James Romm / Alessandro Magno e il fantasma sul trono

23 Agosto 2020

Che differenza c'è tra Alessandro (Magno) e un pirata? 

Quasi nessuna, almeno a giudizio del pirata, il quale infatti così rispose ad Alessandro che gli chiedeva come mai gli fosse venuto in mente di infestare i mari: facciamo lo stesso mestiere io e te, Alessandro; solo che io lo faccio con una piccola imbarcazione e perciò mi chiamano “pirata”, tu invece lo fai con una grande flotta e sei definito per questo “condottiero”.

 

Questo celebre aneddoto è riferito da Sant'Agostino nel quarto capitolo del quarto libro del De civitate Dei, ed è ricavato a sua volta dal terzo libro del De re publica di Cicerone.

Lo menziona anche James Romm, professore di Classics al Bard College di Annandale-on-Hudson, nel suo Il fantasma sul trono (a pagina 281), appena uscito per i tipi di Keller.

È la storia, affascinante, di ciò che successe all'indomani dell'undici giugno del 323 a.C., giorno in cui Alessandro morì, a Babilonia, e che si protrasse fino al 308 a.C., anno in cui, non si sa bene esattamente quando, morirono – uccisi per ordine di Cassandro – Alessandro IV, figlio di Alessandro il Grande, e sua madre Rossane, sancendo in tal modo l'estinzione della dinastia degli Argeadi che per quattro secoli avevano regnato sulla Macedonia (e, almeno nell'ultimissimo periodo, sul mondo intero).

 

Se infatti è entusiasmante seguire il travolgente percorso di Alessandro nei suoi tredici anni di regno, durante i quali s'impadronì del mondo conosciuto, sconfiggendo chiunque gli si parasse di fronte, sul Granico, a Isso, a Gaugamela e oltre, fermandosi solo sulle rive dell'Ifasi, in India, e solo perché il suo esercito si rifiutò di procedere ulteriormente – è altrettanto appassionante assistere alla disgregazione del suo impero e alle lotte senza quartiere che si scatenarono per il possesso della sua immensa eredità.

I successori di Alessandro sono noti sotto il nome di diadochi; però Romm preferisce chiamarli capi militari o generali, dato che per l'arco temporale di cui il libro si occupa erano ancora vivi membri della dinastia (argeade) e dunque la questione della successione non si poneva ancora apertamente; questi uomini, inoltre, più che il regno si contendevano la supremazia militare.

Le fonti per il periodo in questione sono indirette. Così come lo sono per le vicende di Alessandro, del resto.

 

Lui i suoi storici (e geografi e topografi) se li portava appresso nelle sue spedizioni. Così come l'esercito americano oggi si porta a spasso per il mondo i suoi giornalisti embedded; Alessandro aveva una schiera di scrittori al seguito, i cui nomi sono Aristobulo, Callistene, Clitarco, Nearco, Onesicrito, Tolomeo (alcuni di loro erano propriamente generali che scrivevano); le loro opere sono andate irrimediabilmente perdute; ne sopravvivono solo frammenti, quelli raccolti amorosamente da Felix Jakoby nella sua monumentale opera in più volumi Fragmente der griechischen Historiker.

Da questi dipendono le fonti che sono giunte fino a noi, come Diodoro Siculo o Arriano o Curzio Rufo o Giustino, che a sua volta però dipende da Pompeo Trogo.

Un testo perduto di Arriano si occupa specificatamente dei Fatti accaduti dopo Alessandro. La sua fonte principale era l'opera di uno che assistette in prima persona a quegli accadimenti, cioè Geronimo di Cardia. Noi, quello che sappiamo dell'opera di Arriano, che a sua volta dipende da quella perduta di Geronimo, lo dobbiamo al riassunto del patriarca Fozio, un erudito bizantino del IX secolo, il quale ci ha lasciato spesso, nell'opera chiamata dai moderni Biblioteca, sunti di libri per noi altrimenti del tutto scomparsi.

Così vertiginosamente intricata e complessa è la trasmissione dei testi antichi e delle vicende che ci tramandano!

 

Il volume di Romm inizia con il capitolo L'apertura delle tombe e termina con quello dal titolo La chiusura delle tombe.

Un professore di Classics non poteva non far uso di una tipica figura antica, quella che il Blänsdorf chiamò Ringkomposition o figura ad anello o circolare.

Quali tombe sono queste che aprono e concludono il libro?

Quelle dei reali macedoni trovate da Manolis Andronikos a Verghina, nella Grecia setttentrionale, nel 1977 e nel 1979.

Ma vi è incertezza anche su chi siano effettivamente questi reali.

