Speciale

Dizionario Levi / Ecologia

13 Luglio 2019

Il testimone, il chimico, lo scrittore, il narratore fantastico, l'etologo, l'antropologo, l'alpinista, il linguista, l'enigmista, e altro ancora. Primo Levi è un autore poliedrico la cui conoscenza è una scoperta continua. Nel centenario della sua nascita (31 luglio 1919) abbiamo pensato di costruire un Dizionario Levi con l'apporto dei nostri collaboratori per approfondire in una serie di brevi voci molti degli aspetti di questo fondamentale autore la cui opera è ancora da scoprire.

 

Negli scritti di Levi il tema ecologico assume due diverse declinazioni. La prima riguarda le vere e proprie preoccupazioni ambientali. Levi, che negli anni Settanta aveva concepito ma non concluso un libro ecologico, Il doppio legame, apprezzava la sensibilità maturata nelle nuove generazioni: «c’è la consapevolezza che stiamo sfruttando all’eccesso, in modo irreversibile, le risorse del pianeta. Tutto questo è nuovo, non c’era trent’anni fa…» (così in un’intervista del 1986 per il TG2, a cura di Ennio Mastrostefano). Del resto, il tema era già emerso nel secondo libro di racconti, Vizio di forma (1971), in cui lo scrittore aveva dato corpo all’immaginario ecologico e al sentimento apocalittico diffusi nella stagione della guerra fredda. 

 

Copertina Vizio di forma.


Ma Levi non si considerava «un ecologo puritano», come dichiarò in una conversazione del 1981 con Paola Valabrega; «mi trovo molto bene nella natura […] però non soffro a stare in città, sono un animale urbano, un animale ormai addomesticato». Più che la natura ideale, per Levi conta la relazione tra individui o gruppi che abitano il medesimo ecosistema, in libertà e soprattutto in costrizione. 

Se i valori ambientali appartengono alla dimensione ufficiale e ‘diurna’ dello scrittore, questa seconda declinazione del tema ecologico, più sociale e storica, ha una connotazione ‘notturna’, che si rintraccia negli scritti di testimonianza e nelle allegorie indeterminabili di certi racconti fantastici o fantabiologici. A Levi interessava la relazione tra storia e natura, tra umano e animale, indagata a partire da quell’«amore non corrisposto per la biologia e la zoologia» confessato in un altro passaggio cruciale dell’intervista di Valabrega. Il mondo animale assume una funzione conoscitiva, utile cioè a comprendere ed esprimere «quanto c’è di animale in noi» e «quanto c’era di animale nei nazisti»:

 

io ho un amore non corrisposto per la biologia e la zoologia; son stato chimico, ma ho sempre letto libri di divulgazione sugli animali. Ma c’è un perché in queste cose, è decifrabile?

So di aver spesso usato gli animali come termini di riferimento, cioè nel descrivere un personaggio di paragonarlo ad uno o più animali […].

Ho letto i libri di Lorenz e li trovo molto notevoli sotto questo aspetto e anche molti altri. È un interesse che ho per un problema così rilevante: per quanto c’è di animale in noi, quanto c’era di animale nei nazisti. 

 

Anche in assenza di un diretto richiamo tematico, la radice storica della riflessione leviana emerge spesso per mezzo dello stile e della retorica (per esempio attraverso le forme della reticenza, che lasciano entrare l’innominabile nel vuoto del non detto). In questo modo, l’ombra di Auschwitz diventa materia inespressa di quell’ecologia che ho definito ‘notturna’. Lo si vede nella prosa Gli scarabei, inserita nell’Altrui mestiere (1985). 

 

Copertina L’altrui mestiere.


Nel descrivere la straordinaria varietà dei coleotteri, Levi ne sottolinea la capacità di conquistare ogni «nicchia ecologica», ma non vuole dare un resoconto scientifico, né limitarsi a scrivere una pagina di entomologia per dilettanti. L’impiego di un lessico analogico determina il passaggio dal piano denotativo a quello connotativo, rivelando la funzione esemplare che Levi attribuisce all’insetto: «La somiglianza fra uno scarabeo che avanza scartando l’erba, lento e possente, e un carro armato, è tale da far subito sorgere in mente una metafora nei due sensi: l’insetto è un piccolo panzer, il panzer è un enorme insetto»; «Ma mi pare che predomini su tutte la sensazione dell’estraneità: queste piccole fortezze volanti, queste macchinette portentose i cui istinti sono programmati da cento milioni di anni, non hanno nulla a che vedere con noi, rappresentano una soluzione totalmente diversa del problema del sopravvivere»; «Hanno elaborato una corazza di straordinaria resistenza agli urti, alla compressione, agli agenti chimici, alle radiazioni. Alcuni fra loro scavano nel suolo, rifugi profondi metri. Nel caso di una catastrofe nucleare, sarebbero i migliori candidati alla nostra successione (non gli stercorari, per mancanza di materia prima)». «Panzer», «fortezze volanti», «radiazioni», «catastrofe nucleare»: l’immaginario evocato da queste metafore richiama inevitabilmente la Seconda guerra mondiale e i timori apocalittici della guerra fredda (cui già alludevano i racconti di Vizio di forma), a ulteriore, indiretta conferma del nesso tra lo sguardo ecologico e l’esperienza storica nell’opera di Levi. 

 

Il valore allegorico degli scarabei non si esaurisce però solo sul piano delle metafore. Quegli insetti rappresenterebbero infatti una forma di alterità assoluta: «Sono loro i diversi, gli alieni, i mostri». Se a risaltare è la distanza tra uomo e scarabeo, comune alle due specie è però la necessità di adottare – come scrive Levi – una soluzione «al problema del sopravvivere». È di fronte alla morte e al disastro che la riflessione ecologica trova il suo telos; il banco di prova su cui il confronto si compie è, come abbiamo letto, niente meno che la catastrofe nucleare. A quel punto, i coleotteri potrebbero rimpiazzarci, occupare anche la nostra nicchia ecologica; ma Levi non si rassegna a un relativismo radicale come quello che caratterizza le posizioni antropofobiche dell’ecologia profonda. La ragione umana conserva un valore e i suoi traguardi, quand’anche fossero travolti dal disastro, resterebbero il fine cui tendere per elevarsi al di sopra della brutalità: «dovranno ancora passare molti milioni di anni prima che un beetle particolarmente amato da Dio, al termine dei suoi calcoli, trovi scritto sul foglio, in lettere di fuoco, che l’energia è pari alla massa moltiplicata per il quadrato della velocità della luce. I nuovi re del mondo vivranno tranquilli a lungo, limitandosi a divorarsi e a parassitarsi fra loro su scala artigianale». 

È confortante pensare che nell’ecosistema occupato dalla nostra specie, oltre a Hitler, abbia trovato posto anche Albert Einstein; ma è inquietante pensare che, allo stato di natura, il dominio di una specie assomigli più allo sterminio provocato dal primo che non al trionfo della ragione ottenuto dal secondo. 

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