Speciale

Dalla finestra / Sciarpe, foulard e carta igienica

14 Aprile 2020

6 aprile – La settimana comincia con il dibattito sulle mascherine. Il governatore della Lombardia emette un'ordinanza per cui vi è obbligo di mascherina per chiunque esca di casa. Ma le mascherine sono introvabili. Il Fontana dice che vanno bene anche sciarpe e foulard o, letteralmente, “qualsiasi cosa”. Non vi è alcuna “evidenza” scientifica che sciarpe e foulard siano protettivi di un bel niente ma l'impressione è che siamo a un livello tale – di disperazione e di non sapere – che va bene tutto. Infatti la gente accetta senza un grido, esce con la faccia coperta come in una forma di superstizione. Non serve? Nel dubbio proviamo anche questa, sembrano dire. All'improvviso non importa più cosa dicono gli esperti dell'Oms o dell'Iss: se Fontana domani dicesse che dobbiamo uscire tutti con le pinne, usciremmo tutti con le pinne.  Galleggiamo talmente tutti nella follia e nell'onirismo che fossi in lui lo farei, lo ordinerei. “Per vedere l'effetto che fa”, fino a dove può spingersi. Andando a fare la spesa incontro un signore con una striscia di carta igienica con due buchi ai lati per le orecchie, orecchie che tengono su questi tre o quattro strappi di carta manco troppo strong o quattro veli di resistenza e morbidezza.

Siamo messi così. Il sospetto è che se qualcosa andrà storto, si potrà sempre dare la colpa a quelli che non hanno indossato correttamente il foulard. O la carta igienica.

 

8 aprile – Cominciano a uscire inchieste e reportage sulla situazione delle case di riposo ( o meglio sulle “residenze sanitarie assistenziali”, quindi non solo anziani ma tutte le fasce più fragili della popolazione: persone che hanno bisogno di assistenza, disabili, pazienti in riabilitazione, malati cronici, malati di mente) in Lombardia. Cominciano a uscire nomi.

Uh, sei matta a fare i nomi? Bisogna fare i processi, ci pensa la magistratura. Forcaiola! I nomi vanno taciuti! Strano, perché invece i nomi sono noti, pubblici: si tratta di dirigenti sanitari e responsabili amministrativi, cariche non esattamente segrete, nomine politiche. E be', pretendi che vengano rimossi prima delle sentenze? Sì, magari! Sarebbe proprio il caso, vista la situazione devastante in atto. Gente che ha pasticciato, insabbiato, coperto, che ha chiuso e riaperto un ospedale nel giro di poche ore senza sanificarlo, lasciando che dilagasse il contagio, la vogliamo tenere lì ancora a lungo? O non sarebbe meglio allontanarla prima che faccia altri danni? Non mi sembra di chiedere chissà quale cosa scandalosa. Solo di limitare un disastro già gravissimo.

 

Nel frattempo bisogna districarsi col balletto delle cifre, delle curve. Le curve sono onde, non procedono secondo una parabola pulita come pure ci sarebbe piaciuto e avevamo immaginato in un'ottica di linee e quadrettature del mondo. Il picco ha già da tempo lasciato il posto al “plateau”, la discesa non è rapida come la salita. Abbiamo svalicato? O stiamo ancora girando dentro una nuvola che copre la cima della montagna? Non lo sappiamo veramente.

In questi timidi accenni alle riaperture, in questo embrione di dibattito sulla ripartenza circondato di grandi cautele e scaramantici incrociar di dita, c'è il convitato di pietra, qui appena fuori la finestra. Il mondo fuori da questi arresti domiciliari in cui ci siamo costretti a milioni.

E il mondo fuori, qui a Milano, qui in Lombardia, è un mondo sporco, carico di pericoli e presagi funesti. Quelle facce bendate che vedi in giro per volere di Fontana sono all'improvviso esse stesse maschere spaventose. Giornalisti impazziti chiedono l'impossibile a esperti costretti a improvvisare: dottore, la spesa va lavata? E il dottore, colto alla sprovvista, risponde che sì, la spesa nel dubbio va lavata. Ma come, con che? Con disinfettanti super tossici che poi ti magni insieme alla roba da mangiare? Boh! La follia marcia di pari passo con le mascherine e con gli arresti domiciliari. Gli esperti hanno sempre parlato di distanziamento, ma noi siamo tutti andati oltre, anche grazie a Fontana. Il governo ha sempre fatto tutto quello che, in un primo momento, è arrivato dalla Lombardia. C'è stato un continuo rilancio, una continua stretta. Roma faceva dieci e Milano allora chiedeva venti. Roma faceva quel venti e Milano chiedeva trenta. E via così. Tranne con la zona rossa di Bergamo, che è rimasta zona arancione come il resto quando avrebbe dovuto essere chiusa come Codogno, come le altre zone rosse che pure sono state fatte in Campania, nel Lazio. Bergamo no, doveva continuare a produrre e crepare.

