DAN! La Vita nuova di Luca Maria Patella

16 Agosto 2022

Facciamo un passo indietro, siamo nel 2021, un anno intero passato a celebrare Dante, in cui tutti quelli che potevano infilarsi nel coro della retorica nazional-letteraria l’hanno fatto pubblicando libri, articoli o, peggio, podcast e webinar, diventati oggi, passata l’euforia per il divino poeta, clamorosamente irrilevanti. Nello stesso periodo tornava nuovamente disponibile, grazie a Danilo Montanari Editore, il libro dell’artista Luca Maria Patella, DAN! La vita nuova di Dante come ..psicoanalisi o auto-proiezione onirica e ora se ne può parlare senza essere disturbati dal brusio del festival dantesco.

Torna disponibile perché DAN! Patella l’ha pubblicato per la prima volta nel 1980 come parte di un progetto più articolato di libri-lavoro. Ma cosa sono i libri-lavoro? La parola a Elio Grazioli: «Il libro, è per Patella uno strumento di elaborazione in atto, “trasformazionale”, come del resto lo sono le esposizioni e ogni intervento oltre l’opera-oggetto. […] Uscito nel 1980 ma scritto tra il 1975 e il 1979, si intitola DAN, DEN, PIR, DUCH (Dante, Diderot, Piranesi, Duchamp in quanto fondamentali autoproiezioni). […] Di Dante viene reinterpretata La vita nuova come biografia mitica e paradigma dell’intellettuale storico; di Diderot viene riletto Jacques le Fataliste, che sarà l’argomento del libro seguente; di Piranesi viene ripresa la lettura svolta nelle incisioni sulle sue “motivazioni profonde”; di Duchamp vengono analizzate in particolare le opere su vetro». [EG pp. 80-81]

DAN! è da intendersi allora non come uno studio su Dante ma come un’opera con Dante. La vita nuova è, per così dire, sottratta all’acribia del filologo e riconsegnata all’immaginazione del poeta. L’analisi concettuale e linguistica, il vaglio sistematico delle immagini sono quindi uno strumento di creazione che porta La vita nuova fuori di sé; un’azione esorbitante, per altro rivendicata apertamente da Patella che più volte sottolinea l’inefficacia della lettura critica e storico-letteraria nello svelare i temi profondi dell’opera dantesca: «mi sembra che porre in dubbio le motivazioni psicologiche di/in esse, non farebbe altro che chiamare in causa le usuali resistenze (a radice razionalizzante, di uno scaduto positivismo) che ancora la nostra Incultura possiede, verso la consistenza della dimensione onirica e psicologica». [LMP p. 22]

Patella opera un disvelamento della materia onirica intessuta in quella poetica per «istituire una lettura, o ipotesi di lettura, psicologica-profonda e psicosociologica». [LMP p. 30] Lo strumento utilizzato dall’artista per questa immersione e ricreazione è dichiarato in apertura, la psicologia del profondo di Jung, tuttavia, come ogni altro strumento nelle mani di Patella, tutto il corredo di simboli, significati, immagini archetipiche è utilizzato in modo personale, libero, inventivo – per dirlo con le parole dello stesso artista: «Ho già fatto notare come il mio uso di questi termini e concetti non sia junghiano, in senso esatto od ortodosso. Proviene dal confronto con altri atteggiamenti di analisi psicologica, o psicosociologica, ecc.». [LMP p. 51]

Ed è proprio la non ortodossia, l’infedeltà, l’aspetto più fecondo e stimolante dell’operazione perché permette a Patella proprio quel continuo sconfinare e a tratti divagare che conferisce all’andatura del testo il senso paradossale di un procedere zigzagante, pur andando diritto: «Quasi in sintonia, ... anche noi (!) continuiamo a lasciar correre e scorrere: abbandoniamoci alla sequenza o “parabola” interpretativa, senza essere frenati dalla paura di forzare i materiali, del resto organizzati, riorganizzati, da DAN stesso. Il nostro giuoco-verità non fa male, e forse coglie nel sogno». [LMP p. 57]

 

Questo abbandonarsi alla “sequenza”, alla “parabola”, al “sogno”, senza essere frenati dalla fedeltà – che è inerzia – ai materiali, apre a una dimensione immaginifica che diventa precisamente romanzesca, di questo ci avverte Patella stesso alla fine della pagina di presentazione dei “principali personaggi-contenuti del libello” (BEA, BAN, AMORE…) quando scrive: «…non ne anticipo tutta la semantica e le vicissitudini, per non togliere aspettativa-interesse al romanzo». [LMP p.11] 

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Fotografia di F. Donato.

