Speciale

Cagliari / Paesi e città

4 Aprile 2012

Vorrei parlare di Cagliari attraverso il cinema, non tanto perché è di esso che mi occupo, quanto perché il cinema sceglie, sottrae il troppo dal troppo, mostra l’essenziale che col solo mio sguardo non riuscirei a cogliere. Cagliari mi interessa molto perché ci vivo, perché in pratica ci sono nato (che è molto più che se ci fossi nato davvero perché la vedo da fuori e da dentro), e perché i suoi cambiamenti hanno sempre influenzato e influenzeranno, positivamente e negativamente, ciò che le sta intorno.

 

 

La Sardegna ha una cultura cinematografica e letteraria, e quindi un immaginario, mutuato dalle zone interne e dai romanzi di Grazia Deledda e dai deleddiani postumi, che offre un’idea parziale che viene erroneamente intesa, persino da noi non soltanto dai foresti, come totalizzante. Del resto se si eccettua Sergio Atzeni, non esiste una vera letteratura urbana intendendo con ciò una ricerca “intenzionata” sullo spirito profondo della città. Nel cinema di fiction invece si sta sviluppando da poco un’attenzione per la città che poi vuol dire la parte invisibile di Cagliari, quella che è ancora ampiamente ostica per i documentaristi. Ci si attende molto da questi registi, perché, come nel caso di Salvatore Mereu di cui vedremo, presto spero, in sala Bellas Mariposas, si ingegnano di cavare il bello da un’umanità scabrosa che vive in luoghi scabrosi e brutti rimossi dallo sguardo e dalla consapevolezza dei cittadini. Anche un film come Voci sul mare (2008, Enrico Pau) si basa sulla forza rievocativa del cinema, e sulla sua capacità di “fare” la realtà. Persone e suoni acquorei di Cagliari si raccordano in un montaggio delle attrazioni che dà di Cagliari l’immagine di una città bella ma problematica, dove, alla fine, quello che serve è “solo” fare i cagliaritani secondo le suggestioni di una tradizione rievocata. In esso l’assimilazione culturale sembra acquisita nel modo con cui vengono fatti propri gli oggetti e le opere straniere del lontano passato, ma viene smentita quando si offre agli stranieri di oggi una incerta ospitalità.

 

 

Col tempo nasceranno anche da qui i cagliaritani nuovi, quelli che forse faranno bella la città. Perché, a dirla tutta, Cagliari è bella solo perché la natura l’ha ben ubicata e le ha dato tutto quel mare e tutti quegli stagni intorno, e perché ci sono dei colli (una decina almeno) che ne fanno una città di città (come dice il regista Giancarlo Cao, autore del documentario Karales, del 2001). Ma è anche molto brutta e anonima in tutte le parti nuove che sono poi la Cagliari prevalente. Siccome il brutto ha, più del bello, il potere di colonizzare, a Cagliari anche il bello si sta imbruttendo o si sta nascondendo allo sguardo (vuol dire che si sta privatizzando). Ora per vedere questi bei colli bisogna collocarsi in punti strategici dell’acropoli, ma temo che alcuni siano proprio scomparsi dalla toponomastica. Il cinema creando luoghi nuovi, persone nuove, ipotesi e progetti di futuro avrà un ruolo decisivo per l’invenzione di una città diversa e vivibile. Naturalmente la cosa non avverrà per incanto. Prima questi film avranno per noi una funzione consolatoria e catartica, poi col tempo rifletteremo sul serio se non valga le pena di prendere in considerazione quella proposta di immaginario. Allora chi vorrà potrà trasformare quell’ipotesi in un personale progetto di vita perché si sarà amato quell’immaginario che guarda avanti e quindi lo vedrà come una bellezza attingibile. A proposito di amare mi viene in mente una frase di un filmetto che ho visto di recente che si intitola L’importanza di chiamarsi Ernesto. A un certo punto una Lei di cui un Lui mostra di non accorgersi seriamente lo annichilisce con queste parole: “Guardare una cosa è molto diverso dal vedere una cosa. E non si riesce a vedere nessuna cosa se non se ne vede la bellezza”. Insomma qui, molti, a incominciare dagli amministratori, non vedono la bellezza e quindi non se ne curano.

 

 

Ci hanno distrutto la spiaggia con l’arenile più bianco del mediterraneo (lo dico con ironia, perché un po’ si esagerava), che però è un insolito e lunghissimo tratto di mare balneabile quasi dentro la città; una volta ci hanno impellicciato di tavoloni l’anfiteatro romano, non sono nell’uso della città (e quindi non abbiamo contatto con il suo tempo e la sua storia) i siti punici del colle di Tuvixeddu; gli stagni, abitati da presenze edilizie innaturali, perderanno il microclima, la salinità giusta, la vegetazione e allora ci scanseranno i fenicotteri (vedi Molentargius, un parco ritrovato, 1989, di Salvatore Sardu e Cagliari città di mare e di stagni, 1995, di Davide Mocci); il degrado avvolge antichi e bellissimi luoghi produttivi come le saline. Per vedere le saline come erano una volta dovremo ricorre a un brutto film di Luigi Zampa, Una questione d’onore con Ugo Tognazzi e Nicoletta Macchiavelli. Ecco, il cinema è importante anche per questo. Perché il ricordo di un bello che c’era in natura tramandato anche da un brutto in celluloide non si perda. Qualcuno vedendo quel film si sveglierà al bello che gli è stato sottratto e ne chiederà conto. Almeno si spera, bisogna sperarlo.

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