Per alcuni si tratta di Filippo II (padre di Alessandro) e di sua moglie (l'ultima) , per altri si tratta invece di Filippo III o Arrideo, fratellastro di Alessandro e di sua moglie Euridice (questo per una tomba, la cosiddetta tomba 2; la tomba 3, detta “Del principe”, conterrebbe i resti di Alessandro IV, il figlio di Alessandro e Rossane).

 

Comunque: Alessandro muore l'11 giugno del 323 a Babilonia, come detto. Forse muore avvelenato, in seguito a una cospirazione di cui fanno parte il vecchio generale Antipatro, suo figlio Cassandro e addirittura Aristotele, il celeberrimo filosofo e  vecchio maestro di Alessandro, il quale Aristotele si sarebbe incaricato lui di procurare il veleno, un liquido terribile tratto dall'onda dello Stige, portato a Babilonia nello zoccolo d'un mulo, unico recipiente adatto.

Forse invece la causa della morte fu semplicemente la malaria.

Fatto sta che quest'impero enorme, frutto non solo dell'ansia di conquista, ma anche di un sogno di fusione interculturale e interetnica (si ricordi che a Susa nel 324 si celebrarono, per ordine di Alessandro, una novantina di matrimoni misti, tra il fiore dell'aristocrazia guerriera macedone e le più nobili fanciulle persiane) rimane senza guida.

Il condottiero macedone non aveva fatto testamento, non si era curato della successione, ma prima di morire, secondo alcune fonti, aveva consegnato il suo anello, quello con cui sigillava gli ordini, a Perdicca, uno dei suoi generali più fidati.

 

 

Ed è infatti Perdicca che s'incarica di ripartire tra gli altri comandanti più vicini al defunto monarca i territori dell'immenso impero (cosiddetta spartizione di Babilonia). Quanto agli eredi diretti della regalità argeade, essi saranno il fratellastro demente di Alessandro, ossia Arrideo, che diventa Filippo III  e il figlio di Alessandro e Rossane, che nascerà di lì a poco, e sarà chiamato Alessandro IV.

Quindi Perdicca sarà il tutore di un bambino e di un ritardato mentale.

Il mondo intero è ufficialmente nelle mani di queste due figure di estrema debolezza. È chiaro che Perdicca, amministrando il potere in loro nome, ricopre in realtà una carica importantissima di suo ed è lui, ufficiosamente, il capo.

Fin da subito si troverà dunque contro gli altri stretti collaboratori del sovrano morto, detti “Guardie del corpo” (Somatofilachi), tra i quali, per esempio, Tolomeo, Leonnato, Lisimaco.

Arriano, secondo Fozio, scrive che Perdicca, il chiliarca, viveva “pieno di sospetti e sospettato da tutti”. 

Per prima cosa dovette subito combattere contro Meleagro, alto ufficiale al comando della fanteria, e lo eliminò. 

 

Eliminò anche, d'accordo con Rossane, la moglie battriana di Alessandro, le altre due (mogli di Alessandro), le persiane Statira e Parisatide.

Lui, a sua volta, cercava di praticare una sua sagace e ambigua politica matrimoniale: sposò la figlia di Antipatro, il vecchio generale, Nicea, ma fece segretamente sapere a Cleopatra, figlia di Olimpiade (e sorella di Alessandro) che avrebbe ripudiato Nicea e poi impalmato lei, Cleopatra, in modo da assicurarsi una partecipazione di sangue al trono argeade.

Olimpiade odiava Antipatro, ritenendolo l'assassinio del figlio (si ricordi la storia del veleno reperito da Aristotele).

Ma non fu a causa di un matrimonio che Perdicca entrò in guerra con Tolomeo, bensì  a causa di una salma, e quale! Quella di Alessandro. 

Il corpo mummificato di Alessandro era di pertinenza di Perdicca. Benché

il sovrano avesse espresso il desiderio d'esser sepolto nell'oasi di Siwa, nel tempio di Ammone (deserto libico), precisamente là dove egli aveva avuto la rivelazione d'essere il figlio del dio e l'oracolo che gli imponeva la sua missione, divina, di fondare un impero pari alla sua dignità sovrumana, Perdicca aveva preferito spedire la salma verso Ege, in Macedonia, dentro un carro funebre di ricercata e rara preziosità.

Ma Tolomeo lo trafugò. Costruì per lui un mausoleo enorme a Menfi, in quell'Egitto che gli era toccato in sorte nella spartizione di Babilonia. L'edificio era noto con il semplice nome di Sema, ossia Tomba, la tomba per antonomasia.

 

Chi controllava il corpo di Alessandro era in qualche modo legittimato nel suo potere. O meglio, nel caso specifico, il potere di Tolomeo sembrava esser fondato su quel glorioso cadavere.

