Un altro film alla Wes Anderson? La trama fenicia
Da Cannes, qualche settimana fa, erano giunte voci che Wes Anderson, in concorso per la quarta volta con La trama fenicia e per la quarta volta ignorato dalla giuria nell'assegnazione dei premi, avesse fatto un altro film “alla Wes Anderson”. Non che sia stata una sorpresa o ci si attendesse qualcosa di diverso: una gioia rincuorante per gli ammiratori e una conferma deludente per i detrattori. Sarà anche per questa convinzione di una reiterazione ormai immutabile di stile e tematiche, convinzione ripetitiva anch'essa giacché è uno degli argomenti ricorrenti delle recensioni sui film di Wes Anderson, che già dalla foto della locandina si può provare una sensazione di déjà-vu?

In essa, il busto di Benicio Del Toro, principale protagonista nel ruolo del magnate apolide Zsa-Zsa Korda, fuoriesce da una vasca, con le braccia incrociate, mentre ha lo sguardo rivolto a qualcosa che attira la sua attenzione di fronte a lui. Quella posa ha qualcosa di familiare, che riporta alla mente Asteroid City del 2023 (sempre presentato a Cannes, sempre con un'accoglienza tiepida). Due immagini in particolare: Scarlett Johansson immersa nella vasca della sua stanza; sempre lei, in posa pensierosa, con le braccia incrociate e lo sguardo rivolto verso l'orizzonte (è una delle immagini emblematiche del film di due anni fa; la prima che salta fuori nei motori di ricerca scrivendo il titolo del film e il nome dell'attrice). Questi collegamenti subliminali sono un effetto collaterale dell'attendersi a priori una reiterazione stilistica? Johansson ha un piccolo ruolo anche in questo film: ancora una volta, tutto torna (e tanti ritornano).

L'altro elemento ben distinguibile nella locandina di La trama fenicia è la raccolta di piccoli riquadri fotografici di dodici attori; non ci stavano tutti, tanto che è rimasto escluso persino un collaboratore di lunga data come Bill Murray (il quale, in effetti, stavolta compare solo per una manciata di minuti). Ecco un'altra conferma di quanto ci si attende dai film di Wes Anderson: che collezioni attori, se possibile già presenti nei suoi film precedenti, come fossero figurine. Ogni tanto viene invitato qualche nome inedito e infatti le prime figurine della locandina sono novità (Mia Threapleton e Michael Cera, nei ruoli di Liesl, la figlia di Korda, e Olaf, un istitutore-tuttofare norvegese), mentre altre vengono pescate dalle apprezzate collezioni del passato e ripresentate in una nuova veste. Parlare di collezione non è fuori luogo in quanto molti collezionisti, nella loro passione, tendono a essere particolarmente accurati per soddisfare un bisogno psicologico di completezza e perfezione: indubbiamente Anderson, quando sceglie gli attori e i collaboratori tecnici (anch'essi ricorrenti), predispone ogni singola scena dei suoi film per apparire completa e perfetta.
Il circolo vizioso dei suoi progetti si è chiaramente consolidato: gli servono tanti attori perché in fase di sceneggiatura vengono previsti tanti ruoli, ma il soggetto (qui scritto con il sodale Roman Coppola) e la sceneggiatura (firmata da solo) vengono concepiti come antologia di più storie appositamente per dare spazio a più attori possibili. Riassumere l'intreccio narrativo di un film che già nel titolo contiene la parola trama (o uno schema, in originale) è un compito quasi pleonastico che però potrebbe configurarsi come un buon test per valutare la funzionalità delle intelligenze artificiali, che presto o tardi sostituiranno in ogni caso chi scrive di cinema: dopo averla interrogata, confermerà che la trama è “complessa e piena di tensione”. L'essere umano, che si può affidare principalmente alla sua memoria, ricorderà che il cinema di Anderson è formalmente elegante e inconfondibile, eppure mai considerato abbastanza impegnato da garantirgli un premio a Cannes, neppure quando si avventura a trattare temi geopolitici; probabilmente perché lo fa con la disposizione d'animo del favolista.

C'è un protagonista che si è arricchito con operazioni finanziarie senza generare ricchezza se non per sé stesso, ma viene ostacolato quando la sua arroganza si scontra definitivamente col potere politico: il tema in effetti è molto attuale, ma è più semplice sintetizzare la storia come una nuova variazione del regista sul tema della paternità eccentrica e della filiazione sofferta. Zsa-Zsa Korda, il magnate degli anni Cinquanta che si è arricchito enormemente con speculazioni finanziarie senza scrupoli ed è così trasversalmente odiato da essere vittima di frequenti attentati alla sua vita, ha nove figli maschi e una sola figlia femmina, Liesl, votata a una vita monastica, che non vede da quando lei era bambina; sopravvissuto miracolosamente all'ultimo tentativo di assassinio, sceglie lei come unica erede, imponendole un riavvicinamento tutt'altro che facile o gradito.
Questa è la base, piuttosto essenziale, su cui è impostato il canovaccio; ma ovviamente incombono le trame secondarie. Un sabotaggio mette a repentaglio il maggiore (e più remunerativo) progetto mai architettato da Korda: la realizzazione di nuove grandi infrastrutture in Fenicia, un paese inesistente situato grossomodo in Medio Oriente, sebbene la finta mappa geografica inventata per il piacere di dare verosimiglianza all'esotica nazione non offra molte indicazioni leggibili, nei pochi secondi in cui appare. Korda deve rinegoziare personalmente i vari accordi commerciali senza i quali il suo progetto fallirebbe: mancano molti soldi e li deve reperire a ogni costo. Ciascun accordo è un tassello legato agli accordi successivi: l'effetto domino permette di passare in successione da una situazione all'altra, da un segmento narrativo all'altro, ognuno con i suoi personaggi eccentrici, ognuno con la sua ambientazione (e la sua peculiare scenografia) in un diverso angolo della Fenicia.

