Otto domande (1) / L'università dopo lo scossone della pandemia

Alessandro Carrera

 

La pandemia è stata affrontata facendo ricorso alle piattaforme digitali. Questo ha reso il tema della cosiddetta “fatica digitale” (digital fatigue) più che mai attuale. Il ritorno alla normalità eliminerà il problema o ne cambierà solo i termini? Come pensate che occorrerà affrontarlo?

 

Ne cambierà solo i termini, perché delle piattaforme digitali non si farà più a meno. Anche stando in classe, sarà sempre più comune collegarsi con qualche studioso che si voleva invitare ma, o non ci sono i soldi per pagargli tutte le spese, oppure è lo studioso stesso che preferisce dare la sua lezione direttamente da casa. Si faceva anche prima, ma c’erano resistenze da entrambe le parti. Pareva che senza la presenza fisica non ci fosse davvero “l’evento”. Ora, quando ci sarà la presenza fisica, sarà davvero un evento.

 

Uno degli aspetti meno considerati della didattica a distanza è la scarsa cura del modo in cui i docenti si presentano davanti allo schermo (inquadratura dal sotto in su, sgradevoli contrasti di luce, sfondi casuali). Ritenete che sarà necessario intervenire, o la fine dell’emergenza renderà tutto questo superfluo?

 

Be’, io non mi mettevo in giacca e cravatta, però avevo cura di scegliere almeno un maglioncino presentabile. Si impara. Rivedendo alcuni dei miei primi interventi durante la pandemia, alcuni dei quali finiti su youtube, ho potuto constatare che la luce era orribile, in una particolare collocazione dietro di me la stanza non era per niente in ordine, e che insomma dovevo fare di meglio. Ho cercato subito di dare al tutto un aspetto più professionale, e non volevo usare gli sfondi fasulli che contornano la figura umana come un ologramma venuto dallo spazio. Devo dire però che per una buona qualità di trasmissione la piccola telecamera montata sul computer non sempre basta, e il microfono degli auricolari nemmeno; ci vuole il kit usato da coloro che hanno un canale su youtube.

 

Nel rapporto con gli studenti e studentesse come avete scelto di procedere con le telecamere: lasciando libertà di accenderla oppure no? Avete riscontrato una differenza nel modo in cui la “classe” ha partecipato e c’è stata una differenza tra la partecipazione degli studenti e quella delle studentesse?

 

So che alcuni miei colleghi non riescono nemmeno a incominciare la lezione se non vedono in faccia tutti gli studenti. Io mi sono sforzato di pensare che stavo conducendo una trasmissione radio interattiva, in cui gli ascoltatori possono farsi sentire/vedere oppure no, possono rivolgermi domande per iscritto, per voce, oppure no. Nell’università americana poi c’è un’enorme attenzione per la privacy degli studenti. Se non vogliono mostrare l’interno delle loro case (ben pochi usano gli sfondi pre-programmati, mi sa che non piacciono proprio a nessuno), io non li posso costringere e non voglio neanche insistere. Certo, in alcuni casi avrei preferito capire con chi avevo a che fare, perché, sempre nelle università americane, bisogna sempre stare attenti a non dire niente di insensitive, e per essere sicuro che non stai offendendo qualcuno sarebbe meglio poterlo guardare in faccia e sapere di che razza è, di che sesso è, di che gender è, ecc. ecc. Però la mia impressione dopo due semestri e mezzo di insegnamento online (dal marzo 2020 al maggio 2021) è che la partecipazione è stata più o meno la stessa che avrei avuto in classe, e nemmeno c’è stata una disparità tra le domande che mi rivolgevano gli studenti e quelle rivolte dalle studentesse. Anzi, le domande erano in numero maggiore di quelle che normalmente ricevo in classe. Gli studenti americani (ma non credo siano solo loro) sono molto competitivi tra loro e se non fanno domande è anche perché non vogliono “esporsi” ai loro compagni di classe. Ma da casa forse si sentivano più sicuri. Abbiamo avuto discussioni che non mi sarei aspettato.

 

Quali vantaggi, se ci sono stati, avete riscontrato con studenti cosiddetti non-frequentanti? C’è stata una maggior presenza di studenti o studentesse lavoratrici?

