Una mostra al Macro di Roma / egosuperegoalterego

24 Marzo 2016

Qualche mese prima dell'inaugurazione della mostra egosuperegoalterego il Macro, il museo che la ospita fino all'8 maggio 2016, promosse la campagna #macroego, invitando il pubblico a inviare i propri autoscatti per vederli esposti assieme alle altre opere. Le prime cento immagini avrebbero formato la copertina del catalogo della mostra, una raccolta di interventi critici dedicati allo sguardo degli artisti sull'identità propria e altrui. Il dato surreale è che quest'immagine nata per celebrare il tema della visione autoriflessa risulta nei fatti anonima: lo sguardo non riesce a concentrarsi su un volto né a trattenere più di una rapida impressione, rimbalza da una faccia all'altra cogliendo solo i lineamenti umani più riconoscibili – occhi, naso, bocca – senza comprendere molto altro.  Nella mostra un'installazione di Mariana Ferratto, Allo specchio, riproduce l'osservarsi come dialogo privato in cui subentra sempre la visione di qualcun altro. Le donne che sembrano specchiarsi rivelano quella sottile mimica che nasconde la ricerca di una conferma: la garanzia che ciò che vediamo sia aderente a un'immagine inconsciamente interiorizzata che soddisfa i canoni estetici pretesi dalla realtà in cui dobbiamo esporci. Lo specchio di Mariana Ferratto è però duplice, poiché l'illusoria superficie che rimanda alle donne il loro riflesso è lì invece per mostrarlo agli spettatori.

Urs Lüthi, Just Another Story About Leaving, 1974

Urs Lüthi, Just Another Story About Leaving, 1974

Mentre agiscono per guardarsi, esse sono guardate, con un effetto di intrusione in un'esperienza privata che sintetizza la presenza costante di uno sguardo altrui all'interno della consapevolezza della propria identità. La pratica del selfie ha rafforzato questo effetto attraverso il generale consolidamento dell'abitudine a guardarsi tramite la macchina fotografica per essere guardati, poiché questo significa la maggior parte delle volte prepararsi a offrire un'immagine di noi piacevole e rassicurante, nonché confermare la nostra presenza nella realtà. Si tratta di una naturale ricerca del riconoscimento da parte del mondo in cui viviamo, ma nella sua aderenza frequente a termini prestabiliti spesso nulla aggiunge al discorso sull'autoritratto, se non la sensazione di quella che possiamo alternativamente definire una potente volontà di partecipazione sociale o il sintomo di un'insicurezza globale.  Gli artisti esposti nell'allestimento mostrano al contrario di preferire la problematicità che può emergere da una rappresentazione non lineare dell'Io. Meglio complicare, frammentare, reinterpretare l'identità come un luogo di molteplici istanze, soprattutto venir meno alle aspettative visive di chi guarda e porre invece nuove ipotesi sul senso di essere qualcuno. Giosetta Fioroni si pone davanti al mirino di Marco Delogu come un muro (o è il muro a prender vita?) in L'altra ego, mentre Luigi Ontani tramite una stampa fotografica lenticolare, che è anche quella delle figurine tridimensionali che si trovano nelle merendine da bambini, duplica in Mascherata mirata l'immagine di sé in due differenti movimenti. Lo sguardo problematico dell'arte si accentua quando affronta personaggi che sono già icone, immagini culturali sedimentate nella società: così due protagonisti della scena intellettuale italiana come Alberto Moravia e Achille Bonito Oliva, che richiamano alla mente ritratti lineari e rigorosi, sono rappresentati in modi di volta in due trittici di opere, quelle di Mario Schifano, Carlo Levi e Renato Guttuso per lo scrittore e sempre Schifano, Sandro Chia e Francesco Clemente per il critico d'arte. Si comprende allora che gli esseri umani non sono solo subordinati a un punto di vista dominante, ma mantengono in sé uno spazio in cui esprimere visioni puramente personali. 

Una differente maniera di contribuire al discorso è quella di eliminare del tutto la componente identitaria dalla riflessione sull'apparenza umana, o riscriverla proiettandola entro un senso biologico: lo sguardo sulla sostanza fisica si fa così formale, analitico, poiché la materia carnale non differisce molto per la sua struttura esterna e interna da altre strutture organiche. La saliva che lentamente esce dalla bocca per riversarsi nelle mani in Waterways: 4 Saliva Studies di Vito Acconci costituisce una parte concreta di quel che siamo in egual misura del nostro viso, poggiando accanto all'Io psichico un'identità animale. Se possiamo considerare l'esistenza nella mente di un giudice severo che tenta un'aderenza fra un'immagine preesistente nel cervello e l'immagine che la macchina fotografica produce, allora l'arte può agire da perturbatrice dei modelli convenzionali, decostruendo gli esempi noti o sostituendoli con interpretazioni inedite dell'essere umano. Infinite possibilità sono nascoste nella fotografia, e infiniti modi di essere – una personalità, un volto, un corpo, un ruolo sociale – costituiscono la nostra identità: nel momento in cui il ritratto si emancipa dalla pedissequa soddisfazione di un modello conosciuto, un'insospettabile ricchezza visiva, che non è più quella della quantità bulimica di scatti sempre uguali, si apre davanti a noi.

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