La strategia del desiderio

30 Aprile 2014

Nella sezione finale di Apocalittici e integrati, recante lo stesso titolo del libro, Umberto Eco ha raccolto alcuni articoli di giornale che aveva precedentemente pubblicato. Uno di questi è sostanzialmente una recensione del libro La strategia del desiderio di Ernest Dichter, la cui edizione italiana era stata fatta uscire l’anno prima da Garzanti. Chi era Dichter? Uno psicologo di origine austriaca che aveva fondato negli Stati Uniti, a metà degli anni Quaranta, l’Istituto per le Ricerche Motivazionali e uno di quegli abili “manipolatori delle coscienze” di cui aveva parlato negli anni Cinquanta il giornalista statunitense Vance Packard nel suo celebre I persuasori occulti.

 

Anzi, Dichter può addirittura essere considerato il vero e proprio protagonista di questo libro. D’altronde, negli Stati Uniti, all’epoca, era senz’altro il più importante personaggio del settore delle ricerche di mercato dette «motivazionali», le quali applicano le tecniche psicologiche all’analisi delle motivazioni del consumatore. Vale a dire che studiano l’inconscio del consumatore allo scopo di rendere maggiormente efficaci le attività pubblicitarie e di marketing delle imprese. Questo spiega perché in quegli anni la pubblicità veniva spesso accusata di essere il frutto del lavoro di abili professionisti che, grazie all’impiego di sofisticate tecniche, agivano sull’inconscio dei consumatori per condizionarne il comportamento e creare dei falsi bisogni di consumo. E proprio il volume I persuasori occulti ha fortemente alimentato questa concezione, ancora ben viva ai nostri giorni.


Tale concezione della pubblicità si basa però su una eccessiva paura della forza di tale strumento di comunicazione. Oggi sappiamo infatti che ogni campagna pubblicitaria opera non determinando direttamente dei comportamenti d’acquisto, ma stimolando la nascita di una disposizione psicologica favorevole, che soltanto in determinate condizioni potrà tramutarsi nell’atto d’acquisto desiderato da parte dell’impresa che l’ha commissionata. Per ottenere questo risultato, i pubblicitari cercano di associare ai prodotti dei significati e delle immagini particolarmente gradevoli. Il consumatore odierno infatti, più che la soddisfazione di bisogni di tipo funzionale, cerca nei prodotti una ricca gamma di significati psicologi e sociali (il successo, il prestigio sociale, il potere, la bellezza, ecc.). I pubblicitari però non si inventano nulla. Per massimizzare l’efficacia dei loro messaggi devono “catturare” dei significati che già esistono nell’immaginario dei consumatori e tentare di immetterli nei prodotti venduti sul mercato.


Curiosamente Eco, in un libro sulla cultura di massa la cui grande forza era costituita dalla capacità di rimanere in equilibrio tra la posizione degli apocalittici e quella degli integrati, quando parlava di Dichter sembrava apparentemente diventare apocalittico a sua volta. Accusava ad esempio Dichter di voler accreditare come neutrale uno strumento – la ricerca motivazionale – che neutrale non è. Certo, probabilmente Eco era anch’esso influenzato da quello spirito anti-industriale che predominava negli anni Sessanta e che faceva sì che le idee apocalittiche di Packard fossero particolarmente condivise nell’opinione pubblica. Ma, a ben vedere, Eco giustificava la sua posizione apparentemente apocalittica con un’argomentazione che rimane ancora oggi estremamente valida. Poneva infatti la questione della quantità di risorse a disposizione dei soggetti che comunicano. Vale a dire che sosteneva che nelle società contemporanee il rapporto di potere è diseguale. Da un lato c’è un consumatore singolo o una massa di consumatori singoli che al massimo si influenzano reciprocamente, dall’altro c’è un potente potere economico che possiede sia i mezzi di produzione che quelli di comunicazione e, soprattutto, può disporre di notevoli risorse economiche.


Insomma, secondo Eco, tutti, per comunicare al meglio, hanno la necessità di fare appello alle emozioni e all’inconscio di chi ascolta. Ciò era ben presente anche agli antichi greci, che avevano sviluppato delle apposite tecniche retoriche per tentare di ottenere un elevato livello di persuasione dell’interlocutore. Eco cioè qui sembrava anticipare una delle idee centrali della sua riflessione teorica successiva e cioè quella concezione della comunicazione come menzogna che svilupperà nel Trattato di semiotica generale. Ma perché ci sia democrazia, sosteneva ancora Eco in Apocalittici e integrati, è necessario che sussista una parità di condizioni: come in tribunale o in parlamento, ciascuno dev’essere libero di persuadere l’altro. Il che però non avviene nelle società contemporanee con la comunicazione pubblicitaria, nemmeno dopo l’avvento di un mezzo di comunicazione che consente l’interattività come Internet, dove tra le grandi imprese che operano al suo interno e i singoli utenti ritroviamo la stessa disparità di potere che veniva rilevata da Eco negli anni Sessanta.

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