Il futuro che non possono rubarci

12 Agosto 2022

Quando il rumore è tanto, nella simulazione mentale dell’informazione, occorre ritrarsi, tacere, elevarsi nel senso prospettico. Un drone, che si solleva con il suo ronzio operoso, come un’ape, e sale oltre la polvere prodotta da giornali, televisioni, web e social network, intenzionalmente per come intendono convogliarla centri di potere e di sudditanza giornalistica; preterintenzionale per come la solleviamo noi con miliardi di messaggi che emettiamo dai nostri piccoli podi sui social network. Poiché il pensiero si produce con parole e costrutti, architetture del dire e quindi del comunicare, dalla prospettiva verticale si possono percepire le dimensioni: due, tre, quattro, ordinarie e parallele. Si individuano radici, rami, foglie, boschi, foreste.

Se estraggo la radice UM- in molte lingue europee individuo ciò che più ci sta mancando, l’UMano che concerne l’essere uomo, homo. UManità che è l’insieme degli uomini e delle loro facoltà materiali e spirituali. UManesimo, che è ampliare lo specifico umano con lo studio e la cultura e le arti.

UMiltà invece viene dalla botanica, da HUMus: la materia organica che in una fase del suo ciclo disgrega legno e foglie, microorganismi e macrorganismi in base fertile per nuova vita botanica e animale. Prima di ripensare la politica (“come organizzarci nelle nostre polis”, nel nostro aggregarci per convivere), o ripensandola, non possiamo non ripartire dal lavoro individuale su questi UM: lavoro che è – nelle leggi di Natura – accettare di essere UMilmente un granello della Trasformazione che ha la entusiasmante facoltà di una trasformazione interiore, innanzitutto, UMile perché sa che si aggregherà non per affinità piacevole e deliberata (EGOista), ma per attrazione di simili, dopo, non per caso (il Caso non esiste), ma per necessità naturale, ovvero cosmica.

Lo spavento globale della pandemia e l’immediatamente successivo ritorno dello spavento di guerra in Europa ci hanno paralizzato in emozioni primitive: paura della malattia, paura della miseria, paura di morire. La paura paralizza la facoltà di pensiero. E ha l’effetto immediato di cancellare la disponibilità a predisporsi a un futuro; la prospettiva temporale si schiaccia su passato e presente: “Ecco, l’orrore che è accaduto sta per riaccadere”. Nella psicologia dell’informazione, catastrofe, dramma, tragedia catalizzano l’attenzione e paralizzano nella ricezione passiva, inerte, innescano una attonita dipendenza. Gli occhi sbarrati, gli arti fermi. “A che serve FARE qualcosa?”

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Non solo pensiamo poco a “che ne sarà dei miei figli” (protesi del nostro EGO), ma stentiamo a pensare a “che ne sarà del pianeta Terra?”, “che ne sarà dell’UManità?” “che ne sarà degli altri e di noi?”. Cercate di ricordare: prima del Covid-19 la consapevolezza globale sul rischio di estinzione dell’umanità per devastazione della Terra, spinta dal greed, dalla feroce, violenta pulsione avida di sfruttamento (e arricchimento di élite) delle energie non rinnovabili stava barcollando sulla spinta carismatica della Giovanna d’Arco svedese Greta Thunberg, che era ormai inevitabile ascoltare ai globali consessi: “non c’è più tempo, basta con i vostri bla bla, o ci estingueremo”.

Il Black Lives Matter stava risollevando il velo dalle storiche ipocrisie sanguinarie del capitalismo imperialista: non possiamo diventare umani con razzismo, ingiustizia e sfruttamento. Da tre anni almeno invece tutto è stato disinnescato e imbavagliato. Riaccendiamo il carbone, addirittura. Per paura e perché “non c’è alternativa ora”. Fine del futuro e del progresso per lUManità.

Ma c’è chi non ha smesso di pensare. Gallimard ha aperto una collana di pamphlets, TRACTS. Ha ospitato tanti bozzetti di futuro proprio negli anni in cui il futuro è stato cancellato. Libriccini in carta “effimera” e grammata, in formati non-libro e non-giornale. Ci hanno scritto Régis Debray ed Erri De Luca, Arundhaty Roy e Alessandro Baricco, Olivier Assayas e Cynthya Fleury più volte. Filosofa, psicanalista, professoressa alla cattedra “Humanités et Santé” del Conservatoire National des Arts et Métiers, titolare della cattedra di “Filosofia all’Ospedale” alla GHU Paris Psychiatrie et Neurosciences, Cynthya Fleury sta scrivendo da anni libri come La fine del coraggio, Metafisica dell’immaginazione, Le patologie della democrazia, Elogio della fragilità, Guarire dal risentimento, Il prezzo del dolore: l’infortunio come cura di sé, La cura è un umanesimo.

