Per fare chiarezza / Aggressione, crimini di guerra, genocidio

16 Aprile 2022

Nel drammatico scenario della guerra in Ucraina, tra morti e rovine, è comparso un nuovo soggetto di cui s’invoca il rispetto, il diritto bellico. Il presidente ucraino parla di ‘genocidio’, le fonti internazionali di crimini di guerra, contro l’umanità, di aggressione…

Benché sia disturbante, la guerra di per sé e in quanto tale non è considerata un crimine dall’assetto internazionale. Infatti la maggior parte delle istituzioni e dei governi preferiscono evitare lo scontro militare, esso è purtuttavia un'eventualità possibile, seppur non auspicabile. Fatta questa premessa nella guerra la licenza di uccidere non è illimitata: nel conflitto alcuni comportamenti sono vietati, regole e sanzioni disciplinano la condotta degli Stati. Nel conflitto ad esempio, se è scontato che i soldati ammazzino altri soldati, allorché invece avviene la resa al o del nemico il vincitore deve limitarsi a prendere in custodia i prigionieri senza torcere loro un capello.

 

Comportarsi diversamente significherebbe incorrere in un crimine di guerra’, categoria giuridica questa prevista dallo Statuto della Corte Penale Internazionale dell’Aja (art. 8). Nei Paesi che si consideravano "civili" il rispetto del nemico (il cosiddetto “onore delle armi”) è sempre stato un valore, ma le guerre mondiali del Novecento hanno stravolto i canoni. Il nemico non è stato più un avversario da sconfiggere soltanto, ma anche da sottomettere o eliminare. Davanti agli orrori del secondo conflitto mondiale le nazioni iniziarono a delineare organi e leggi per porre limiti alle modalità di svolgimento della guerra. Nel 1998 è stata istituita la Corte Penale Internazionale dell'Aia, attiva dal 2002, con il compito di giudicare i crimini commessi durante i conflitti. Un ruolo simile è ricoperto dalla Corte internazionale di Giustizia dell'Onu (anch'essa situata all'Aia), ma non è sovrapponibile perché quest’ultima giudica l'operato dei Paesi mentre la Corte penale internazionale ha competenza sulle azioni dei singoli individui. 

I crimini di guerra sono una violazione “grave» delle Convenzioni, degli usi di guerra posti a tutela di beni fondamentali, del diritto internazionale umanitario (ad esempio la Convenzioni di Ginevra del 1949 e il Protocollo Aggiuntivo I).

 

Lo scopo è limitare la violenza diretta a indebolire il nemico e risparmiare invece chi non prende parte alle ostilità, distinguendo la popolazione civile dai combattenti. Compaiono così norme dettagliate come il divieto di usare armi indiscriminate, di usare violenza contro i feriti, i catturati, gli arresi, l’obbligo di trattare umanamente i prigionieri di guerra, di soccorrere e curare i feriti e i malati. Sono crimini di guerra quelli contro particolari categorie di persone protette (es. personale medico-sanitario impiegato nel soccorso), contro beni protetti (musei, monumenti, edifici civili e ospedali), il ricorso a metodi vietati (es. attacchi contro località smilitarizzate o che non costituiscono un obiettivo militare, servirsi di civili come scudi umani, interrompere forniture alimentari nel Paese avversario), l’utilizzazione di mezzi bellici proibiti (dal 2017 è bandito l’uso di armi chimiche o batteriologiche, di proiettili ad espansione; di laser accecanti; di mine anti-uomo). 

Capitolo a parte (articolo 7) sono i crimini contro l’umanità: cioè gli atti compiuti contro la popolazione civile, come ad esempio deportazioni, umiliazioni ingiustificate, uccisioni di massa, torture. Anche in questo caso la punizione riguarda persone fisiche e le loro azioni, come avvenuto nel Processo di Norimberga quando nel 1946 i maggiori esponenti dell'esercito e del governo nazista vennero processati per crimini di guerra e contro l’umanità.

 

Esistono poi i crimini di aggressione. Definiti nel 2010 con la Dichiarazione di Kampala in Uganda, sono stati inseriti nello Statuto della Corte Penale Internazionale ed entrati in vigore nel 2018. L’aggressione è un crimine che consiste nella “pianificazione, la preparazione, l'inizio o l'esecuzione, da parte di una persona in grado di esercitare il controllo o di dirigere l'azione politica o militare di uno Stato, di un atto di aggressione che, per il suo carattere, gravità e portata, costituisce una manifesta violazione della Carta delle Nazioni Unite”.

La definizione rinvia all’“atto di aggressione” da parte dello Stato, contemplato dalla Risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1974 (“l’uso della forza armata da parte di uno Stato contro la sovranità, l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di un altro Stato o in ogni altra maniera contraria alla Carta delle Nazioni Unite”). 

Le due nozioni, l’atto e il crimine di aggressione, non si presentano perfettamente coincidenti. Il crimine di aggressione sembra più dettagliato, potendo integrarsi solamente in manifesta violazione della Carta ONU, ovvero con azioni in cui sono presenti tutti gli indicatori individuati dall’emendamento (carattere, gravità e portata dell’atto). Pertanto per la Corte Penale Internazionale non tutti gli atti di aggressione, tali da far sorgere la responsabilità dello Stato, potranno essere considerati anche crimini internazionali individuali.

 

La Corte dell’Aia può anche procedere per il genocidio (art. 6 dello statuto). Si tratta dell’uccisione, in tutto o in parte, intenzionale e deliberata, di persone appartenenti a un particolare gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. Come ricorda Flores (Genocidio, Il Mulino 2021), anche se gli eccidi di massa sono una costante della storia, il termine ‘genocidio’ è sorto nel novecento nell’epoca dei regimi totalitari. Non a caso il concetto ebbe definizione giuridica quando era in corso la Shoah e venne coniato dal giurista ebreo-polacco Raphael Lemkin.

