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"Fiume o morte!" Come ti smaschero la memoria

14 Agosto 2025

Memorie dell’ornitorinco

Rijeka, alias Fiume, oggi terza città della Croazia, ha cancellato ogni traccia visibile del dominio fascista (1924-1945) seguito all’annessione jugoslava postbellica. Allo stesso modo, non conserva alcuna memoria dell’occupazione guidata da Gabriele D’Annunzio tra il settembre 1919 e il gennaio 1921. Eppure, sotto la superficie della città, restano ferite mai del tutto rimarginate, memorie frammentarie e contraddittorie, ricordi che continuano a generare attrito.

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È da questo archivio immateriale che prende forma Fiume o morte! (2025), documentario coprodotto tra Italia, Croazia e Slovenia, diretto da Igor Bezinović. L’intento è quello di ricomporre i frammenti dispersi per raccontare – con rigore, ironia e spirito critico – velleità, farsa e brutalità di una pagina di storia perlopiù rimossa. Nonostante il titolo tonitruante, non siamo di fronte a una celebrazione. Il motto degli arditi fiumani viene subito sdrammatizzato dal manifesto ufficiale del film: in primo piano compare un giovane attore nei panni di un legionario – elmetto Adrian e pugnale tra i denti – ma il volto è tutto scarabocchiato, come se una mano infantile ne sabotasse la retorica con un gesto di ludica irriverenza. Il documentario non si lascia incasellare nemmeno come una denuncia: è piuttosto un corpo filmico collettivo che unisce sguardo critico e intelligenza narrativa. Bezinović, classe 1983, torna nella sua città natale per riaprire un capitolo rimosso e riscoprire i sedici mesi in cui D’Annunzio trasformò Fiume in un laboratorio di potere e simboli, un esperimento politico tanto surreale quanto anticipatore. Il risultato è un racconto stratificato e performativo, dove passato e presente si riflettono l’uno nell’altro senza mai sovrapporsi del tutto.

Presentato in anteprima lo scorso febbraio al Festival di Rotterdam, dove ha vinto il Tiger Award e, contestualmente, il premio FIPRESCI, Fiume o morte! si impone come una delle opere più significative della recente produzione documentaristica europea. Perché è alla memoria del Vecchio continente, inteso nella sua totalità, che il film si rivolge. Ma offre spazio anche a un ricordo più bizzarro e laterale: quello di un ornitorinco impagliato, diventato – suo malgrado – simbolo totemico di un locale fiumano, epicentro delle crapule legionarie. Come a ribadire che la Storia, persino nei suoi recessi più tragici, non rinuncia mai a una vena di grottesco.

Fiume ululì, D’Annunzio alalà

Settembre 1919. Gabriele D’Annunzio, poeta di fama internazionale e protagonista della Grande guerra, dopo qualche dubbio prende la guida di un gruppo di reduci e occupa Fiume, con l’obiettivo di sottrarla al controllo jugoslavo e unirla all’Italia. L’azione, inizialmente pensata come un gesto dimostrativo, si trasforma in una lunga esperienza di autogoverno. Sedici mesi di proclami e repressioni, utopie, militarismo e tanto ozio, che sfumano spesso nell’assurdo. Centosei anni dopo, Bezinović dà vita a un racconto polifonico e poliglotta (vi si parlano croato, italiano e dialetto fiuman): coinvolge gli abitanti della città, li invita a reinterpretarne le vicende su base documentale, mescola testimonianze e ricostruzioni, materiali d’archivio e performance in costume. La città diventa palcoscenico, la storia si fa carne viva. Tra canzoni d’epoca e cori di adolescenti, tra piazze mute e parole gridate, Fiume o morte! fa emergere le contraddizioni del passato e le inquietudini del presente, dando forma a una memoria resistente, mai retorica né conformista.