Perdicca dichiarò guerra a Tolomeo, invase l'Egitto, ma fu sconfitto sul Nilo, su un'isola proprio davanti a Menfi. Venne poi ucciso da tre dei suoi ufficiali, Antigene, Peitone e Seleuco. (Un fatto abituale: è questa un'epoca di tradimenti continui; i soldati non combattono per la patria o altri ideali; sono mercenari che lottano per il loro bottino).

Aveva tentato di preservare l'unità dell'Impero, Perdicca, con una soluzione di compromesso, ma il suo sforzo era andato in frantumi.

Dopo l'assassinio di Perdicca e il fallimento della “sua” spartizione (quella di Babilonia) i generali si ritrovarono a Triparadiso, nel Libano e lì, nell'anno 321 a.C., ebbe luogo una seconda spartizione dei territori che furono di Alessandro.

Emerse, aldilà dei dettagli, una divisione in due grandi blocchi, in equilibrio instabile, l'Asia, sotto l'influenza di Antigono Monoftalmo (un generale imponente dotato di un solo occhio, come un ciclope) e l'Europa, sotto l'influenza del vecchio Antipatro.

Si trattava di uno stato europeo che controllava un territorio asiatico? O era una nuova incarnazione del distrutto impero persiano con una appendice europea?

 

Non si può dire. Quello che si può dire è che il corpo e lo spirito del sogno trasnazionale di Alessandro erano entrambi irreparabilmente infranti.

Nel frattempo in Grecia, e segnatamente ad Atene, si succedevano rivolte e anche guerre, alimentate dalle fazioni filo o anti-macedoni.

Così come, un secolo prima, durante la Guerra del Peloponneso, le varie città greche erano dilaniate dalle fazioni pro-Atene e pro-Sparta.

I campioni dell'una e dell'altra causa finivano comunque male. Prima Demostene e Iperide, poi Focione. Che fossero del partito macedone o di quello avversario non aveva poi molta importanza. La Grecia non aveva più saputo risollevarsi dalla batosta di Cheronea, inflittale già dal padre di Alessandro, Filippo II. L'antica libertà era perduta.

Una figura, che funse da segretario di entrambi, sia Filippo che Alessandro, si distinse in questo periodo, ossia Eumene.

Alleato di Perdicca, fu dichiarato fuorilegge dopo la sua morte e si trovò a dover combattere solo contro tutti. Eumene era un greco, visto quindi di mal occhio dagli altri contendenti macedoni, ed era poi uno “scriba”, uno scriba divenuto soldato, nominato a capo della Paflagonia e della Cappadocia, eppure, nonostante questi indubbi ostacoli, si seppe difendere sul campo con onore, e con molti stratagemmi, in onore della sua astuzia ellenica.

 

Uno dei “trucchi” usati da Eumene per cementare le sue truppe e tenersi stretti i suoi ufficiali fu quello del “trono vuoto”.

Le decisioni fondamentali venivano prese davanti a un trono vuoto, ma decorato con le insegne regali (chissà se autentiche?) di Alessandro. A tal punto perdurava il potere carismatico e, perché no?, divino del defunto sovrano!

Così Eumene si presentava come, se non l'erede, comunque come il preservatore e il prosecutore della volontà imperiale macedone, lui, un greco!

Ma anche Eumene venne sconfitto, da Antigono, nella Gabiene, nell'anno 316, anche per via del tradimento (al solito!) del suo generale Peucesta, e poi fu messo a morte.

L'impero di Alessandro, così enorme e così effimero, era indissolubilmente legato a lui, alla sua personalità dal fascino ipnotico, benché caratterizzata da sbalzi violentissimi d'umore, quasi di tipo adolescenziale. (Tutti ricordano l'assurdo e incredibile omicidio di Clito il Nero, nell'autunno del 328, a Samarcanda, colpito a morte da un giavellotto scagliatogli contro da Alessandro, e Clito gli aveva salvato la vita, sul Granico, solo sei anni prima!)

 

Morto lui, si verifica quello che Romm definisce un “processo mitotico” senza fine. Esattamente come la mitosi nelle cellule.

Prima l'esercito reale si era separato in due fazioni e aveva designato due re al posto di Alessandro; poi i piani di Perdicca si erano divisi tra due mogli; infine tutta l'Asia si era spaccata dopo la caduta di Perdicca e la morte di Antipatro, per la guerra che questi ultimi avevano consegnato nelle mani di due loro surrogati, Eumene e Antigono.

Entro il 308 a.C., come sappiamo, tutti i membri della casa argeade saranno eliminati (Filippo Arrideo, Alessandro IV, e le loro madri e mogli, Olimpiade, Rossane, Euridice).

Quella che fu un'unità sotto Alessandro il Grande sarà un pulviscolo di regni guidati dai successori, i diadochi, in perenne lotta fra loro.

Così finì il grande sogno di Alessandro, sogno non si sa se di condottiero o pirata.

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