Premiolandia, ovvero come vincere lo Strega

6 Giugno 2023

In Italia esiste un paese reale, quello dove viviamo e leggiamo libri, punteggiato di biblioteche e librerie. Poi esiste Premiolandia, la costellazione delle centinaia di riconoscimenti assegnati ogni anno a romanzi, saggi, raccolte di poesia, ma anche a libri per bambini e volumi illustrati, ricettari e libri di viaggio, in piccoli borghi e nelle grandi metropoli. 

Tutti gli autori aspirano a essere letti e riconosciuti. Premiolandia è la scorciatoia verso l'Olimpo del Successo e della Fama. Dal canto loro, critici, professori e semplici lettori non vedono l'ora di esprimere i loro Giudizi di Valore, basati sullo studio o sul gusto. In un mondo ideale, questi territori dovrebbero coincidere. 

Non succede. Esistono diverse Italie che non si sovrappongono. Il panorama disegnato dai premi non corrisponde al paese dei lettori, con le classifiche del bestseller (anche se alcuni premi moltiplicano le vendite), e nemmeno alla Repubblica dei critici e dei professori, che dall'alto delle loro competenze sedimentano il canone insegnato all'università. Come ha notato Gian Carlo Ferretti, prendendo a esempio i due riconoscimenti più prestigiosi, nelle gerarchie di Premiolandia c'è qualcosa che non torna: “Non hanno mai vinto il premio Strega Gadda, Pasolini, Palazzeschi, Sciascia, Calvino. Non hanno mai vinto il Supercampiello ancora Gadda, Pasolini, Calvino, Sciascia, e inoltre Landolfi, Pratolini, Parise (per citarne solo alcuni). Ci si deve chiedere poi quanti veri autori siano stati rivelati dai premi, mentre sono state frequenti le premiazioni scontate e le consacrazioni di casi letterari” (Gian Carlo Ferretti “La gran giostra dei premi”, in Il marchio dell’editore, autobiografia intellettuale, personale e collettiva, Interlinea, 2019). A queste Italie letterarie bisognerebbe poi aggiungerne una quarta, quella dei festival, con i presenzialisti che si esibiscono un giorno sì e anche l'altro, firmando copie da Courmayeur a Trani. Ci sarebbe infine, quasi deserta, l'Italia letteraria degli invisibili, a cominciare da Elena Ferrante, che comanda le classifiche di vendita nel mondo intero (per non parlare delle serie che hanno ispirato i suoi romanzi). Senza vincere premi, senza andare in tv, senza godersi gli applausi dei festival goers.

Nell'Olimpo di Premiolandia c'è un ranking: riconoscimenti di serie A, B, C... fino alla serie Z. A decidere la classifica, una molteplicità di fattori: la storia e l'Albo d'Oro dei premiati, la qualità e l'autorevolezza della giuria, l'entità del bottino e i benefici per chi vince (prestigio, visibilità mediatica e successo commerciale), la bellezza del luogo e la qualità dell'ospitalità... 

Sulla vetta di questo Olimpo c'è il Premio Strega, che si è meritato una puntigliosa monografia (Caccia allo Strega. Anatomia di un premio letterario, Nottetempo, 2023), opera di Gianluigi Simonetti, docente di letteratura italiana all'Università di Losanna nonché critico letterario per “Il Sole-24 Ore” (il quotidiano di Confindustria, l'associazione degli imprenditori che con la sua branca veneta sponsorizza il maggior concorrente dello Strega, il Premio Campiello).

Il Premio Strega è nato nel dopoguerra, intorno a un salotto letterario romano, quello degli “Amici della Domenica” animato da Goffredo e Maria Bellonci, con un richiamo alla “nuova coscienza sorta nei tempi tanto incisivi della Resistenza”. A sostenere l'impresa, l'imprenditore di Benevento Guido Alberti, produttore del liquore giallo acceso battezzato in memoria delle streghe che, secondo la leggenda, popolavano la zona. Primo vincitore, nel 1947, Tempo di uccidere di Ennio Flaiano, pubblicato da Longanesi. Da allora lo Strega divora libri e autori, anche perché le polemiche (come quella lanciata da Pasolini nel 1968 contro “l'arbitrio neocapitalistico” nella cultura) ne alimentano la fama: se ne parla, e le vendite dei vincitori si moltiplicano.
Per capire il funzionamento del Premio Strega, Simonetti riprende da Pierre Bourdieu lo strumento del “campo di forze”, con la dicotomia tra prestigio e successo, tra consumo d'élite e consumo di massa. Analizza così il ruolo dei diversi soggetti coinvolti in un complesso sistema di mediazione culturale, dove il gusto conta più della qualità, il fatturato più dell'istanza estetica, lo spirito del tempo e la moda più dei valori consolidati o della scoperta dei nuovi talenti (finché non diventa anch'essa una moda). Ad agire nel campo di forze della letteratura sono gli scrittori e gli editori, i critici e i lettori, i mass media e i salotti, e soprattutto il mercato. Mentre cambiano di continuo il gusto e la cultura, e in parallelo evolvono il ruolo e la funzione della letteratura all'interno della società. 

