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La dolce vita capovolta di Giò Stajano

24 Luglio 2025

Un’automobilina in legno a pedali, un cavalluccio di legno, un cucciolo di cocker color champagne, la raccolta completa delle figurine Buitoni dei Tre Moschettieri: questi alcuni dei regali che Gioacchino riceve da suo nonno, Achille Starace, segretario del Partito Fascista. Per lui, i suoi fratelli e i cugini sono anni di vacanze in montagna e al mare, tra il Lido di San Giovanni a Gallipoli e San Martino di Castrozza, sempre precedute dal rituale di un cucchiaio di olio di ricino (per rinvigorire il fisico). Sullo sfondo di quelle villeggiature c’è un’Europa in fiamme, un’Italia spaccata dalla guerra civile. Al termine del conflitto il nonno finisce a Piazzale Loreto, i genitori di Gioacchino divorziano, alla famiglia restano ville, possedimenti, e conoscenze… Continuano le vacanze, le orchestrine di Nilla Pizzi e Carla Boni animano le serate danzanti al lido. Bagnini e sportivi avevano già attirato il suo sguardo, ma in quegli anni il risveglio sessuale arriva grazie ai fumetti di Flash Gordon. E lì Gioacchino capisce.

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Giò Stajano a Roma negli anni Cinquanta.

Quando Gioacchino Stajano Starace in arte Giò, conte Briganti di Panico nasce, nel 1931 a Sannicola, c’è ancora il regno d’Italia; quando si trasferisce a Roma, il boom economico è di là da venire, Pasolini viene espulso dal PCI per “indegnità morale” e Maria Goretti viene proclamata santa da Pio XII. Quando muore, nel 2011, ormai da anni Contessa Maria Gioacchina Stajano Starace Briganti di Panico, si celebra il 150° anniversario dell'Unità d'Italia mentre, travolto dagli scandali delle cene eleganti, volge al termine il governo Berlusconi IV.

Roma, anni Cinquanta, tra via Veneto e via Margutta, via del Babuino e piazza di Spagna: il Rosati, il Doney, il Cafè de Paris, il Victor’s, il Kit-Kat diventano il centro nevralgico della vita mondana, un’illusione di benessere e vacuità. Qui si alternano personaggi famosi (Walter Chiari, Baby Pignatari, Ludovico Lante della Rovere, Ira Fürstenberg…), squattrinati in cerca di fama, aspiranti attrici e starlette. Tra loro Giò Stajano, che su quel palcoscenico vive anni di amori disperati, melodrammatici. Esibisce look vistosi, capelli ossigenati e camicie scollate, vuole essere al centro dell’attenzione, gli sguardi tutti su di sé.

In quegli anni Stajano dà scandalo, intrattiene i salotti e anima le camere da letto; entra a far parte della corte dei miracoli di Novella Pellegrini, ammanicatissima pittrice di quadri raccapriccianti che è riuscita, con il suo talento per le pubbliche relazioni, a rifilare le sue croste a mezza Roma bene. È lei a inventarsi d’entrare nella fontana della Barcaccia in compagnia del giovane conte e una modella: finiscono sui giornali, contribuendo a cementare l’immagine di una Roma folle e frizzante. Anche Giò si dà alla pittura, riesce a vendere un suo quadro (un po’ meno brutto di quelli dell’amica) a Federico Fellini, che a quegli episodi, a quelle foto, a quei personaggi guarda per dare forma al suo film di prossima uscita, La dolce vita e invita anche Stajano a parteciparvi.

Che cosa sia accaduto in seguito non è del tutto chiaro. Nell’autobiografico Pubblici scandali e private virtù, realizzato a quattro mani con Willy Vaira nel 2007, Stajano ricorderà che il regista “aveva disegnato un personaggio macchiettistico, voleva che interpretassi il gay tutto moine e smorfiette, e a me non piaceva, non volevo rendermi ridicolo”, e di avere per questo declinato l’offerta, costringendo Fellini a servirsi di un sosia: “dovette sostituirmi con un giovane che mi assomigliava. Ma era chiaro che quel personaggio si ispirasse a me, e anche se non compaio nella pellicola, grazie a quel film divenni il rappresentante dei ‘diversi’ di tutta Italia”.

