Crescere / Pippi ci infondeva coraggio

14 Febbraio 2020

Alcuni anni fa, a Merano, in una libreria di lingua tedesca sfogliai un libro interamente dedicato ad Astrid Lindgren. Un volume costoso, di grandi dimensioni, di centinaia di pagine, corredato da bellissime foto documentarie. Sfogliandolo, saltava fuori (anche) l’immagine di una signora anziana, male in arnese, vestita come capita, con un volto inquietante, due occhi un po’ folli, tutte le rughe in bella vista: una vecchiaia dichiarata, uno sguardo e un tipo di aspetto che in Italia non è molto frequentato in libri, riviste, film, in cui la rappresentazione del femminile continua a essere soggetta a stereotipi evidenti: addomesticata, rassicurante, familiare, definita da una chiara preoccupazione di accettabilità e piacevolezza che esclude elementi di disturbo, di realtà dissonanti. 

Questo libro, in seguito, in Italia non è stato pubblicato, e a mio avviso l’assenza di un’edizione italiana della biografia di Astrid Lindgren non è da attribuirsi al caso. Se da noi Astrid Lindgren è accettabile come ‘mamma di Pippi’, al contrario come figura tout court, da conoscere e approfondire, porta con sé una fisionomia che il mercato e il costume ancora non assorbono, fra indifferenza e diffidenza. In poche parole, è ancora un corpo estraneo, una figura troppo distante e aliena per essere metabolizzata.

 

Astrid Lindgren.


Diverso è il destino del suo personaggio più noto, Pippi Calzelunghe, reso globalmente celebre dall’omonima e bella serie televisiva, in onda dal 1969, esportata ai quattro angoli del pianeta e diretta da Olle Hellbom, amico fraterno di Astrid, regista che girò 17 fra film e telefilm tratti dai libri della scrittrice.

Come Pinocchio, Alice, Harry Potter –, a Pippi, ovvero Pippilotta Viktualia Rullgardina Krusmynta Efraimsdotter Långstrump (tradotto Pippilotta Viktualia Rullgardina Succiamenta Efraimsilla Calzelunghe) toccò in sorte una fraterna intimità con milioni di bambini e ragazzi, finendo per vivere di vita propria e diventando più famosa della sua creatrice. L'opera della Lindgren, infatti, fu quasi oscurata dalle sue avventure: vero asso pigliatutto, proprio come lo è Pippi personaggio, inesauribile, spiazzante, costantemente al centro dell'attenzione.

 

Astrid Lindgren con la figlia Karin.


Nata nel 1941, Pippi deve nome ed esistenza alla fantasia di una bambina di sette anni, Karin, figlia della Lindgren, che, a letto per una polmonite, chiese alla madre di raccontarle la storia di Pippi Calzelunghe. Fu, dunque, Karin a inventare il nome geniale. Ma tutto il resto è opera di Astrid e da lei fu scritto nel 1944, dopo che, costretta all’immobilità a causa di una caduta sul ghiaccio, trovò il tempo per trascrivere le storie che aveva raccontato alla figlia, pubblicate poi nel 1945. Parlando di Pippi, Karin, ormai adulta, racconta di essersi sempre identificata più che con la protagonista, - troppo diversa da lei, così forte, coraggiosa, ribalda -, con Tommy e Annika, i fratellini amici di Pippi.

 

 

 

Illustrazioni di Ingrid Vang Nyman per Pippi Calzelunghe.

 

Questa osservazione che potrebbe sembrare marginale mette in luce un aspetto fondamentale delle avventure costruite intorno alla esplosiva identità di Pippi. Astrid Lindgren che come molti autori per ragazzi ha potuto contare su una conoscenza sottilissima dell’infanzia, una sorta di orecchio assoluto per i bambini, ha composto una partitura narrativa pressoché perfetta, che orchestra in un corpo coerente armonie e dissonanze, contrasti e accordi, differenze e analogie, simmetrie e asimmetrie. 

A fare da contraltare alla natura selvaggia e anticonformista di Pippi ci sono, appunto, Tommy e Annika che sono l’immagine stessa della domesticità e della normalità. La scombinata famiglia di Pippi è controbilanciata dalla tradizionalissima famiglia Settergren: opposto al pirata Efraim Calzelunghe, capitano della Saltamatta e re dell'isola di Taka Tuka, è l’affidabile avvocato Settergren. All’assenza di madre di Pippi, orfana, fa da contrappunto l’apprensivissima signora Settergren. L’autonomia e il ribellismo di Pippi sono l’altra faccia dell’ubbidienza e della mitezza di Tommy e Annika. A Villa Villacolle, casa scalena e sghimbescia quante altre mai, che vive fra alterne vicende di caos abissali e bizzarre pulizie, è contrapposta la linda casetta di Tommy e Annika, in cui la routine quotidiana è scandita dall’ordine più rassicurante, prevedibile e rigoroso. Alla nordicissima cittadina di Visby fa riscontro la tropicale isola di Taka Tuka. Insomma, una architettura infallibile per sedurre qualsiasi bambino o bambina, fra bisogno di trasgressione e necessità di sicurezza, scatenata immaginazione e sano realismo, libertà sconfinata e senso del limite, burbera selvatichezza ed educata urbanità, rischiosa avventura e confortevole abitudine, anarchismo sfrenato e rispetto delle regole, umorismo e serietà, follia del rischio e senso di responsabilità. 