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Il progetto del documentario prende vita perché un giorno Bezinović capisce di essere cresciuto in una Rijeka permeata da un clima di rimozione. Ad esempio, a scuola nessuno gli parla di D’Annunzio. È attraverso la lettura del saggio T.A.Z. Zone temporaneamente autonome (1991) di Hakim Bey (al secolo Peter Lamborn Wilson), che scopre l’episodio dell’occupazione fiumana, descritto come una “utopia pirata”. La curiosità si trasforma in domanda insidiosa: ma perché in Italia si esalta l’estetismo politico del cosiddetto “vate”, mentre in Croazia si evita persino di nominarlo? Dopo gli studi in filosofia e regia a Zagabria, Bezinović si dedica al documentario, sviluppando una scrittura che unisce partecipazione collettiva e osservazione critica. In particolare, con Fiume o morte! intraprende un progetto ambizioso, basato su una ricerca decennale, che inizia a prendere forma durante la pandemia e coinvolge decine di cittadini, chiamati non a recitare, ma a riscrivere insieme. È una “battaglia per il racconto”, dice non senza ironia il regista in un’intervista concessa all’International Documentary Association.

Il suo documentario, costruito a partire da un ricco intreccio di materiali filmici e fotografici d’epoca, selezionati con cura e montati con rispettosa perizia, è ben consapevole di mettere in discussione alcune letture superficiali sulla vicenda fiumana, inclini a sottovalutare gli effetti tragici dell’occupazione dannunziana. Letture coltivate dalla memorialistica di ambito italiano, legate soprattutto (ma non soltanto, come vedremo) agli ambienti della destra politica, e divenute col tempo dominanti in ambito storiografico, talvolta anche con il filtro di autorevoli istituzioni culturali, come la Fondazione Vittoriale degli Italiani.

Damnatio memoriae vs. mito fiumano

Bezinović muove dunque dalla constatazione che a Rijeka il nome di D’Annunzio è assente: niente lapidi, nessuna intitolazione, né commemorazione. L’occupazione fiumana è stata rimossa dal discorso pubblico, prima jugoslavo e poi croato, relegata a un passato non condivisibile. Il documentario restituisce voce a tale assenza, coinvolgendo i fiumani di oggi in un processo di ricostruzione storica partecipata. Le loro parole, i loro silenzi, la loro insipienza o conoscenza, le loro reazioni mostrano quanto la memoria possa essere motivo di confronto, non solo tra diverse rivendicazioni territoriali, magari su base nazionalistica o linguistico-culturale, ma all’interno di una stessa città pacificata. Perciò la voce narrante – che continua a mutare – rifugge dall’imporre (pre)giudizi, facendo emergere il dato che Fiume è una città che dimentica, ma non dimentica per caso. Il silenzio è, quindi, una scelta e ha ragioni profonde.

D’altro canto, in Italia, invece, il ricordo dell’impresa fiumana è reso ambiguo da renitenze di natura politica che Fiume o morte! espone senza filtro evidenziandone i fatti più controversi. Ad esempio, Giovinezza, inno goliardico primonovecentesco, prima di essere trasformato in canto fascista, risuona a Fiume; il cosiddetto “saluto romano”, mai davvero romano, appare durante una parata del settembre 1919; il motto “Fiume o morte!” anticipa di tre anni “Roma o morte!”; le esclamazioni rituali “eia eia alalà” e “a noi!” vengono altresì adottate dal fascismo. Tali elementi, trattati con disincanto e rigore, smontano alcune mitizzazioni postfasciste e mostrano come l’avventura di D’Annunzio prefiguri l’estetica del regime mussoliniano che per parte sua ne plagia simboli e rituali.

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Sergio Castellitto è D’Annunzio in Il cattivo poeta.

Il documentario evita di aderire all’ambigua posa storiografica postbellica preoccupata a distinguere il “vate” dal “duce” per salvare il poeta occultando l’avventuriero narcisista, sordo al dolore della città quanto responsabile di giovani vite spezzate in suo nome. Rimanendo in ambito cinematografico, tale mitografia riverbera nell’immagine di un quanto mai profetico D’Annunzio alfiere dell’antinazismo che emerge in Il cattivo poeta (2021, Gianluca Jodice). Senza particolari scrupoli critici, il film mostra Luisa Baccara (Elena Bucci) esprimere lodi rispetto alla vicenda fiumana. All’elogio segue un monologo del poeta (Sergio Castellitto), pronunciato in presenza di reduci fiumani, in cui sostiene che il fascismo che si apparenta con Hitler è la sostanziale distopia dell’esperimento di Fiume.