Fleury è uno di quei droni che si sollevano e osservano e pensano e dicono; manda giù report. Ma è anche giù, in mezzo alla sofferenza mentale nella sua attività clinica. Ed è attivissima in reti di innovazione sociale che in Francia stanno pensando al futuro. Loro sì. Nella collana TRACTS Gallimard Fleury ha pubblicato con il designer sociale Antoine Fenoglio nel maggio di quest’anno una “carta del Verstohlen”, ovvero, politicamente e filosoficamente, un “manifesto della Furtività”, intitolato Ce qui ne peut être volé, ciò che non può essere rubato. I giovani Karl Marx e Friedrich Engels negli anni Quaranta dell’Ottocento avevano capito che per affermare la giustizia sociale e una umanità eguale non bastavano più le belle parole di stimabilissimi socialisti come Proudhon; il problema è la proprietà privata, quello che accumuli sfruttando il lavoro tuo o il lavoro dei poveri, quello che ricoveri nelle banche, quello che lasci in eredità ai tuoi figli, generando nuove dinastie di ben nati; in uno dei dieci punti del Manifesto del Partito Comunista, il manuale per i lavoratori della Lega degli Uguali da loro due trasformata in Lega dei Comunisti, uno dei punti era proprio «l’abolizione della successione ereditaria»; un capolavoro! Se ogni essere umano nascesse implume, povero, sarebbe costretto ad essere socievole, solidale, e avrebbe bisogno di una rete di solidarietà, di comunanza, (lasciamo pure perdere il comunismo), dovrebbe vivere in comunità sodali e giuste!

Fleury e Fenoglio concedono poco a riferimenti storici, istituzionali e visivi per le loro idee: ONU-Unesco, NASA (il loro processo di verifica sperimentale proof of concept), Paul Celan, Simone Weil, le utopie del design nei fotomontaggi/collage di Fernand Léger e Charlotte Perriand (Joies traditionnelles, plaisirs nuoveaux 1937)… Vorrei tradurvelo integralmente, perché nella sua brevità ha densità di idee e di proposte praticabili, e i suoi dieci punti (non a caso dieci come i punti del Manifesto del Partito Comunista di Marx ed Engels) crescono con una trattazione coerente e persuasiva. Traduco l’incipit:

 

Nominare l’inappropriabile, il bene comune, universale, bene pubblico mondiale, felicità interna lorda, capacità di capacità, bene vitale, bisogno essenziale, obbiettivo di sviluppo durevole. Denominatelo come volete, ma non negoziate più per approvare la sua perdita o il suo furto. Questo testo ha la vocazione di ispirare tutti quelli che hanno bisogno di riarmare il loro desiderio, di appoggiarsi a compagnie (fellows) già costituite, di condividere dei metodi di concezione e di distribuzione e di indagare insieme i cammini della “buona vita”. Siamo uomini il cui umanesimo è fragile, dipendente dalla dimensione forica degli ambienti naturali, socio-storici, economici, culturali e politici.  Ognuno di noi fissi nel dettaglio della sua vita una maniera di legarsi a dei collettivi più regolatori, assumendo un principio di individuazione degno di questo nome, test di credibilità della qualità dello Stato sociale di diritto nel quale vive.

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Come si intitolano i dieci punti del manifesto? 1. La prospettiva, accedere a una visione 2. Le quattro funzioni del silenzio 3. La prova del prendersi cura e la generatività del vulnerabile 4. Il clima del prendersi cura, o il salto di scala 5. Occuparsi dei morti 6. La “vita furtivae” (doppio Damasio I) 7. “Vis medicatrix naturae”, omeostasi (doppio Damasio II) 8. Indagare. Le umanità democratiche 9. La consociazione. Fare istituzione 10. L’affresco. Dimorare e divenire. Il progetto c’è: occorre ripartire da una percezione di noi stessi come individui fragili capaci di solidarizzare con le fragilità degli altri: fragilità psichica, fragilità economica, fragilità di prospettiva; ripartire da una proliferazione di reti che si occupino anche di nuove aree urbane dove ristrutturare e ricostruire a partire non da un progetto urbanistico e architettonico deciso da una proprietà potente che mette-sul-mercato per chi-può-comprare, ma da comunità che insieme si interrogano su dove e come abitare e vivere ponendo alla radice l’UM- la determinazione a una felicità che non può essere individualista a scapito della infelicità altrui, che sia condivisibile e condivisa.

Cosa è importante? Avere beni e proprietà che ci possono tassare o rubare? Accumulare? Tramandare il nostro a figli che di generazione in generazione non dovranno più affrontare il bisogno e la debolezza onde poter sfruttare e abusare di chi è nato povero? I due Damasio dei capitoli centrali sono lo scrittore Alain Damasio, che nel suo romanzo fantascientifico e fantapolitico Les Furtifs (La Voite 2019), una specie di Blade Runner della resistenza elusiva, vede una nuova generazione mutata geneticamente di esseri capaci di percepire tutto l’ambiente fisico e mentale al punto di scomparire, di non essere rilevati, per garantirsi incolumità e libertà dai sistemi del “reale” e del potere.

E Antonio Damasio (tradotto in Italia da Adelphi) che «ha ripreso il concetto di omeostasi, che collega l’insieme del vivente, e che ci permette di ricercare processi di regolazione al di fuori di sistemi “chiusi”, relativamente dogmatici, spesso falsi perché incompleti ma soprattutto mancanti di quella visione complessa della “coerenza” – raramente consensuale, ma sempre in tensione, in equilibrio». Che fare? si chiedeva Lenin per mettere in pratica il Manifesto del Partito Comunista di Marx-Engels. Fleury e Fenoglio nelle conclusioni provano a suggerire: 

La filosofia del prendersi cura (care) è indissolubilmente una teoria morale e una teoria politica. Si può definire come una fenomenologia specifica della politica, nel senso che svela ciò che la società tende a non far vedere, rende visibili le invisibilità politiche, ovvero tutti quelli che i sistemi socioeconomici, politici e culturali hanno reso “invisibili”, più vulnerabili di quanto non siano potenzialmente, per sconfessione della loro singolarità, svalorizzazione e stigmatizzazione della loro dipendenza… Questo legame tra il prendersi cura e l’innovazione è una chiave essenziale per rinnovare i nostri futuri.

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TAGGED: Cynthia Fleury