Per loro niente zona rossa. Fino a diventare questa immensa zona grigia in cui ci troviamo tutti, adesso, in Lombardia.

Milano peggiora, la Lombardia è il grande malato d'Italia. Da motore del paese, è diventata mortifera zavorra.

E' anche per questo che fa paura, oltre le mura di casa. Sembra tutto sporco: di virus contaminante, di politici incapaci, di morte.

 

Voglia furibonda di scappare, sempre più forte. Ma dove? C'è un posto sicuro, da qualche parte, nel mondo? Per la prima volta nella storia, forse, la risposta è no. Anche il pericolo ora è globalizzato, mondiale. Come le persone che soffrono di disturbi alimentari oscillano spesso fra anoressia e bulimia, il pericolo ora è di oscillare fra claustrofobia e agorafobia. Come saremo, quando usciremo non soltanto per fare la spesa e basta? Come saremo situati nello spazio e nel tempo? Centrati o “fuori”? Saldi, aderenti? Cammineremo scartando di lato a ogni apparir di figura umana all'orizzonte?

Andremo al mare, prima o poi?

 

Opera di Rala Choi.


10 aprile – Mentre siamo proiettati verso il “dopo”, verso questo futuro in cui sembra verranno per primi rilasciati quelli che devono lavorare (e che, vòi morì de fame?), continuano ad arrivare notizie di arbitrarietà, punizioni, denunce. Con la Pasqua che si avvicina, occorre tornare a terrorizzare le persone. Casomai pensassero di fare cazzate clamorose, tipo raggiungere le seconde case, dilagare nei prati, fare pranzo dal nonno.

Si riacutizzano i sospetti, ripartono le delazioni.

Non importa che siano usciti studi secondo cui, nel mondo occidentale, i più rispettosi delle misure sono stati italiani e spagnoli. Il popolo deve continuare a essere considerato popolo-bambino, popolo furbetto, popolo carne da cannone buono solo per la produzione.

Si approntano droni per stanare quelli che fanno cose strane in terrazze e giardini, si dispiegano forze dell'ordine a ogni uscita dalla città, lungo le autostrade, si moltiplicano le sanzioni nei paesi.

 

Una mamma con tre bambini uscita per prendere un po' d'aria nell'aiuola davanti casa si becca un verbale da 400 euro, una vera porcheria soprattutto in questi giorni in cui nessuno lavora e guadagna e non c'è certo da scialare in multe salate. Un poveretto che ha sistemato una sedia fuori dalla sua porta, in paese, per prendere il sole, viene denunciato dai solerti vicini. Leggo la storia di una maestra che ha recuperato di nascosto dei libri rimasti a scuola e li ha distribuiti alle famiglie tramite una rete clandestina di droghieri e panettieri che li hanno fatti arrivare ai bambini consegnandoli ai genitori durante la spesa.

Poi ci sono le storie drammatiche delle morti e dei malati, delle persone impaurite che sono in casa abbandonate con febbre e sintomi e nessuno che li soccorra, di chi fa un atto di disubbidienza civile e va a farsi fare un tampone per essere sicuro di non infettare nessuno. Di chi non può salutare i suoi morti, di chi non ha più visto i genitori e i nonni, spariti nelle strutture chiuse, bloccati dietro porte sbarrate.

Mi raccontano di un infermiere che ha montato una tenda da campeggio in salotto e quando torna si mette lì dentro per non correre il rischio di contagiare la famiglia. Non tutti hanno due bagni, non tutti hanno spazio a sufficienza, non tutti hanno balconi.

Di sicuro, chi ha terrazzi e giardini non beccherà la multa per aver portato fuori una sedia. O i bambini.

