivisti e i politici del fondamentalismo occidentale possono occasionalmente reclutare uomini e donne di razze diverse o anche di visioni meno estremiste delle loro, restando però inteso che tali compagni di viaggio, o anche utili idioti, al momento della divisione del potere potranno aspirare solo al ruolo di comprimari.

Il fondamentalismo occidentale non è semplicemente la ripresa del senso comune degli imperi europei all’epoca del colonialismo, quando sarebbe stato impossibile convincere qualunque intellettuale, anche tra i più illuminati, che un essere umano di pelle nera potesse avere le stesse capacità intellettive di un bianco. Ciò che i fondamentalisti occidentali propongono è un “ritorno al futuro”. Se la loro proposta fosse politica, anche nella sua dimensione antidemocratica, troverebbe comunque posto nell’ambito del dibattito politico corrente, esponendosi al rischio di essere rifiutata da società di fatto pluraliste e multirazziali. Ma non si tratta infatti di una politica, quanto di un’utopia antipolitica il cui fine è precisamente l’abolizione della politica e la sua sostituzione con un potere centralizzato, neo-monarchico, saldamente garantito da appartenenza di razza e censo.

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C’è però una contraddizione interna all’intera filosofia del fondamentalismo occidentale. Ogni utopia, da quelle rinascimentali fino al comunismo, ha immaginato una società che prima non c’era. Poteva essere fondata su basi tecnocratiche, religiose, morali o economiche, ma si presentava come un esperimento sociale non ancora tentato. Anche il fascismo aveva l’ambizione di creare un “uomo nuovo”. Il fondamentalismo occidentale non ha in vista nessuna di queste prospettive. Non intende creare un mondo nuovo. Mira solo a stabilire una gerarchia immutabile la cui sola esistenza dovrebbe essere in grado di proteggere la società ideale da ogni intrusione esterna, nonché da ogni seduzione intellettuale (ma anche erotica), che possa venire da chi non è bianco, eterosessuale e cristiano-nazionalista.

La seconda contraddizione generata da questa visione cieca è che, una volta realizzata, tale utopia non potrebbe assolutamente “difendere la società”, nemmeno una società formata esclusivamente da soggetti appartenenti alle categorie appena menzionate.

Il presupposto, infatti, è che ogni soggetto bianco-eterosessuale-cristiano-nazionalista sia monarca in casa sua, con potere assoluto rispetto alla sua famiglia (una delle proposte avanzate è che sia solo il capofamiglia a votare) e alla difesa armata del suo territorio, e insieme nessun potere nei confronti di qualunque altra interazione sociale, se non quella di attaccare e distruggere i nemici. Ma chi è il nemico? In quante categorie si distinguono i nemici? E soprattutto chi, oltre a me stesso, mi difende dal mio nemico?

A parte le armi di cui dispone, il soggetto del fondamentalismo occidentale è essenzialmente e totalmente indifeso, e dunque in un costante stato paranoide. Gli viene detto, però, che solo dal suo essere indifeso deve trarre il suo orgoglio. Il fondamentalismo occidentale si lascia così alle spalle anche l’utopia libertaria, che vede nel singolo cittadino l’unico padrone di se stesso, ma appunto perché parte dal concetto di cittadino non lo annulla (o almeno non dovrebbe) in una gerarchia impossibile che promette allo stesso tempo un totale controllo sociale e il godimento feroce dell’anarchia scatenata.

Se è vero che la recente uccisione di Charlie Kirk, uno dei più importanti e seguiti attivisti del fondamentalismo occidentale, è opera di qualcuno che, per quanto se ne sa, non apparteneva a convinzioni politiche diverse (o forse, e più probabilmente, derivava la sua visione del mondo solo dai videogiochi di cui era appassionato), allora non si può considerare la sua uccisione come un fatto politico in senso tradizionale. Kirk, pur esprimendo convinzioni estreme, inclusa quella secondo cui un certo numero di morti per arma da fuoco è un prezzo da pagare per difendere la libertà, era considerato un moderato dai gruppi della destra ancora più estrema. Non si presentava come un bellicoso antagonista, incontrava gli studenti universitari liberal con il proposito di convertirli alle sue idee, e spesso ci riusciva. Invece di limitarsi a odiare l’istituzione universitaria da lontano, la usava come un missionario che si presenta disarmato di fronte ai selvaggi per convincerli della superiorità morale del suo vangelo. L’attuale inquilino della Casa Bianca gli deve molti voti di giovani elettori.

Il problema irrisolto di tale visione del mondo è che nel tipo di società o non-società propugnata da Kirk, essendo abolita ogni empatia (termine che lui stesso definiva come “tossico”), non c’è possibile solidarietà nemmeno tra coloro che condividono la stessa ideologia. L’utopia realizzata del fondamentalista occidentale è l’uomo armato sulla soglia di casa, pronto a difendersi da chiunque, anche da chi la pensa come lui, perché non la penserà mai esattamente come lui, e il suo unico comandamento è: “Chi non è me, è mio nemico”.

In copertina, fotografia di © Gabriele Galimberti per il progetto "The Ameriguns".

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