Black Mirror: nel cuore del conflitto

20 Luglio 2023

Alla fine del secondo millennio – a pensarci oggi, un’altra era – Charlie Brooker, ideatore della serie televisiva antologica Black Mirror, inaugura il sito web TVGoHome. Si tratta di un palinsesto televisivo fittizio, mutuato sul modello del settimanale britannico Radio Times. Il titolo manipola un graffiti xenofobo dell’epoca; la sua intenzione potrebbe richiamare al fruitore italiano un incrocio, in chiave grottesca, tra Blob e il rotocalco TV Sorrisi e Canzoni: 

“3:30 – Strapped to Your Dad Troublesome teenagers strapped harm, leg and hip to their fathers in order to feel his erection rousing against them as he is shown wild pornography over their shoulders”. (Charlie Brooker, TVGoHome, citato da Giles Harvey in The Speculative Dread of “Black Mirror”, New Yorker, 28 novembre 2016. Gli archivi del sito non sono più disponibili in rete.)

Brooker esplora, con uno sguardo che chiama in causa James G. Ballard e Guy Debord, le risacche dell’immaginario televisivo: voyeurismo disperante, sindrome di accerchiamento, sequestro dello spettatore attraverso la programmatica riduzione del desiderio a prurito grottesco-masturbatorio, innesco di una peculiare tipologia di aggressività, un odio narcisistico nei confronti dell’immagine dell’altro.
Circa vent’anni dopo, nell’episodio che apre la sesta stagione di Black Mirror, a proposito di un prodotto audiovisuale di grande successo, il cui materiale consiste del privato degli spettatori, attinto a loro insaputa, il personaggio della produttrice afferma: “I dettagli sono talmente orribili, è irresistibile” (“Joan is Awful”, disponibile su Netflix dal 15 giugno 2023). L’oggetto dello sguardo è lo stesso, con una differenza: dai tempi TVGoHome, la tecnologia dell’industria dell’intrattenimento, e dunque la tecnologia tout court, è divenuta infinitamente più pervasiva. Intorno all’evidenza di questa crescente pervasività, articolata come un pericolo e anche, negli episodi più riusciti, come una porta spalancata sull’ignoto, prende forma il nucleo narrativo della serie.

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Fin dal primissimo episodio, “The National Anthem”, andato in onda il 4 dicembre 2011 sull’emittente televisiva britannica Channel 4, Brooker mostra l’intenzione programmatica di mettere a tema i prodotti e i servizi più significativi, e più recenti, della rivoluzione informatica, per esplorarne le conseguenze sul piano dell’agire individuale e sociale. Un rapimento, nel reale, della principessa Susannah, e un ricatto, perpetrato a partire dai social media, mettono il primo ministro, a fronte di pressione crescente da parte dell’opinione pubblica, davanti a un’impasse: lasciare che il clamore rientri da solo, col rischio che la principessa perda la vita tra le mani dei rapitori; o invece agire, rendendola incolume alle braccia aperte del pubblico. La condizione della seconda è inequivoca: il primo ministro deve copulare con un maiale in diretta televisiva. La first lady non approva (c’è un limite alla virtù cardinale del sostegno alla carriera del marito), ma la spinta, fuori dal nucleo familiare, è più forte. Vomitandosi addosso, il primo ministro esegue. La principessa è salva, se non che il perpetratore del rapimento, un’artista, l’ha liberata mezz’ora prima dell’agone erotico interspecie, impiccandosi poco dopo. Compiuta l’opera, a un anno di distanza, gli indici di apprezzamento del primo ministro sono alle stelle, la relazione con la first lady si sfalda. 
La funzione narrativa dei social media è cruciale: si tratta del moltiplicatore ideale dell’istanza più gretta del senso comune, il prurito dell’osceno, la cui spinta si articola, nel racconto, come peer pressure.

In “The National Anthem”, e in episodi simili per costruzione ed effetto, come “Shut Up and Dance” (terza stagione, 21 ottobre 2016), si fa ricorso a tecnologie e pratiche già in uso nel reale, estremizzandone la portata. Tuttavia c’è un’altra tipologia di narrazioni, in cui l’orizzonte della pervasività tecnologica si ritrova sensibilmente spinto in avanti. Nanotecnologie, internet of things, intelligenza artificiale, realtà virtuale e computazione quantistica permettono a Brooker e agli altri sceneggiatori della serie di affrontare, in chiave fantascientifica, un tema che è, allo stesso tempo, motore della riflessione teologica e filosofica cristiana: il sensorio complessivo. In episodi come “The Entire History of You” (prima stagione, 18 dicembre 2011) e “Joan is Awful” c’è un luogo, cioè un dispositivo, in cui l’insieme del vissuto, dei pensieri e dei desideri dell’individuo è registrato, conservato e reso disponibile allo sguardo altrui. A differenza delle narrazioni d’anticipazione classiche, in Black Mirror decade la lettura in chiave totalitaristica della tecnologia del controllo; emerge, piuttosto, la prospettiva del profitto: come ha già ricordato la produttrice dello show “Joan is Awful”, i desideri e i pensieri intimi dell’individuo, di qualunque individuo, sono irresistibili, cioè monetizzabili, in quanto osceni.
In queste storie si palesa in maniera più vivida un effetto già presente in "Shut Up and Dance” e “The National Anthem”. L’avanzata progressiva e inarrestabile di esoscheletri tecnologici e spazi virtuali genera le conseguenze più drastiche sulle relazioni affettive: gelosia e voyeurismo dilagano, dall’interno e dall’esterno dei nuclei sociali elementari (famiglia, coppia, cerchia ristretta di amici, lavoro); l’individuo si ritrova al di qua e al di là dell’umano, cioè ridotto al piano dell’immaginario: macchina per fabbricare risentimento, cinismo, profitto e vergogna.

