Haris Epaminonda: un libro come esperimento

20 Ottobre 2014

Chapters I-XXX di Haris Epaminonda, artista cipriota già assurta alle glorie internazionali di grandi manifestazioni come Documenta e Biennali varie, in Italia recentemente vista alla Fondazione Querini Stampalia di Venezia e alla galleria Minini di Brescia, si presenta come un elegante cofanetto di color azzurro (azzurro Spalletti, mi verrebbe da dire, anche per la qualità tattile delle superfici), con tutte le informazioni riportate in un lungo colophon sul retro della scatola e un breve testo direttamente sulla copertina. Tutta la parte testuale fuori, dunque, mentre all’interno troveremo solo immagini e didascalie.

 

Il testo dice: “Ripercorrendo alcune delle nozioni e degli spunti narrativi incastonati in Chapters, un film a 16 mm girato a Cipro nel 2012, nacque l’idea di fare un libro come esperienza, o meglio come esperimento, per decostruire il film in alcuni dei suoi argomenti. Imbarcandosi in un nuovo insieme di associazioni tra immagine e soggetto, fonte e informazione, significato e astrazione, questo libro è sia un documento che una mappa della memoria, tracciando gli inizi di un pensiero, un tempo, un’immagine, un luogo”. Bella presentazione non firmata ma attribuibile senz’altro all’artista.

 

Chapters I-XXX, Haris Epaminonda

 

Apriamo dunque il cofanetto ed entriamo nel “libro” con questa idea che si tratta di materiale che viene al tempo stesso prima, durante e dopo il film di cui è questione, perché vi troveremo delle immagini tratte dal film stesso, ma anche altre che lo “decostruiscono”, costituendone sia degli spunti di partenza sia delle associazioni ulteriori. Documento, fonte, memoria sono rigiocati creativamente. La regola è l’associazione. Per noi warburghiani e collezionisti per convinzione – se ci si permette –, è un invito a nozze.

 

All’interno, dunque, due raccolte di immagini. La prima in forma di un fascicolo di quattro sedicesimi, il formato è un paio di centimetri più grande dell’A4, rilegati a vista: di nuovo titolo e didascalia in prima pagina e colophon in ultima; dentro un’immagine per pagina di destra, tutte delle stesse dimensioni, centrate, non grandi, discrete ma decise, affermative; sono still dal film, trenta in tutto. Non se ne ricostruisce un racconto, una trama, ma ci si rende conto della varietà dei materiali che il film deve contenere: paesaggi, animali, oggetti, volti, scene in esterni e performance in interni, per lo più molto statici, d’atmosfera, sospesi, misteriosi.

 

Chapters I-XXX di Haris Epaminonda

 

La seconda raccolta di immagini è costituita invece di fogli numerati con numeri romani, piegati in quattro: sono “tavole”, dal sapore appunto warburghiano ma su fondo bianco, con immagini in bianco e nero di diverso formato sparse sulla superficie interna. Sono trenta come le immagini tratte dal film, ma non vi corrispondono ad una ad una. In alcuni casi il richiamo è lampante – forme, oggetti, gesti, animali, situazioni – ma in genere è sollecitata una “associazione”. Il dispositivo comunque – usiamo di proposito questo termine – prevede certamente di considerare le due raccolte insieme, una per mano, per così dire, o per occhio, sul tavolo di lavoro. Le immagini delle tavole sono di provenienza e carattere disparato, prese da libri – rigorosamente citati –, musei, fonti varie, dalla collezione personale dell’artista, come è dichiarato.

 

Chapters I-XXX di Haris Epaminonda

 

Molto elegante, molto curato come tutte le edizioni Humboldt, questo “libro” – interessante e indicativo che si usi questa denominazione anche per un oggetto del genere – è uno dei begli esempi di come lo spunto warburghiano dell’“atlante” non abbia per niente finito di stimolare nuovi sviluppi e sia invece ancora spunto di reinvenzioni in particolare proprio della forma libro. Soprattutto in ambito artistico, soprattutto quando si ha a che fare con le immagini, ci si rende conto che il pensiero non segue la linea retta della sintassi verbale e si sente il bisogno di restituire quest’altra sua modalità.

 

Chapters I-XXX di Haris Epaminonda

 

Quello che mi pare interessante in questo caso particolare, è che Epaminonda l’ha usato non solo per documentare un processo mentale già svolto, una specie di archivio o di brain storming antecedente o parallelo alla realizzazione del film, ma abbia voluto “tornare” sul film e su quel materiale e processo per proseguirlo dopo, espanderlo, rilanciarlo, rielaborarlo – facendo del libro un’opera che prosegue un’altra opera.

 

Chapters I-XXX di Haris Epaminonda

 

A proposito di quest’artista in ogni presentazione si fa ricorso alla parola “poesia”, spesso in senso lirico e per descrivere l’atmosfera che emana dalla sua opera, ma qui è di “esercizio” o “lavoro poetico” – lavoro nel senso in cui Freud parla di lavoro del sogno – che è proprio il caso di parlare, una pratica non occasionale, preparatoria o espressiva, ma rinnovata su ogni materiale e occasione. Un lavoro d’artista.

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