 

 

Questi sostenne che il fenomeno non era nuovo, ma nuovo era il modo di concepirlo e per questo era necessario introdurre nuovi termini. Nel 1944 pubblicò un saggio in cui definì il genocidio come “un piano coordinato di differenti azioni mirante alla distruzione dei fondamenti essenziali della vita di gruppi nazionali, con l’intento di annientarli… è la disintegrazione sociale e la distruzione biologica del gruppo”. Con il genocidio gli individui non vengono perseguitati in ragione delle loro azioni, ma in quanto appartenenti ad un gruppo “nazionale” (nel senso latino di natio, cioè stirpe, popolo). Il Tribunale a Norimberga, istituito con l’accordo di Londra, l’8 agosto 1945, non prevedeva nello Statuto la fattispecie di genocidio, ma questa venne inserita con la Convenzione del 9 dicembre 1948. 

 

Si intendono atti genocidari: l’uccisione di membri del gruppo, le lesioni gravi alla loro integrità fisica o mentale e tra tutti lo stupro, il sottoporre deliberatamente un gruppo a condizioni di vita intese a provocarne la distruzione fisica anche parziale; le misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo, il trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo a un altro. E tali atti sono punibili se finalizzati a commettere uno o più dei cinque crimini sopraindicati, così come sono punibili l’accordo per commettere genocidio; l’istigazione diretta e pubblica; il tentativo di genocidio; la complicità nel genocidio. Questo crimine presuppone una pianificazione, dunque un’intenzione criminosa riconducibile a un’unità politica organizzata. 

Si è sviluppata nel tempo la tendenza a definire il genocidio in modo diverso da come descritto nella Convenzione del 1948 e il tentativo di classificare i massacri avvenuti nel corso della storia hanno portato a diverse definizioni. Con l’emersione drammatica dei crimini politici, si sono inclusi questi ultimi nella fattispecie del genocidio. È stata altresì inclusa la distruzione delle identità culturali, tanto che già Lemkin aveva definito il genocidio culturale ‘etnocidio’. Il concetto si sviluppa così su tre livelli. Un’accezione ristretta, di tipo giuridico, che corrisponde alla definizione della Convenzione del 1948. Un’accezione più ampia include gli eccidi con motivazione politica, che comprende le forme di omicidio di massa compiute da organi governativi. L’accezione più estesa riguarda il massacro di popolazione civile avvenuto nelle epoche storiche, soprattutto se la popolazione eliminata apparteneva ad altra etnia. Esistono poi categorie “spurie” come il genocidio “indiretto”, per carestia politicamente indotta, come nella vicenda dell’Holodomor, la grande fame in Ucraina prodotta da Stalin nei primi anni trenta. 

 

Attualmente ha avuto sviluppi la situazione giudiziaria della guerra in Ucraina. Lo scorso 4 marzo la Corte penale internazionale dell’Aja ha aperto un'indagine su presunti crimini di guerra commessi dalla Russia nell'invasione del territorio ucraino. Il 7 e 8 marzo si sono tenute le udienze pubbliche sul “caso relativo alle accuse di genocidio ai sensi della Convenzione sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio (Ucraina contro Federazione russa)”. Il 30 marzo tale ipotesi è stata rilanciata dall'Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, la cilena Michelle Bachelet. 

È rilevante sottolineare che la Corte penale internazionale dell’Aja, cui è attribuito il ruolo di giudicare quei reati, opera solo verso i Paesi che vi hanno aderito. La Russia non l’ha ratificato, come peraltro gli Stati Uniti, la Cina e l’India. L’Ucraina non lo firmò, ma nel 2015 lo ha temporaneamente adottato. Stando alle regole, i giudici possono intervenire solo se “i crimini sono stati commessi da un cittadino di uno Stato parte, o nel territorio di uno Stato parte, o in uno Stato che ha accettato la giurisdizione della Corte”. Quindi esiste la giurisdizione di quella Corte per le vicende in corso in Ucraina.

 

Questo è un quadro di riferimento, sommario e forse meno noto, di una situazione attualmente incandescente e lastricata di sangue. Qualche appunto ulteriore però è possibile e forse doveroso. Ricorrere al diritto ed alle sue categorie significa devolvere al rito processuale la risoluzione dei problemi giuridici. E quindi occorre essere consapevoli che la macchina giudiziaria ha i suoi tempi, i suoi modi, le sue tecniche, i suoi obiettivi che non sono quelli, non lo si ripete mai abbastanza, che invoca l’opinione pubblica. Per la Corte dell’Aja la responsabilità è personale, come molto opportunamente ricordava Vladimiro Zagrebelsky ("La Stampa", 7 aprile 2022), e quindi occorre individuare i vertici, con prove certe, che hanno ordinato di compiere quei crimini. Ma l’ordine è stato proprio in quei termini o gli uomini sul campo hanno operato autonomamente? Problema non lieve per i crimini di guerra e contro l’umanità, più agevole da affrontare forse per il crimine d’aggressione e per il genocidio che presuppongono un’iniziativa dall’alto. Non solo: quale verità vuole raggiungere la collettività umiliata e addolorata? La verità storico-politica non necessariamente coincide con quella giudiziaria per i loro specifici congegni interni. Appartengono a mondi diversi, solo occasionalmente conciliabili. Lo si sa prima e da sempre, ma è bene ripeterlo.

 

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