 

Astrid Lindgren da bambina.


Astrid Lindgren spiegò in diverse occasioni che il giacimento a cui attinse per tutta la vita i suoi personaggi e le sue storie fu l'infanzia con la sua grande famiglia, nella fattoria di Näs, a Vimmerby, nella contea dello Småland, di proprietà dei genitori, dove nacque nel 1907, e crebbe con i suoi fratelli rispettata e amata, con mansioni, compiti e doveri precisi, ma anche con la possibilità di godere di tutta la libertà del gioco in un ambiente naturale che dai suoi ricordi risulta un paradiso terrestre. Una proprietà, quella di Näs, a cui la scrittrice fu legatissima, di cui si prese cura per tutta la vita, e in cui non più bambina, trascorse lunghi periodi di vacanza insieme ai fratelli, alle sorelle, ai figli e ai nipoti. È in questo terreno la radice prima dell’immaginario della scrittrice. Una esperienza che permette di trarre da dimensioni apparentemente contraddittorie le energie vitali, l’intelligenza, lo spazio mentale per condurre un’esistenza propizia alla crescita, all’infanzia, ma anche all’età adulta. In una parola, alla felicità.

 

La giovane Inger Nilsson, protagonista della serie tv dedicata a Pippi Calzelunghe. 


Come tutti i personaggi della Lindgren, Pippi è uno specchio fedele della psicologia infantile. Dotata di un istinto infallibile nei confronti del male e dell'ingiustizia, più di tutto ama ridere, ma sa anche mutarsi senza imbarazzo in giudice impietosa e severa. La contraddistingue una capacità mercuriale di cambiamento: attraversa e manifesta gli stati d'animo più diversi, vivendo emozioni cangianti, per nulla preoccupata di doversi mostrare coerente. Dalla gioia alla rabbia, dal coraggio alla paura, dalla serietà alla sfrenatezza, dal piacere al disgusto, in pochi istanti. Con la levità di una provetta meditante si abbandona al flusso della vita senza temerne le conseguenze, spinta da una curiosità divorante, fortemente ancorata all'essenza delle cose, capace di vivere nel presente con naturalezza, concretezza, intensità, senza tradirsi, senza soccombere alle convenzioni, alle circostanze.

 

Astrid Lindgren insieme a Inger Nilsson. 


Allo stesso tempo, tuttavia, Pippi, è poco infantile. Dei bambini le manca la timidezza, il pudore, i mille timori, i dubbi, l'insicurezza, la fragilità. In alcuni episodi del libro sappiamo che con la signora Settergren, Pippi contratta direttamente il permesso perché i figli possano stare con lei. Permesso sempre accordato, perché questa madre ansiosa si fida ciecamente della bambina apparentemente più irresponsabile della Terra.

Dagli adulti, Pippi, spesso dopo aver dato prova della propria personalità, è trattata da pari. Al contrario degli altri bambini, infatti, possiede tutto il potere e le abilità degli adulti. È forte fisicamente e intellettualmente (una forza spropositata, maggiore di quella del padre pirata), è autonoma, non teme la solitudine, non ha bisogno di essere accudita, è abilissima in ogni faccenda pratica, sa cucinare, fare regali meravigliosi, inventare giochi, eseguire riparazioni domestiche, prendersi cura degli animali, tenere testa a prepotenti di ogni sorta, combattere soprusi, remare, camminare sui tetti, fare la spesa eccetera. Pippi è una sorta di super eroe. Ma è un supereroe atipico perché è piccola e femmina. Una corrente di magia attraversa le sue membra: è quella che le fa sollevare un cavallo, o la fa conversare alla pari con alberi e animali (per esempio con il brocco Zietto e la scimmietta signor Nilsson). Dunque è anche fata o, forse, meglio, dea: una dea protettrice dell'infanzia. I bambini (che la frequentino da lettori o da coprotagonisti) sono legati a lei da un patto di reciproca fiducia: sono liberi di essere quello che sono perché si sentono compresi, sicuri e amati. Insieme a lei scoprono di poter fare da soli, di essere capaci di reggersi sulle proprie gambe. Come spiega Pippi a suo padre: «Il giorno in cui mi capiterà di sentire che un bambino si rattrista all'idea di arrangiarsi da solo, senza l'intrusione dei grandi, giuro che imparerò l'intera tavola piragotica all'inverso.»