Manovratori occulti (ma non troppo) del “campo di forze” sono gli uffici stampa delle case editrici, che usano i premi come leve di marketing. Quando il tempo del voto s'avvicina, si moltiplicano i contratti per libri, curatele, prefazioni, postfazioni, piovono telefonate a ogni ora del giorno e della notte, per far recapitare la scheda elettorale agli uffici stampa, perché quei pusillanimi dei letterati a volte promettono il voto a più di un amico/un'amica ed è meglio non fidarsi.

Simonetti si concentra sugli ultimi vent'anni, per rendere conto di una profonda mutazione. La grande editoria ha un bersaglio preciso: “il vasto pubblico dei nuovi e spesso culturalmente deboli lettori di narrative fiction, sensibili alle seduzioni dell'intrattenimento e disposti a lasciarsi orientare dalla comunicazione di massa” (p. 29), e quindi influenzato anche dagli eventi che danno visibilità e prestigio. In parallelo, abbiamo scoperto che scrittori non si nasce, per merito dell'interesse e della qualità dei testi. Oggi scrittori si diventa: “autorevolezza e prestigio si ottengono soprattutto col consenso vago ma diffuso, col numero di followers, con la promozione virale (…) Celebrità dentro e fuori la 'bolla', reputazione del proprio giro o gruppo letterario di riferimento, cooptazione nel sistema dei mass media, sviluppo dell'indotto transmediale: non solo, tradizionalmente, le traduzioni, le riedizioni, le collaborazioni giornalistiche, gli interventi nelle scuole di scrittura, ma sempre più spesso le riduzioni televisive e cinematografiche, la rimediazione su piccolo e grande schermo, gli adattamenti teatrali, le appendici narrative podcast e fan fictions” (p. 18). 

Lo Strega privilegia da sempre il gotha della literary fiction italiana. L'affilato Simonetti ne seziona i prodotti senza pietà: tra gli altri Via Gemito di Domenico Starnone, Non ti muovere di Margaret Mazzantini, La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano, Resistere non serve a niente di Walter Siti, M. Il figlio del secolo di Antonio Scurati, Le Assaggiatrici di Rosella Postorino, e poi Janeczek, Cognetti, Ciabatti, Missiroli, Veronesi, Trevi, Bazzi, Parrella, Mencarelli, Bruck, Caminito... Radiografare le opere di vincitori e finalisti consente “di vedere al lavoro la 'macchina' del romanzo contemporaneo” (p. 151) e di analizzare le spregiudicate tecniche del marketing editoriale (e dell'autopromozione autoriale). Ma i premi sono soprattutto una componente fondamentale della politica culturale. Può essere utile un paragone con la politica e i sistemi elettorali. Nel 1951 l'economista americano Kenneth Arrow ha dimostrato che non esiste un sistema elettorale perfetto, in grado di rispecchiare le preferenze degli elettori comunque fossero distribuite. Viene da chiedersi se il teorema di Arrow sia valido anche per i premi letterari. Ma di certo l'intreccio tra democrazia e talento genera paradossi più intricati di quelli politici: di certo non esiste un sistema di valutazione e selezione efficace e corretto in tutte le circostanze, un algoritmo che può essere applicato dal Premio Nobel in giù. 

Il sistema elettorale del Premio Strega si è stratificato negli anni, attraverso modifiche che non hanno nulla da invidiare alle bizantine riforme elettorali del nostro Parlamento. In questa kermesse “elettoraria”, gli aventi diritto al voto – ovvero gli Amici della Domenica – sono diventati circa 660, da 400 che erano ai tempi di Anna Maria Rimoaldi, che aveva rilevato l'impresa dopo la morte di Maria Bellonci, nel 1986. Allargare la base elettorale – la scelta di Tullio De Mauro e Stefano Petrocchi, che dal 2013 dirige la Fondazione Maria e Goffredo Bellonci – serve a diluire il potere delle lobby e del “sottobosco”, soprattutto dopo che il blocco editoriale berlusconiano aveva rastrellato, oltre ai pacchetti di Mondadori ed Einaudi, anche quello di Rizzoli: il gruppo gestiva così un blocco elettorale in grado di garantire maggioranze troppo prevedibili. Di recente ai letterati si sono dunque aggiunte personalità del mondo della tv e del cinema (siamo a Roma), più i voti collettivi di scuole, università e gruppi di lettura, degli Istituti italiani di cultura all’estero e della Società Dante Alighieri.

