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Africa: la storia dalla parte del leone
«I lettori più attenti avranno notato che il titolo del libro non è Storia dell’Africa. Il motivo è che voglio porre l’accento sulla storia delle persone nere, ossia su quegli elementi della narrazione del continente che tradizionalmente sono stati i più negletti». Così scrive Amat Levin, scrittore e podcaster svedese di origine gambiana, autore di questa “storia nera”: Nero. Storie mai raccontate dal continente della diaspora (Neri Pozza, 2025, p. 688). Il suo libro si inserisce in una corrente che anche in Italia sembra iniziare a prendere piede: la rilettura della storia dell’Africa non basata sul classico sguardo eurocentrico e colonialista. Nonostante le linee guida per l’insegnamento della storia nella scuola italiana professino che “solo l’Occidente conosce la storia”, sempre più testi accademici e divulgativi provano a riconnettere quel continente alla storia globale, da cui sembrava essere stato espulso, emarginato come irrilevante da una storiografia tutta incentrata su di noi.
Nero di Levin si inserisce nel filone divulgativo, ma non per questo deve essere considerato un testo minore. È una sorta di antologia, organizzata in ordine cronologico, un libro di storie più che di storia. Nella prima parte si affronta l’Africa antica, scoprendo la grandezza delle civiltà di Kush e Aksum, che intrattenevano rapporti commerciali e di scambio con l’antico Egitto (che siamo soliti pensare come una civiltà mediterranea, strappandola all’Africa), a dimostrazione di come l’Africa sia stata fin dall’antichità protagonista. Così come lo è stata nel medioevo, grazie ai grandi regni delle pianure saheliane, che rifornivano oro a tutta l’Europa e intessevano relazioni politiche e commerciali con tutto il mondo mediterraneo. Levin intreccia narrazioni storiche con leggende e miti, entrati a far parte della memoria collettiva africana, similmente a quello di Romolo e Remo. Come quello della principessa Yennenga, il cui figlio fondò il regno dei Mossi, nell’attuale Burkina Faso.
C’è poi la storia dei due grandi monoteismi, accolti in Africa fin da tempi antichi: il cristianesimo nella parte orientale, dall’Egitto all’Etiopia, in cui ancora possiamo ammirare le splendide chiese scavate nella roccia. Anche qui scopriamo la leggenda di San Maurizio, nato a Tebe e capo di una legione romana composta interamente da cristiani, che si rifiutò di sedare una rivolta cristiana. L’imperatore Massimiano decise allora di sterminare l’intera legione tebana. Storia? Leggenda? Non sappiamo di preciso, ma Maurizio fu proclamato santo dalla chiesa cattolica per il suo martirio.
L’islam è l’altro grande protagonista delle vicende africane, ne ha segnato la storia fin dagli inizi della sua rapida espansione e ancora oggi continua a condizionare le scelte e i conflitti di molti Stati.

La seconda parte riguarda le prime esplorazioni dell’Africa da parte degli europei, primi tra tutti i portoghesi a partire dal XVI secolo, fino alla tragedia della tratta degli schiavi, raccontata attraverso aneddoti e riflessioni più ampie, tanto in terra africana, quanto sull’altra sponda dell’Atlantico, per comprendere questa drammatica fase della storia africana. Che non è stata l’unica; infatti non molto dopo ha inizio la fase coloniale, raccontata nella terza parte, segnata da altre violenze e sfruttamento. Qui si racconta del terrore instaurato da Leopoldo II in Kongo, delle repressioni avvenute ovunque, fino alla costituzione di Stati “artificiali”, una zavorra che ancora oggi l’Africa si porta addosso.
Infine, la conquista della libertà in Africa, ma non solo in Africa. Il libro, come abbiamo visto, parla della gente dalla pelle nera, per cui basti pensare alle lotte per i diritti degli afrodiscendenti negli Stati Uniti e non solo. Non solo di tragedie però parla questo libro: il testo, infatti, è costellato di brevi biografie di donne e uomini che hanno segnato la storia in positivo, da Angela Davis a Thomas Sankara, dall’indimenticabile Nat King Cole a Valerie Thomas, che diresse molti programmi della Nasa.
Sebbene l’intento del libro sia quello di portare alla luce episodi che rompano lo stereotipo di un continente senza storia, Levin è molto attento a non cadere nello stereotipo dell’“afrocentrismo”, cioè di ribaltare la visione, mettendo l’Africa al centro di tutto, cadendo così nello stesso errore della storia eurocentrica dominante, per sostituirla con una narrazione uguale e contraria.
Il libro è di piacevole lettura. A essere pignoli, direi che si poteva evitare un sottotitolo un po’ “ruffiano”, che annuncia “storie mai raccontate” (peraltro, inesistente nell’edizione originale), perché non è vero. Pressoché tutte le testimonianze contenute nel libro sono note agli appassionati di Africa. È però vero che l’operazione fatta da Amat Levin è molto importante, poiché grazie al suo stile accattivante, quasi giornalistico, può attirare molti lettori non specializzati e portarli a una prima conoscenza della storia africana, raccontata con uno sguardo diverso.
«Se il leone potesse raccontare la propria storia, sarebbe diversa. Ma la racconta sempre il cacciatore» recita un proverbio africano. Ecco, Levin prova a raccontarci la storia con gli occhi del leone. Ed è una storia diversa.
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