 

Pippi Longstocking di Astrid Lindgren e Ingrid Vang Nyman, comics usciti in America fra il 1957 e il 1959.


È di qualche mese fa la notizia che in questo 2020, in occasione dei suoi 75 anni, uscirà un film dedicato a Pippi, realizzato in collaborazione fra la Fondazione Lindgren e il produttore di Harry Potter, David Heyman. Inoltre, da qualche giorno Save The Children, in collaborazione con Astrid Lindgren Company, ha inaugurato la campagna Pippi of Today voluta per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema delle ragazze migranti, oggi più che mai esposte a violenza e sfruttamento, abusi sessuali e matrimoni precoci, sfide e pericoli.

Una cosa importante restituire Pippi ai bambini e agli adulti del nostro tempo, perché l’infanzia di oggi, che sia abbandonata o accudita, povera o benestante, più che mai ha bisogno della profonda lungimiranza di questo personaggio e di quella della sua autrice.

 

Come la gran parte delle bambine della mia generazione ho conosciuto Pippi, attraverso la serie televisiva. Al libro, ai libri della Lindgren, sono arrivata dai telefilm. Pippi, nei libri e nei film, ci ammaliava. Con “ci” intendo me e mia sorella, dato che la nostra è stata un’infanzia totalmente condivisa. Figlie di progressisti illuminati e illuministi, siamo state educate in un clima libertario, secondo i dettami di una pedagogia aperta e nuova. Leggevamo i libri e gli autori più moderni, gran parte dei classici per ragazzi ci erano preclusi: ritenuti retrogradi, reazionari, tristi, con il loro corredo di disgrazie, orfanezze, lutti. Pippi era l’unica orfana che ci era consentita. Era orfana, sì, ma in seconda battuta. In prima, era emancipata, libera, rivoluzionaria. Per due ragazzine che invece degli scout frequentavano i Centri Rousseau, centri vacanze ispirati alle idee del grande Jean Jacques, da cui i bambini tornavano a casa inselvatichiti e ribelli, Pippi era una sorella, più che un sogno, un modello, un obiettivo da raggiungere. Noi vivevamo sugli alberi, allevavamo animali di tutti i tipi, ci vestivamo da maschi, confezionavamo filtri magici, per i nostri giochi ci costruivamo lance e capanne, mettevamo in piedi spettacoli circensi e fondavamo circoli ecologici. Non abbiamo mai frequentato un’ora di religione in vita nostra, dalle elementari al liceo. Eravamo invitate a esprimerci e a essere creative. A essere pienamente ‘noi stesse’. 

 

 

 

 

Immagini della serie tv Pippi Calzelunghe, uscita nel 1969.


Allora, cos’era ad affascinarci in questa figlia di pirata dalle trecce orizzontali? Non la libertà, ne avevamo abbastanza della nostra, che confinava, a volte, con la solitudine. Non la trasgressione: trasgressive lo eravamo non per scelta, ma per educazione. Pippi, nella sua meravigliosa Villa Villacolle, ci indicava, semplicemente, una possibilità, una via d’uscita. Pippi, ci rassicurava. Ci diceva che la diversità, minacciosa, perché penalizzata, nel nostro mondo, era possibile. Poteva addirittura trasformarsi in autonomia, in felicità, in forza (la prodigiosa forza fisica di Pippi). Noi eravamo ragazzine selvatiche ed eccentriche, sì, ma timidissime, impaurite da un mondo che, ovviamente, percepivamo “altro”. Vivevamo anche noi, in realtà, in un recinto costruito da adulti, come i bambini allevati nella pedagogia tradizionale da genitori “autoritari”. Pippi ci infondeva coraggio. Ci faceva ridere, ma ci piaceva per come sapeva essere seria e inflessibile, severa nel far trionfare la giustizia e la verità. Ci spiegava, con le sue regole tutte al contrario, che avere principi e rispettarli è importante. Che, in assenza di appoggi sicuri, si può crescere con le proprie forze. In Italia, questo è ancora un messaggio dirompente. 

In questo paese, dove l’antico culto della famiglia ha assunto l’aspetto inquietante di una narcisistica simbiosi fra nonni, genitori, figli e nipoti, Astrid Lindgren è un’eretica. Ai bambini e agli adulti, con nordico rigore, segnala una presa di distanza, una assunzione di responsabilità: quelle necessarie a diventare persone serie, forti e felici. 

 

Questo articolo contiene alcuni passi rielaborati tratti da Astrid Lindgren. Una dea per l’infanzia, Doppiozero 16 febbraio 2016, e da Astrid l’eretica, in Per Astrid, Giannino Stoppani edizioni, 2007.

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