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A differenziare i premi sono anche il numero (e le categorie) dei vincitori. Alcuni hanno un unico trionfatore, come il Campionato di Serie A o un torneo di tennis. Altri invece spargono gli allori su diverse categorie, come gli Oscar o i Premi Ubu per il teatro, o il Premio Viareggio (con riconoscimenti per narrativa, saggistica e poesia). Allo Strega conta il romanzo vincitore, anche se l'allargamento delle giurie è stato affiancato dalla creazione di vari premi collaterali, a cominciare dallo Strega Europeo, assegnato quest'anno a Emmanuel Carrère (autore Adelphi).

Le giurie dei premi letterari (e non solo) si possono dividere in due grandi categorie: le giurie tecniche, o di qualità (compose da un numero ristretto di critici ed esperti) e le giurie popolari (composte da normali cittadini, più o meno interessati). Una via di mezzo sono le giurie composte dagli addetti ai lavori, come quella che assegna a Hollywood gli Academy Awards (ovvero gli Oscar) e in Italia i David di Donatello, per restare nell'ambito cinematografico. Ciascuna di queste tipologie di giuria ha pregi e difetti, e dunque i meccanismi vengono resi più complessi, moltiplicando turni e ballottaggi e alternando i decisori, ovvero i gatekeepers che aprono il sentiero verso la vetta. Il Premio Campiello sottopone una prima selezione, operata da esperti, a una giuria popolare (e in teoria anonima), che decreta il SuperVincitore. 

Gli Amici della Domenica sono una via di mezzo tra la giuria popolare e la giuria di addetti ai lavori. Perché un'opera venga candidata, è necessario che sia presentata da un talent scout della Domenica (prima ne servivano due), che produce una motivazione che inneggia all'opera dell'amico o dell'amica. All'inizio del 2023, sono stati così individuati ben 80 capolavori degni dell'ambito riconoscimento, pubblicati da decine di marchi diversi (a caratterizzare le ultime edizioni è peraltro l'allargamento della rosa a libri pubblicati da editori piccoli e medi, anche con “quote protette”, per arginare lo strapotere dei grandi gruppi e testimoniare la vitalità dell'editoria indipendente). L'amichettismo regala qualche minuto di celebrità, ma poi arriva la ghigliottina della qualità (e degli equilibrismi politico-amical-editoriali). Il 30 marzo 2023 il comitato direttivo (composto da Pietro Abate, Giuseppe D’Avino, Valeria Della Valle, Ernesto Ferrero, Alberto Foschini, Paolo Giordano, Dacia Maraini, Melania G. Mazzucco (presidente), Gabriele Pedullà, Stefano Petrocchi, Marino Sinibaldi, Antonio Scurati e Giovanni Solimine) ha ristretto la longlist a 12 titoli. La palla torna poi agli Amici della Domenica, che con una nuova votazione devono restringere la rosa ai 5 finalisti: la proclamazione della rosa è prevista per il 7 giugno, al Teatro Romano di Benevento. Il vincitore verrà proclamato nella serata romana del 7 luglio a Villa Giulia, con votazione in diretta: spoglio in tempo reale, suspence e spesso vittorie al fotofinish, con scarti di “un voto nel 2009, quattro nel 2012, due nel 2012, cinque nel 2014...” (p. 42). A documentare l'evento, uno speciale Rai che risulta sempre imbarazzante, a dimostrazione della scarsa dimestichezza della tv con la cultura e della scarsa dimestichezza della cultura con i mass media. Va aggiunto che per gli autori la corsa allo Strega è una maratona sfibrante, con presentazioni e incontri in varie città in Italia e all'estero. 

Simonetti stronca con garbo feroce i finalisti e i vincitori degli ultimi Strega. Ma a partire dalle sue annotazioni, è possibile trarre qualche suggerimento utile a chi vuol vincere lo Strega 2024. È bene sapere che “nelle competizioni letterarie la bellezza vince solo a volte, e magari per caso”: lo Strega l'hanno conquistato scrittori sommi come Morante, Tomasi di Lampedusa e Parise, ma è più facile che vinca un mediocre alla moda e/o ben ammanicato.