 

Nelle università americane tutti gli studenti devono essere frequentanti, non è ammesso presentarsi solo agli esami. Se io so che uno è uno studente lavoratore posso chiudere un occhio su qualche assenza, ma non più di tanto, altrimenti lo farei oggetto di un favoritismo a danno di chi in classe ci viene sempre. Piuttosto, ho avuto studenti che non erano riusciti a venire fisicamente negli Stati Uniti per via delle restrizioni ai viaggi e hanno seguito l’intero semestre dalla Cina.

 

La funzione didattica è, a vostro parere, solamente trasmissione vocale e immagine, oppure entrano in gioco altri fattori sensoriali e percettivi legati alla presenza fisica? 

 

Alla fine del primo semestre “misto” (gennaio-maggio 2020) una studentessa ha scritto nelle sue valutazioni che io in classe ero molto più naturale, e non faccio fatica a crederci. Il cambiamento era stato brusco, più o meno da una settimana all’altra. Per quanto spesso l’insegnamento a distanza si riveli molto comodo (ma per quello che insegno io non ho bisogno né di laboratori né di un contatto continuo; per i miei colleghi che insegnano, ad esempio, i primi anni di lingue straniere non è stato facile per niente), non può sostituire completamente la presenza fisica. Esistono infiniti fattori prossemici che sono parte integrante dell’insegnamento, come ti muovi, chi guardi, il tono di voce che usi, e così via. Ma devo anche aggiungere che alcuni colleghi davanti allo schermo del computer si sono trovati più a loro agio di quanto credessero. Se in classe si dimostravano magari rigidi per nascondere l’insicurezza, a casa loro, esattamente come i loro studenti, si sentivano più a loro agio. Saranno stati certamente una minoranza, ma insomma ci sono anche loro. E adesso temono il momento in cui torneranno in classe…

 

Diversi atenei incoraggiano una didattica mista, ossia in presenza e insieme in ‘live-streaming’. I vantaggi sono il numero in aumento degli iscritti, quali sono secondo voi gli svantaggi? 

 

Il fatto che molte classi abbiano sempre lo stesso numero di iscritti è uno dei fattori che fa aumentare i costi dell’istruzione. Tutto col tempo aumenta: la manutenzione, l’equipaggiamento, anche gli stipendi (poco). Mentre, per dire, le aule dove insegno io sono sempre programmate per venticinque-trenta persone. Ce ne sono di più grandi, ma poche, e sono riservate ai corsi introduttivi generali. Poter insegnare in modalità hybrid o HyFlex (high flexibility), con una parte degli studenti in classe e l’altra online, certamente può contribuire ad abbattere i costi e risolvere in parte il problema delle aule, ma non è la migliore delle soluzioni, né per gli insegnanti né per gli studenti. Vuol dire che non ti puoi muovere dal computer che c’è in classe, che devi pensare molto di più a chi ti segue in remoto che a chi sta lì davanti a te. È come essere sempre al telefono, e si sa che se qualcuno ti telefona la persona in carne e ossa davanti a te passa in secondo piano. Meglio decidere: o tutto in presenza o tutto online.

 

In generale: l’esperienza della didattica a distanza vi ha insegnato qualcosa di cui tener conto anche in futuro? 

 