È presente, in Black Mirror, un tratto di critica dei modi di produzione e fruizione propri del tecnocapitalismo. Attraverso l’espediente della messa a nudo del procedimento gli autori della serie intendono, parafrasando Ricardo Piglia, provare a fare dei problemi di costruzione il tema stesso dell’opera. Questo tentativo è evidente, ad esempio, nel film interattivo “Bandersnatch” (28 dicembre 2018), in cui l’adagio “il cliente ha sempre ragione” è rispedito al mittente: l’intrattenimento dello spettatore, la cui domanda si fa sempre più sofisticata, è in parte a carico dello spettatore stesso. Inoltre, a partire dal passaggio da Channel 4 a Netflix, nel 2016, la piattaforma di produzione e distribuzione di contenuti audiovisuali diventa figura della narrazione, in particolare nella sesta stagione, in cui l’impresa Streamberry, il cui richiamo a Netflix è palese, è il veicolo privilegiato, cioè il perpetratore cinico, della trasformazione dell’individuo in bestia computazionale.
Tuttavia sotto questo strato di critica, rilevante ma superficiale, s’innesta un ben più potente e ramificato millenarismo tecnologico. Si tratta, a tutti gli effetti, di un’intera e completa visione del mondo che rappresenta, oltre al limite narrativo e ideologico della serie, la sua cifra stilistica. Il modo in cui sono costruiti molti dei finali ne è conseguenza diretta: i personaggi si ritrovano schiacciati davanti a una fatalità, il peso del conflitto non lascia loro scampo; la sola opzione per recuperare quanto di umano persiste è il passo indietro, l’abbandono. Questa rinuncia ha sempre il sentore della nostalgia, per quanto sofisticata, dello stato di natura.

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Gli ultimi due episodi della sesta stagione, “Mazey Day” e “Demon 79” (15 giugno 2023), rappresentano, quantomeno sul piano letterale, un ribaltamento dei paradigmi della serie. Il primo elemento, il più lampante, è l’ambientazione nel passato (inizio secondo millennio in “Mazey Day”, fine anni ‘70 in “Demon 79”); il secondo è la sostituzione categorica, nella costruzione dell’intreccio, della tecnologia con la magia. Tuttavia le scene in cui Nida, in “Demon 79”, è posseduta dal demone sono rese, dal punto di vista visivo e sonoro, nello stesso modo in cui, ad esempio, in “Striking Vipers” (quinta stagione, 5 giugno 2019), Karl e Danny entrano nel videogioco in realtà virtuale: i bulbi oculari si fanno grigiastri, scompaiono le pupille, si entra in un’altra dimensione. Inoltre, l’effetto stesso della possessione è analogo a ciò che accade ai personaggi di “The Entire History of You”: il dispositivo, impiantato dietro l’orecchio, raccoglie, conserva e rende visibile allo sguardo altrui ogni aspetto della memoria privata dell’individuo che lo porta; il demone mostra a Nida il passato, i pensieri e le intenzioni di uomini e donne che la circondano. È il sensorio complessivo (dio, o il demone, vede e provvede) e permette a Nida, impiegata in un negozio di scarpe di una città britannica, figlia di migranti e bersaglio di discriminazione razziale, di scegliere le sue vittime in base a un criterio oggettivo: il grado di cinismo riscontrato frugando tra i loro desideri segreti. 
L’elemento magico ha le stesse fattezze di quello tecnologico e opera in modo analogo; i suoi effetti sul movimento narrativo, invece, sono di segno opposto. Venuto meno un peso, o una colpa, che nella serie è quasi invariabilmente a carico dei personaggi, il desiderio di questi ultimi trova infine uno sbocco, per quanto violento. Svincolata dall’onere dell’urgenza critica – la prossimità con l’oggetto del conflitto è pericolosa – l’intera narrazione si alleggerisce e cambia registro, favorendo l’ingresso alla parodia. Il risultato, solo apparentemente paradossale, è che in Black Mirror gli individui ritornano umani, cioè soggetti che esercitano e agiscono il proprio desiderio, principalmente attraverso il contatto con l’elemento magico. In verità, il percorso che conduce dal sopruso tecnologico all’emancipazione per via magica è coerente, per quanto accidentato, e dimostra, se non altro, unità di visione e intenzione da parte degli autori della serie. 

Eppure la fuga delle amanti in “San Junipero” (terza stagione, 21 ottobre 2016) è una scelta d’amore – le due donne, entrambe in fin di vita, non si limitano a registrare, in uno stato di rinuncia o abbandono, lo sfaldamento dei confini del reale ma decidono di esperire, insieme, la felicità, la paura, la noia e il godimento nella città virtuale. Dalle maglie reazionarie del tecnopessimismo, così determinanti, in Black Mirror, nella costruzione del movimento narrativo, viene fuori, in ogni caso, la possibilità di un movimento diverso: un salto nel vuoto, nel cuore del conflitto. 

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