Non meno ambigua è la breve ma importante digressione fiumana raccontata nella miniserie M – Il figlio del secolo (2025, Joe Wright). Laddove il D’Annunzio di Paolo Pierobon (che, peraltro, aveva già interpretato il “vate” nel 2021 in Qui rido io di Mario Martone, con esiti deformanti perciò satirici, ancor più evidenti nel confronto con l’Eduardo Scarpetta di Toni Servillo) appare ieratico a fronte di un Mussolini (Luca Marinelli) sopraffatto dall’ingeneroso confronto. Il “comandante”, ritratto mentre ostenta serafico autocontrollo pur sotto i bombardamenti del “Natale di sangue” (altro suo copy), è messo specularmente a confronto con la sua guardia del corpo, un giapponese in kimono altrettanto impassibile dinanzi al rischio. Riflesso che rende, se possibile, ancor più ridicolo il pavido Mussolini che su Fiume, invece, traccheggia. In sostanza, tale messa in scena del “vate-eroe” rispetta una dimensione agiografica intonata ai “superuomini” tratteggiati da egli stesso nelle celebri Laudi.

Ma, appunto, qui siamo nel legittimo territorio creativo e sofisticato della fiction.

Il laboratorio del laboratorio

A voler condensare il senso profondo del film, Fiume o morte! riconosce nell’occupazione dannunziana di Fiume il laboratorio ideologico e simbolico da cui avrebbe preso forma un fascismo depurato dalle incertezze sansepolcriste e socialisteggianti. Un luogo di sperimentazione del potere autocratico nel quale il “comandante” censura la stampa, reprime le opposizioni, concede e poi – pentito – rinnega le elezioni, creando attorno a sé il culto di capo carismatico che diventerà cifra del ventennio a venire.

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La ricostruzione di Bezinović racconta tali e comprovati fatti con lucidità, lasciando parlare i documenti cartacei, cinematografici e fotografici. Ma lo fa anche con intelligente leggerezza, inserendo nel documentario la metafora-chiave del Carnevale. È la festa più importante della città, ciononostante viene vietata da un guardingo D’Annunzio in fase paranoide in nome di presunte necessità di ordine pubblico. Ecco che la sfilata festosa viene sostituita dalle parate in divisa altrettanto carnevalesche, grottesche, intrise di retorica e rituali che anticipano nella forma e nella sostanza il concetto di totalitarismo.

Il film si fa così strumento di critica, ma anche di rilettura rigorosa del passato. Non è una tradizionale lezione di storia, ma – rimanendo nella metafora – è pratica di smascheramento. Nel 2019, a Trieste si inaugura una statua al “vate” per commemorare l’impresa di un secolo prima. D’Annunzio è ritratto in lettura: una raffigurazione assai lontana dalle trucidità dell’estetica legionaria, di nuovo affine alla visione digeribile del poeta. Al contempo, poco lontano, a Rijeka il suo nome resta sepolto tra le pieghe del Novecento. Lo scarto tra glorificazione e rimozione è il cuore pulsante di Fiume o morte!, che restituisce complessità alle diverse rappresentazioni. Il film evidenzia una volta di più che, se il fascismo ha rappresentato un modello per i più tragici totalitarismi novecenteschi, il laboratorio del laboratorio va cercato proprio nella Fiume occupata da D’Annunzio e dai suoi legionari.

In sostanza Bezinović non cerca riconciliazioni, ma anzi interroga le lacerazioni superstiti. Con intelligenza visiva e partecipazione attiva, costruisce un documentario che attraversa le epoche e ci invita a leggere il passato non come un capitolo chiuso, ma come un campo di tensioni ancora operanti nel presente.

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