A questo punto, al recensore è affidato il compito di riassumere per sommi capi la trama del romanzo e così l’argomento generale del libro e devo ammettere, con un certo sollievo, che non è possibile, si può tentare di sintetizzare così: Patella ripercorre La vita nuova paragrafo per paragrafo, passando tutto – parole e immagini – al setaccio di Jung, ricostruendo la parabola del rapporto amoroso fra DAN e BEA (per semplificare, una storia di amore/morte), e il lavoro psicologico e culturale che il poeta mette in moto più o meno consapevolmente. La lettura però, si sarà capito, avviene nel modo, nello stile di Patella, e così l’analisi critica, e il racconto, anziché chiarire, semplificare, si trasforma in un labirinto di simboli, figure e richiami, un gioco vertiginoso di associazioni: «So bene – avverte Patella – che le associazioni dovrebbero essere prodotte da DAN stesso, di persona; ma, ..in sua assenza, preleviamole ove traspaiono». [LMP p. 63]

Essendo una «ipotesi di lettura psicologica-profonda e psicosociologica», La vita nuova è anche interpretata da LMP come l’incipit di quel cammino che porterà DAN verso la Grande Opera della maturità, la Divina Commedia, proprio grazie all’elaborazione e alla trasformazione della figura di BEA, elemento centrale nella vita psichica del poeta. Patella ne scandisce precisamente i passi e scrive:

«nel paragrafo XXIV il movimento si riduce sempre più a processione, e ad elevazione quale fuga – ideale e idealistica – verso la multisemantica dell’“alto”! […] “Pellegrini.. pensosi”, come ..procedere e processo della rimozione mistica: vanno a vedere l’effigie di Dio, quasi con quell’“aspirazione” (sotto “vuoto”?!) che DAN potrà realizzare nella luminosissima ascesa al Paradiso: BEA luce – Dio luce ineffabile». […] «Ma questa vanificata emanazione di DAN lo tra-passa.. oltre (come se egli fosse un simulacro), verso BEA Mistico-Materna, assai al di sopra del (e fuori dal) cerchio, della sfera globale dell’“iniziativa/abbandono”, individuali/sociali: reali. Potere archetipico e sociopolitico profondamente condizionante – nella sua gravida e risonante realtà, legata all’astrazione – e che riassume, risolve/deforma, e incanala i bisogni, nei propri bisogni di Condizionamento di Potere. Beatrice (“sento lo suo nome spesso del mio pensiero”) è nominata ormai palesemente: in questi sensi: ha stabilizzato la precedente semantica. Il cerchio si è chiuso; l’ascesa iniziale si è rin-saldata a quella definitiva e potranno seguire tappe sempre più eccelse: la “parabola” della VN è completa e svelata». [LMP p. 72-73, p. 74-75]

Se La vita nuova è per Patella autoproiezione onirica di Dante, si può leggere, in una circolarità perfetta e senza forzare, DAN! come autoproiezione poetica di Patella. Dopotutto, la figura circolare o speculare torna frequentemente nell’opera visiva dell’artista, una figura che lascia intendere il desiderio di allestire un discorso che trova proprio nella circolarità il suo movimento essenziale.

Patella è consapevole che l’attività di un artista non può essere ridotta a una competenza esclusivamente tecnica o estetica e ha più volte sottolineato il suo peculiare approccio concettuale alla creazione artistica. Così, in modo speculare, la rivendicazione di Dante del proprio ruolo di intellettuale, di pensatore, di filosofo, oltre che di poeta, anzi, in quanto poeta, è un altro dei temi che Patella rintraccia ne La vita nuova. In qualche passo del libro ci si sente autorizzati a sovrapporre la figura di Dante come poeta-filosofo a quella di Patella artista che pensa attraverso l’arte: «leggiamo quindi il coraggio della consapevolezza culturale, nonché la rivendicazione dell’assunzione di responsabilità, da parte di chi fa cultura, e media e integra – oltretutto – poesia e prosa, poesia e critica, letteratura e filosofia (sin dove questo possa risultare abnorme, nella cultura dell’epoca)». [LMP p. 67]

Come per le tutte le altre tecniche artistiche utilizzate nel corso della lunga, eclettica attività – fotografia o incisione, video o installazione – la scrittura per Patella non è un semplice medium, la parola è essa stessa costantemente sottoposta a un processo di ricreazione artistica, poetica: disgiunzioni, crasi, assonanze, lapsus, giochi. Patella sonda anche i limiti tipografici della pagina utilizzando tutte, proprio tutte, le possibilità grafiche disponibili nella cassetta del compositore rendendo la lettura poco scorrevole, a volte addirittura impervia e straordinariamente sfidante. Aspetto interessante, Patella chiede moltissimo al proprio lettore, in termini di attenzione e di adesione, ma non è la dimostrazione un po’ altezzosa di una conoscenza esoterica, è invece l’energia capace di suscitare un certo appetito di comprensione (quell’appetito di cui dice DUCH).

Se i termini che si utilizzano maggiormente quando si parla dell’opera visiva di Patella sono interdisciplinare, sperimentazione, transmedialità risulta chiaro che un approccio all’ibridazione e alla torsione e, perché no, alla complicazione, si ritrova anche sulla pagina, ed è lo stesso approccio che il lettore deve adottare, costretto a farsi transmediale e sperimentatore come Patella – a chi scrive è stato insegnato che il modo più veloce per ridurre la complessità di un testo e così comprenderlo è quello di leggerlo ad alta voce; ecco, la lettura ad alta voce è impossibile con DAN!: non è un testo che si può addomesticare, non puoi appropriartene semplicemente dicendolo. Patella costringe il lettore ad uscire da sé – per esagerare, si potrebbe dire che lo costringe a lasciare ogni certezza per entrare nel labirinto che ha allestito.

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