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Un fotogramma dalla scena finale di La dolce vita. Giò Stajano è il quarto da sinistra, subito dietro Marcello Mastroianni.

Per la verità, nel film lo si può riconoscere chiaramente in più di una sequenza, compresa quella – celeberrima – del finale, con l’orgia notturna nella villa di Fregene e il ritrovamento del pesce mostruoso sulla spiaggia; se non risulta accreditato nei titoli, sostengono alcuni, è per via di un litigio con il regista, che da quel momento in poi lo bandisce dalla propria cerchia. Il che non impedirà a Stajano di prendere parte, un paio d’anni più tardi, alla parodia di Sergio Corbucci Totò, Peppino e… la dolce vita (1961), ancora una volta nei panni di una versione appena dissimulata di se stesso.

Sono gli anni in cui Giò insegue uomini indecisi, eterosessuali curiosi, gay repressi, bisessuali disorientati; si fa usare, vive nel tepore della commiserazione e del rifiuto. “Ti voglio bene, ma come amico, ma non sei una donna… Come mai tu sei così?”, gli dicono i giovanotti di cui si innamora con disperazione. Amici che il sesso “omo” lo praticano, sì, ma in segreto, per sfogo, a tempo determinato.

Poi l’avventura editoriale che lo porterà a lavorare per Men, prima rivista italiana per soli uomini, in cui curerà una rubrica di corrispondenza per omosessuali e di nudi maschili. Un azzardo che funziona: le lettere arrivano a carriole, la provincia italiana culturalmente è una landa desolata, non esiste una “realtà omosessuale”. Poi ancora il lifting, una quarta di reggiseno e un volo per Casablanca. Al suo ritorno, Giò, che ora sta per Gioacchina, è la prima transessuale italiana: si dedica quindi un po’ alla pornografia e alla prostituzione d’alto bordo (‘fascinosa esperta in culinaria e golosità offresi’), perché lo scandalo deve essere sempre più vistoso, ed ora, dopo anni a farsi sfruttare dagli uomini che l’hanno usata e sfruttata, per concedersi si fa pagare. Seguirà redenzione in convento.

Ma tutto questo ci porta troppo avanti. È nella Roma di Fellini e Visconti che nasce il “mito letterario” di Giò Stajano. È in quegli anni che viene pubblicato il suo libro d’esordio, Roma Capovolta, passato alla storia come primo romanzo omosessuale italiano, prontamente bandito dalla censura e messo al rogo. “Qualche romanzetto l’ho scritto”, racconterà nel memoir-conversazione con Vaira. “Tutto iniziò casualmente. Il primo fu pubblicato nel settembre del 1959, da un piccolo ma intraprendente e ambizioso editore, Giovambattista Quattrucci. Io avevo ventotto anni, il titolo di quel profetico romanzo era Roma capovolta. Ebbe un’eco scandalistica vastissima anche perché fu il primo romanzo italiano dichiaratamente e autobiograficamente omosessuale. E pensare che oggi potrebbe essere letto senza trasalimento alcuno anche da un quindicenne”.

Sull’onda dello scandalo, di “romanzetti” ne seguono presto altri, da Meglio l’uomo oggi (che la censura dell’epoca costringe a ribattezzare Meglio l’uovo oggi), uscito in quello stesso 1959, a Le signore sirene del 1961, fino a un più esplicito Roma erotica del 1967. Nel frattempo però sono usciti anche L’Anonimo Lombardo e Fratelli d’Italia di Arbasino, gli scritti di Pasolini, i romanzi di Giuseppe Patroni Griffi e Dario Bellezza: prende forma una narrativa omosessuale che trova la sua rilevanza non più per i contenuti scabrosi, pruriginosi e proibiti, ma per il suo valore letterario. Stajano, aspirante pittore, poi fallimentare vedette, romanziere per diletto, non può competere in questo campionato. Anche Walter Siti, nella postfazione di questa nuova edizione di Roma Capovolta edita da Feltrinelli a cura di Willy Vaira, non lesina le critiche: avallando il giudizio di Giancarlo Vigorelli, che all’epoca aveva definito il romanzo “un’insulsa frittata”, sottolinea come “il temperamento drammatico abbia la meglio, le riflessioni liriche sono di una Luciana Peverelli gay”.