L’anno scorso si diceva “Andrà tutto bene”, e abbiamo visto che non è andato tutto bene. Non vorrei dare l’impressione che con l’insegnamento a distanza sia andato tutto bene, perché non è così, ma è anche vero che io parlo da un punto di vista privilegiato. Io insegno tre argomenti generali: cultura italiana (letteratura, cinema e musica), storia delle idee della modernità, teoria del cinema. L’approccio non cambia, né in presenza né in remoto. Ma siccome la maggior parte dei miei studenti non ha mai studiato questi argomenti prima di venire da me, e tutto quello che gli dico io è nuovo, solo raramente posso davvero approfondire. Devo mantenermi su un livello di divulgazione e anche, per forza, di intrattenimento, perché non posso “stancarli” riempiendoli di informazioni che per loro non hanno significato, o l’avrebbero soltanto se fossero già in possesso di una conoscenza di base. Questo per dire che mi sentivo un commentatore radiofonico o il conduttore di un programma televisivo di divulgazione culturale anche prima della pandemia e del passaggio alla didattica a distanza. Mi sono chiesto spesso se quello che faccio da molti anni in qua sia davvero un insegnare. Forse no. Forse sono solo un disc jokey della cultura. Metto su questo, metto su quello, vedo quale mix è migliore di altri mix, lo ripropongo, lo cambio, faccio qualche esperimento, sento quali richieste mi arrivano dalla pista da ballo (la classe) o dagli ascoltatori/spettatori che mi mandano messaggi, ed è tutto molto interessante, stimolante, e anche divertente, ma non è insegnare, o almeno non è l’insegnamento come l’ho vissuto io, dal liceo all’università, in Italia negli anni settanta, pur in mezzo a tutto ciò che succedeva in quegli anni. Quella era un’altra cosa, e mi manca, come mi manca la possibilità di riprodurre la profondità, l’intensità di quel modello di insegnamento. Non che non avesse difetti, per carità, ma non era dee-jaying, certamente no. Solo quando ho dei dottorandi posso avvicinarmi a quello che davvero ho imparato dai miei insegnanti, ma nella mia università mi capita di rado. Detto questo, il mestiere di dj della cultura ha il suo fascino, anzi in certi casi può essere l’unico approccio che funziona. E ha questo vantaggio, che non cambia molto se si passa dalla presenza al remoto o viceversa. Se ti sai giostrare su quello che la rete e i servizi di streaming ti mettono a disposizione, te la cavi.

  

Dopo questa esperienza che cos’è, secondo voi, oggi una lezione?

 

Quello che è sempre stata. La trasmissione di un entusiasmo, di una passione. Lo studente deve capire che tu sei lì a parlargli perché l’hai voluto e che non cambieresti il tuo mestiere con nessun altro al mondo. Potrà anche dimenticare il contenuto del corso il giorno dopo l’esame finale, ma non dimenticherà quella scossa elettrica che gli hai passato, saprà che insegnare e imparare valeva la pena, anche se magari sul momento non è stato in grado di approfittarne ed era perso in tutt’altri problemi. Sto pensando che nell’ultima canzone che finora ha pubblicato, Murder Most Foul, Bob Dylan passa dieci minuti su diciassette a chiedere al leggendario dj Wolfman Jack di “mettere su” questo o quel pezzo per commemorare l’uccisione del presidente Kennedy. Ma non gli chiede di “mettere su” solo brani di musica, bensì anche classici film hollywoodiani o Il mercante di Venezia. In altre parole, Dylan sta chiedendo a Wolfman Jack di “mettere su” l’intera cultura e di diffonderla in remoto, attraverso l’etere. Credo che nell’ultimo anno gli insegnanti siano stati tutti un po’ come Wolfman Jack, ostinati a lanciare messaggi nello spazio, sperando che qualcuno li raccogliesse.

 

Davide Sisto

 

La pandemia è stata affrontata facendo ricorso alle piattaforme digitali. Questo ha reso il tema della cosiddetta “fatica digitale” (digital fatigue) più che mai attuale. Il ritorno alla normalità eliminerà il problema o ne cambierà solo i termini? Come pensate che occorrerà affrontarlo?

 