Non viene lasciato molto tempo per soffermarsi sulla credibilità o sensatezza della storia: è sufficiente capirla a grandi linee, perché la coerenza generale è considerata meno apprezzabile delle scene a effetto e della costruzione minuziosa del ritmo di ogni dialogo fine a sé stesso. Sarà perché in tempi recenti Sinner ha reso il tennis uno sport popolare, sarà perché La trama fenicia è uscito nelle sale italiane proprio mentre si svolgeva il Roland Garros che della stagione tennistica è uno dei tornei più prestigiosi, o ancora perché uno tra i tanti personaggi indimenticabili del cinema di Anderson è il tennista di I Tenenbaum interpretato da Luke Wilson: cercando di stare dietro ai dialoghi incalzanti del film, si può immaginare di assistere agli scambi serrati di una partita di tennis. Servizio e risposta, prima si inquadra un attore poi un altro; colpo di dritto e risposta di rovescio, alternanza di primi piani frontali e poi i due volti all'estremità della stessa inquadratura; pallonetto e schiacciata, campo lungo per apprezzare la disposizione degli attori nella scenografia e poi piano medio per capire la relazione umana instaurata tra i personaggi. In un paio di occasioni lo scambio verbale si chiude con un gesto che è come una palla corta per tirarsi fuori d'impaccio: una scrollata di spalle. Come in una partita di tennis in cui si alternano variazioni di gioco ai solidi e interminabili colpi da fondo campo, Anderson prova a non cadere nella prevedibilità eccessiva; se non nello stile, almeno nel montaggio dinamico delle inquadrature.
Graficamente, ogni tassello del progetto infrastrutturale fenicio è reso come una scatola: sono poste ordinatamente su un tappeto, chiuse, creando l'aspettativa che ognuna di esse contenga uno degli universi narrativi di Anderson. Il film si sviluppa come una serie di unboxing e, come nei popolari video in cui qualcuno si filma mentre apre un pacco, lo spettatore vive l'attesa di una sorpresa già preannunciata dalla sola presenza della confezione: tanto sbalorditiva quanto perfettamente intuibile. Le solite opulente scenografie sono un invito alla sovra stimolazione sensoriale e poco importa che i troppi elementi presenti possano distrarre dal seguire l'intreccio narrativo: l'accumulazione seriale di dispositivi scenici fa parte del gioco almeno quanto l'esposizione di una storia che si complica progressivamente come fosse un racconto della buonanotte a puntate, narrato da un padre magniloquente a sua figlia per riconquistarla.

Abbondano gli stimoli che il cervello faticherà a elaborare autonomamente: i quadri disseminati in varie sequenze che in alcuni casi sono reali, presi in prestito per le riprese anziché essere riproduzioni, perciò nei titoli di coda vengono presentati uno ad uno come fossero attori del film; i libri letti da Korda, dai titoli bizzarri, difficili se non impossibili da ricordare se non ce li si appunta durante la visione, ma tutti senza il nome di un autore in copertina come se la personalità ingombrante del protagonista si impossessasse di tutto ciò che tocca; i brani musicali di Stravinskij incastonati nella colonna sonora di Alexandre Desplat, anch'essi poi rivelati vistosamente sui titoli di coda.
Ogni film di Anderson richiederebbe una seconda visione in cui i fotogrammi possano essere fermati e ammirati: sono opere visive già furbescamente pensate per essere esposte in un museo, ma lo stesso risultato si può ottenere più comodamente con i fermo immagine, quando i film diventano disponibili per la visione casalinga. In un'epoca in cui una parte sempre maggiore del pubblico apprezza prodotti che possono essere seguiti anche facendo altro e persino guardando solo a intermittenza lo schermo, persino dentro le sale cinematografiche, Anderson insiste con il progetto di catturare l'attenzione anche oltre la prima visione, suscitando il desiderio di partecipare alla caccia ai suoi tesori nascosti. Sarà un'idea ripetitiva, ma anche la Settimana Enigmistica offre ogni settimana variazioni sugli stessi giochi: eppure non passa mai di moda, nonostante gli innumerevoli tentativi di imitazione.
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