 

11 aprile – Leggo un interessante rapporto su Covid19 e disuguaglianze economiche. E' un primo, parziale, studio. L'ha pubblicato Maurizio Franzini, professore di Politica Economica alla Sapienza.

Povertà, deprivazioni, privilegi: anche su quel fronte, tornerà tutto come prima? Uguale? O saremo in grado di cambiare? Vecchi e nuovi poveri, poveri da pandemia.

Scuola, lavoro, salute. Di questo dovremmo discutere.

Di come è stato ridotto il paese, di come negli ultimi decenni siano cresciute le disuguaglianze in tutto il mondo e pure qui.

E invece siamo occupati a spiare il vicino che esce troppo spesso.

 

12 aprile – Ci si scanna, in rete, su questa propaganda che continua a produrre nuovi untori, nuovi mostri. Ora è il turno dei “vacanzieri da virus”. Vip e giornalisti pubblicano foto della Pontina, la strada che da Roma porta alla costa. Una strada che collega una zona popolosissima alla capitale. E' anche la strada che porta al mare, dunque sotto stretta osservazione sempre per via della questione Pasqua. I posti di blocco hanno creato code chilometriche, provocato imbuti che strozzano il flusso ordinario della circolazione: i giornali (questi benedetti giornali!) pensano bene di titolare in modo accusatorio e allarmistico, mettendo la foto del serpentone di macchine e poco importa che molti siano furgoni e veicoli commerciali. Ai vip e ai giornalisti scatenati importa solo di accusare, anche con toni violenti e minacciosi, questi fantomatici bastardi che vanificano i sacrifici di tutti.

Che amarezza, siamo ancora come ai primi giorni, quando venivano accusati quelli che tornavano a casa col treno, o andavano a fare provviste prima della serrata, o correvano per attività sportiva, o facevano il giro della casa col bambino in braccio.

Non è che ci disegnano così: siamo così. Bravi a indignarci sulle stronzate, perdendo di vista i guai e i pericoli veri. Che sono altrove. E sono di ben altra natura.

 

13 aprile – Il governo ha messo in campo una task force di esperti che dovrebbero lavorare alla ripartenza, alla riapertura. Da una veloce scorsa ai nomi, noto una prevalenza di economisti, manager, bocconiani (questi ultimi sempre, figurarsi: una vera e propria tassa). Molto lavoro, chiaro (e che, vòi morì de fame?), ma senza una rappresentanza sindacale, per esempio. Zero sulla scuola – la scuola chiusa, come se non fosse impoverimento anche quello, l'Università manco una parola, il ministro chi l'ha visto?, boh, non saprei neanche dire il nome – tanto la scuola riguarda i giovani, chi se ne frega, no? Saranno mica loro il futuro del paese? Poco o nulla sulle donne, altra merce poco pregiata.

Nella squadra, oltre a manager ed economisti, si è voluto tener conto anche di altri aspetti che riguardano la riapertura: aspetti psicologici, culturali, sociali. Giusto. Questo pool dovrebbe gestire la “riapertura” del paese e l'avvio verso una fase che non sarà ancora di normalità, ma di convivenza con il pericolo.

Perché non chiamare, allora, anche uno scrittore? Non uno scrittore qualsiasi, purché sia. Magari uno di quelli che hanno saputo anticipare, e raccontare, immaginare, quello che stiamo vivendo oggi. Qualcuno che abbia avuto una visione, distopica o utopistica, di una situazione limite come quella che stiamo vivendo. Mi viene in mente Ammaniti, l'autore di Anna, libro fra i più venduti (insieme a Manzoni, Camus, King, Saramago) l'attimo prima che chiudessero le librerie. Apriti cielo! Ci manca solo lo scrittore veggente che immagina il futuro!

Orwell, Ballard, Gibson e Sterling che negli anni Novanta avevano descritto il mondo che stiamo vivendo, tutti gli autori di fantascienza, Margaret Atwood, Shirley Jackson, non avremmo bisogno anche dei loro saperi, delle loro intuizioni, della loro intelligenza? Della loro conoscenza per immaginare il mondo futuro? Dei viventi, s'intende.

Eh? Ma che sei matta? Lascia stare questi che raccontano storie, che poi Fontana manco riapre le librerie in Lombardia. Lascia stare anche gli storici. Lascia fare gli economisti della Bocconi, va'.

 

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