Personalmente, ho patito la “fatica digitale” soprattutto nei mesi primaverili del 2020, quindi nella parte iniziale della pandemia, la quale mi ha colto impreparato. Tra l’autunno 2020 e la primavera 2021 ho cercato di affrontare nel modo più razionale possibile il ricorso esclusivo alle piattaforme digitali, creandomi delle strategie puntuali per contrapporre all’isolamento digitale qualche piccola via di fuga offline (per esempio, lunghe passeggiate distensive nei ritagli di tempo). Certamente, gli aspetti più negativi sono stati il senso di alienazione provocato dallo stare da solo sempre nello stesso luogo (lo studio casalingo) e la precarietà della connessione. Ritengo necessario, tuttavia, una volta terminata l’emergenza sanitaria, studiare collettivamente le modalità più opportune per rendere una consuetudine positiva l’uso delle piattaforme digitali in determinate circostanze: riunioni di lavoro in cui non è necessaria la presenza fisica, colloqui tra persone che vivono in città o, addirittura, in nazioni distanti, i concorsi universitari per abbattere i costi delle trasferte, ecc. Tali modalità implicano un deciso irrobustimento della connessione wifi, una lotta attenta contro il digital divide (ogni cittadino di ogni ceto sociale dovrebbe essere messo nella condizione di accedere in egual modo ai contenuti offerti dalle piattaforme digitali), nonché uno studio attento delle dinamiche “teatrali” che caratterizzano la specifica interazione online tramite le piattaforme. Se è probabilmente disumanizzante la partecipazione a conferenze e convegni solo online, non lo è per niente porre un limite a riunioni in presenza che, il più delle volte, rappresentano solo enormi perdite di tempo. 

 

 

Uno degli aspetti meno considerati della didattica a distanza è la scarsa cura del modo in cui i docenti si presentano davanti allo schermo (inquadratura dal sotto in su, sgradevoli contrasti di luce, sfondi casuali). Ritenete che sarà necessario intervenire, o la fine dell’emergenza renderà tutto questo superfluo?

 

Dal mio punto di vista, è stato un problema di non poco conto, essendo obbligato a fare lezione in una stanza con tre finestre davanti alla scrivania. Non sono riuscito ancora a trovare un tipo di luce adatta, ritrovandomi ad avere un’immagine o troppo scura o troppo “spettrale”, con una parte di volto “sbiancata”. Ritengo necessario riuscire a comprendere, anche nella fase post pandemia, quale sia il miglior tipo di lampada o di postazione per offrire la miglior immagine possibile agli studenti. Credo, infatti, che non torneremo indietro, adottando molto spesso le piattaforme digitali per evitare gli spostamenti più superflui o costosi.

 

Nel rapporto con gli studenti e studentesse come avete scelto di procedere con le telecamere: lasciando libertà di accenderla oppure no? Avete riscontrato una differenza nel modo in cui la “classe” ha partecipato e c’è stata una differenza tra la partecipazione degli studenti e quella delle studentesse?

 

Ho lasciato a studenti e studentesse la totale libertà di scelta. Insegnando in tre corsi a cui ho voluto dare un taglio molto interattivo, gli ho lasciato la libertà di intervenire a telecamera accesa o spenta. Addirittura, la libertà di intervenire tramite chat pubblica o chat privata, nel caso in cui la timidezza avesse rappresentato un ostacolo insormontabile per l’interazione reciproca. Sono soddisfatto della partecipazione, sempre molto attiva, da parte di studenti e studentesse. Non ho percepito in alcun modo una differenza, in senso negativo, tra l’interazione in presenza e quella a distanza. Soprattutto, penso che la chat possa rappresentare – almeno, parzialmente – un escamotage per limitare i timori che inibiscono molto spesso gli studenti. Credo, infine, che occorra capire le dinamiche sociali e comunicative delle generazioni più giovani, le quali sono abituate a interagire a distanza. Intercettando questo tipo di dinamiche, è possibile generare forme di dialogo non meno proficue rispetto a quelle sviluppate in presenza. 

 

Quali vantaggi, se ci sono stati, avete riscontrato con studenti cosiddetti non-frequentanti? C’è stata una maggior presenza di studenti o studentesse lavoratrici?

 

Non saprei valutare in maniera oggettiva. Certamente, il caricamento a posteriori delle lezioni, tenute in diretta, sulla piattaforma Moodle ha permesso agli studenti non frequentanti di poter guardare in differita le lezioni, contando anche su molteplici ampliamenti delle tematiche affrontate: per ogni registrazione ho, infatti, aggiunto articoli o video inerenti al tema della lezione. Ritengo un’opportunità preziosa, soprattutto in vista della preparazione degli esami, la disponibilità delle intere lezioni in differita per gli studenti lavoratori che sono obbligati a saltare quelle in diretta. Opportunità preziosa anche per chi non è particolarmente capace a prendere appunti. 