Eppure, in questa operazione di autofiction Giò Stajano si dimostra in anticipo sui tempi, servendosi di un genere che avrebbe poi preso piede con coscienza a partire dagli anni Ottanta (Busi, Bellezza, Tondelli, per arrivare infine proprio a Siti) e che oggi impesta gli scaffali delle novità librarie, quasi non vi fosse altra possibilità per la narrativa contemporanea, ovvio riflesso (ormai esausto) per questa nostra epoca dell’io come performance. Al contrario di quelle odierne però, quella anzitempo di Roma Capovolta è una finzione personale che racconta le tribolazioni amorose – romantiche, patetiche, istrioniche – di una persona sempre fuori posto – e che per questo reclama a gran voce la sua centralità nel mondo. Con voce sincera, fors'anche ingenua, ma che nel camuffamento della letteratura suona sempre onesta, mai programmatica, non ha pretese didattiche: “Confesso di essere vanitoso. E anche un po’ bugiardo, perché mentre dico che non ci si dovrebbe interessare dei fatti degli altri non faccio altro che desiderare che tutti si interessino a me. E spesso, con qualche stravaganza, ci sono riuscito”.

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Accanto al protagonista troviamo Fiaba, pittrice dai capelli biondi tagliati alla maschietta (Novella Pellegrini) e l’onorevole vestito da Geisha, sodale consigliere (e serpe in seno) sempre pronto a rimorchiare ragazzotti in trattoria in cambio di qualche diecimila lire: un personaggio ispirato a Vincenzo Cicerone, deputato monarchico conservatore poi finito con Stajano nello scandalo bresciano dei “Balletti verdi” (“Ricordo che andava in Parlamento con un velo di cipria sul viso per nascondere l’ombreggiatura della barba e il suo profumo preferito, Arpège”, racconterà Stajano in Pubblici scandali e private virtù, “lo conosceva pure Andreotti, che sentendolo nell’aria a volte esclamava ‘È arrivato l’onorevole Cicerone’ prima ancora di averlo visto”). E poi un codazzo di nobili decaduti, antiquari briosi, compagnie di giovinotti frou frou, militari, marinai e sportivi (calciatori e canottieri) in libera uscita…

Quella che potrebbe apparire come una semplice peregrinazione di letto in letto, da un farabutto a uno peggiore, si configura invece, nel caso di Stajano, autore e protagonista del suo mondo letterario, come una ricerca, un eterno peregrinare attorno a un vuoto, quello di un’identità impossibile da definire, da comprendere, da afferrare. Anche quando, negli anni del successo di Men, di cui diventa direttore, viene chiamato da Angelo Pezzana per contribuire al Fuori!, Stajano se ne tiene alla larga: da una parte è d’estrazione conservatrice – aveva collaborato alla realizzazione di articoli, scoop e scandaletti per Lo Specchio dell’ex fascista Giorgio Nelson Page e per Il Borghese dell’ex fascista Leo Longanesi – dall’altra, probabilmente, è ormai troppo alieno e solitario per potersi identificare in qualsiasi discorso identitario collettivo.

Omosessuale, transessuale… In quegli anni, ben che andasse, si parlava di quelli così: “Non c’è avvocato, medico, ingegnere, o altro professionista, i cui figli (purché l’aspetto fisico glielo consenta) non abbiano avuto rapporti con qualcuno così. I padri li vedono spendere denaro che essi non hanno loro dato, li vedono indossare camicie o pullover o vestiti che essi non hanno comprato”, scrive in Roma Capovolta. “Da dove viene quella roba e tutto il resto?”. Da Onlyfans e similari, diremmo oggi, epoca in cui Giò Stajano (conte o contessa) sarebbe influencer di incredibile successo, ospite immancabile dei salotti di Barbara D’Urso e Caterina Balivo, protagonista di reality e forse molto più a suo agio in questa società post-Cafonal e Ultra-Cafonal che nella Dolce Vita felliniana.

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