In primo luogo, secondo Simonetti ci sono scelte da evitare con cura. Vengono bocciate le tentazioni sperimentali, le fascinazioni vernacolari, ancora meno il comico, il fantastico e tutta la letteratura dichiaratamente di genere, compresi feuilleton e romance. Piace invece il romanzo storico edificante, che risponde a “un bisogno sociale diffuso di intrattenimento attraverso una pedagogia” (p. 118). L'ideale è “un racconto ibrido, a metà tra romanzo storico, documentario e biografia romanzata, capace di unire a una gestione letteraria del punto di vista e del montaggio un interesse specifico, e sostanzialmente giornalistico, per temi di richiamo condiviso”. Devono essere racconti “forti e con una vocazione multimediale: ricchi di azione, caratteri scolpiti ed episodi memorabili, da raccontare ad alta voce o da incidere in podcast” e se possibile “ispirati da vicende e personaggi reali, forgiati dalla Storia, ma simultaneamente in contatto con l'attualità, sincronizzati a una discussione pubblica, contemporanea e social” (p. 109). Ancora meglio cimentarsi “in un vero e proprio filone editoriale costruito per un verso su biografie di moderne eroine, per l'altro su una compatta ideologia identitaria, al servizio di valori generalmente condivisi e più meno indiscutibili” (p. 165).

È consentito “compiacersi di attraversare sofferenze anche atroci”, ma è necessaria un'incrollabile predisposizione all'ottimismo. A Premiolandia si apprezza un romanzo che “assegni con chiarezza le colpe, valorizzi e protegga le vittime, e soprattutto che finisca bene. Non bisogna lasciare l'amaro in bocca a chi legge, non lo si deve privare di una speranza di riabilitazione” (pp. 158-159). Per Simonetti, Premiolandia predilige opere che rispecchino i valori dell'élite culturale di sinistra, lo shabby chic ora si concentra negli Amici della Domenica, con il suo gusto integrato politicamente, che “difende i valori non negoziabili di cui l'attualità ci chiede di tornare a parlare (l'antifascismo, l'antirazzismo, il femminismo)”; ma anche integrato esteticamente e culturalmente, con la sua “prospettiva globale. E sottilmente turistica”. 

Da questa incursione a Premiolandia arriva anche una perfida lezione di gusto, a partire da una constatazione: la “disattenzione stilistica di fondo” (p. 116) e l'evidente mancanza di orecchio. A caratterizzare la scrittura dei vincitori è spesso il connubio “tra semplicità sintattica di fondo e improvvise impennate metaforico-culturaliste” (p. 75), con un'alternanza di formule libresche e formule corrive. Insomma, pretese iperletterarie, emotività generiche e picchi narrativi innestati in una scrittura di carattere giornalistico, e dunque piatta, “trasparente”. Pare che lettrici e lettori apprezzino questa “mobilitazione stilistica decifrabile come 'letteraria'”. Con un paradosso, agli occhi dello sconsolato esploratore delle plaghe di Premiolandia: “Frammentarietà, autoindulgenza, discontinuità, fretta: ciò che un tempo caratterizzava (…) l'arte di genere sta ormai diventando abitudine di tanta, troppa letteratura tout court” (p. 132).
Ma forse per gli scrittori e le scrittrici c'è una buona notizia. Non dovranno più patteggiare pagina per pagina il loro romanzo con l'editor che vuol spedirli a Premiolandia perché così si scalano le classifiche. Ora c'è l'intelligenza artificiale. Basta un prompt che rilancia le indicazioni di Simonetti e chiede a ChatGPT di scrivere un romanzo con queste caratteristiche: dev'essere scorrevole, democratico e politicamente corretto, prudente e poco radicale. Dovrà affermare verità che sappiamo già tutti (qui va inserito l'elenco delle virtù alla moda). Alla IA verrà suggerito di spargere, su una lingua di plastica, “un generico polline di artisticità, o peggio di poesia” (p. 131), e qua e là “una spruzzata di cultura” (p. 162). 

La controprova della discontinuità? “Negli ultimi vent'anni del Novecento solo due premi Strega sono diventati film: Ninfa plebea di Domenico Rea e Il nome della rosa di Umberto Eco”, mentre nell'ultimo ventennio sono almeno dieci i testi adattati per il cinema o la tv (pp. 138-139). Se non meriterà il Premio Strega, il romanzo scritto con l'IA sarà il favorito al gioco Fantastrega e varrà almeno una miniserie su Netflix o Amazon Prime. 

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