 

La funzione didattica è, a vostro parere, solamente trasmissione vocale e immagine, oppure entrano in gioco altri fattori sensoriali e percettivi legati alla presenza fisica? 

 

Sebbene preferisca l’interazione in presenza fisica, anche per “cambiare aria” e non essere sempre nello stesso ambiente (il mio studio casalingo), trovo estremamente vantaggiosa la dimensione a distanza per creare lezioni che alternano alla mia voce immagini, testi scritti e video. Le lezioni che reputo meglio riuscite sono, infatti, quelle in cui il mio ruolo è consistito nel coordinare in maniera razionale e ragionata immagini fotografiche, citazioni scritte e video. Tali lezioni hanno generato un collage di esperienze educative, le quali hanno messo gli studenti nella condizione di immergersi in modo completo all’interno del tema affrontato, non perdendo l’attenzione e ampliando gli spunti a partire dai quali aprire un dibattito. 

 

Diversi atenei incoraggiano una didattica mista, ossia in presenza e insieme in ‘live-streaming’. I vantaggi sono il numero in aumento degli iscritti, quali sono secondo voi gli svantaggi? 

 

L’unico svantaggio, a mio avviso, è la scarsa mobilità del docente. A me piace, generalmente, stare in piedi, camminare e muovermi mentre parlo. Il live streaming obbliga una immobilità fisica che può creare qualche disagio nel mio modo di esprimermi e può creare una certa distanza rispetto agli studenti in aula. Sono, comunque, convinto che i pregi superino i difetti proprio per la possibilità di dar vita a lezioni più “creative”, che uniscono alle parole espresse a voce anche immagini e video. 

 

In generale: l’esperienza della didattica a distanza vi ha insegnato qualcosa di cui tener conto anche in futuro? 

 

L’esperienza della didattica a distanza è stata particolarmente educativa per migliorare l’efficacia nell’uso del power point e per la possibilità di rendere più completo l’argomento trattato tramite un insieme di parole scritte, immagini fotografiche e videoregistrazioni, mettendo a frutto le molteplici opportunità offerte dalla Rete. Sono totalmente convinto che internet non sia ancora utilizzato come si deve nella preparazione e nell’esposizione delle lezioni universitarie, soprattutto per quanto riguarda le discipline umanistiche. Le uniche forme di lezione a distanza che capisco poco, in realtà, sono quelle in differita, poiché impediscono qualsivoglia forma di dialogo e di interazione. A meno che non diventino uno spunto per una discussione dei contenuti trattati nella successiva lezione in diretta.

 

Dopo questa esperienza che cos’è, secondo voi, oggi una lezione?

 

Una lezione non equivale, a mio avviso, a un docente che parla per due o tre ore di seguito, partendo dal presupposto che la sola trasmissione vocale del sapere sia pertinente per l’insegnamento accademico. Ritengo, invece, che le tecnologie digitali, determinando un prolungamento della nostra presenza fisica tramite la condivisione e la registrazione di testi scritti, immagini fotografiche e video, possano favorire la creazione di lezioni ibride, in cui l’insieme dei dati prenda letteralmente corpo, valorizzando le diverse caratteristiche narrative che contraddistinguono la scrittura, la fotografia e le videoregistrazioni. In tal modo, gli studenti hanno la possibilità di immergersi maggiormente all’interno dell’argomento trattato, limitando i pericoli della distrazione. Ancor di più, l’interazione tra docenti e studenti può trarre benefici importanti dall’applicazione alle lezioni universitarie dei metodi comunicativi adottati sui social media o nei blog. Dal punto di vista del docente, occorre – a mio avviso – sviluppare un po’ di fantasia e di creatività per ampliare il proprio modo di comunicare. 

 

Vanni Codeluppi

 

La pandemia è stata affrontata facendo ricorso alle piattaforme digitali. Questo ha reso il tema della cosiddetta “fatica digitale” (digital fatigue) più che mai attuale. Il ritorno alla normalità eliminerà il problema o ne cambierà solo i termini? Come pensate che occorrerà affrontarlo?

 

La pandemia di Covid-19 ha legittimato un ricorso massiccio alla vita online in tutte le sue forme. Non è possibile attualmente prevedere se effettivamente nei prossimi mesi ci sarà un ritorno alla situazione precedente alla pandemia, ma, nell’eventualità che ciò si avverasse, rimarrà comunque consistente la quantità di tempo dedicato dalle persone alla vita online. E pertanto continueranno ad essere rilevanti anche le conseguenze generate da tale condizione di vita, a cominciare dalla cosiddetta digital fatigue

 

Uno degli aspetti meno considerati della didattica a distanza è la scarsa cura del modo in cui i docenti si presentano davanti allo schermo (inquadratura dal sotto in su, sgradevoli contrasti di luce, sfondi casuali). Ritenete che sarà necessario intervenire, o la fine dell’emergenza renderà tutto questo superfluo?

 

Dato che probabilmente il peso della comunicazione digitale rimarrà consistente, sarebbe opportuno un massiccio intervento di formazione dei docenti. Prima della pandemia si faceva ben poca formazione dei docenti, ma a maggior ragione sarebbe opportuno farla oggi, con un massiccio impiego di strumenti digitali, i quali, per poter essere sfruttati al meglio, richiedono nuove competenze. 

 

Nel rapporto con gli studenti e studentesse come avete scelto di procedere con le telecamere: lasciando libertà di accenderla oppure no? Avete riscontrato una differenza nel modo in cui la “classe” ha partecipato e c’è stata una differenza tra la partecipazione degli studenti e quella delle studentesse?

 

Nelle università delle grandi città, le elevate quantità di studenti presenti normalmente nelle lezioni impediscono di fare utilizzare le telecamere agli studenti durante le lezioni. Si utilizzano i microfoni e le chat. Ovviamente, le piattaforme digitali, per quanto siano sofisticate, rimangono grossolane e deficitarie rispetto alle lezioni in presenza. Pertanto, nelle lezioni online l’intensità di partecipazione degli studenti è decisamente inferiore rispetto a quelle in presenza. Non ho notato invece grandi differenze tra la partecipazione degli studenti e quella delle studentesse.

 

Quali vantaggi, se ci sono stati, avete riscontrato con studenti cosiddetti non-frequentanti? C’è stata una maggior presenza di studenti o studentesse lavoratrici?

 

La possibilità data agli studenti da quasi tutte le università di ascoltare le registrazioni delle lezioni, ha fatto sì che sia calato sensibilmente il numero di studenti che hanno seguito in streaming. Ciò indubbiamente ha dato una maggiore flessibilità d’uso agli studenti e ha favorito chi abitualmente non frequenta, spesso per ragioni di lavoro. Questi però, a mio avviso, sono un numero ridotto di studenti e ciò pertanto non compensa la riduzione d’interattività che la fruizione della registrazione delle lezioni comporta per la maggior parte degli studenti. 

 

La funzione didattica è, a vostro parere, solamente trasmissione vocale e immagine, oppure entrano in gioco altri fattori sensoriali e percettivi legati alla presenza fisica? 

 

Nella didattica è estremamente importante il rapporto che si stabilisce tra i corpi degli studenti e quelli dei docenti. Con l’online ovviamente il ruolo dei corpi s’indebolisce e al momento è stato trovato ben poco per poter sopperire a questa mancanza. 

 

Diversi atenei incoraggiano una didattica mista, ossia in presenza e insieme in ‘live-streaming’. I vantaggi sono il numero in aumento degli iscritti, quali sono secondo voi gli svantaggi? 

 

Probabilmente in futuro questa sarà una strada inevitabile. Gli svantaggi sono quelli già detti e causati dalle attuali limitazioni tecniche della didattica online. 

 

In generale: l’esperienza della didattica a distanza vi ha insegnato qualcosa di cui tener conto anche in futuro? 

 

La didattica a distanza mi ha insegnato che la comunicazione online è molto più complessa di quello che può sembrare a prima vista e richiede un notevole impegno e molti investimenti. 

   

Dopo questa esperienza che cos’è, secondo voi, oggi una lezione?

 

Una lezione può essere caratterizzata da tanti aspetti differenti, ma occorre sempre tener presente che si tratta comunque di una forma di comunicazione e che quindi, in quanto tale, è anche una forma di condivisione.

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