Il selvaggio dell’Orinoco

26 Aprile 2023

Nel dicembre del 2010 lo studioso di storia contemporanea Sandro Gerbi, dopo 63 anni, torna a Lima, la città in cui era nato nel 1943, durante l’esilio del padre. Ricordo un suo articolo uscito sul Corriere della Sera il 17 gennaio 2011, poco dopo il suo rientro in Italia, in cui raccontava di quando il padre, Antonello Gerbi (Firenze 1904 – Civenna 1976), aveva dovuto abbandonare l’Italia nel 1938 in seguito alle note leggi antiebraiche. Era stata una partenza propiziata dal suo boss alla Banca Commerciale Italiana, Raffaele Mattioli, che aveva mandato il fraterno amico «per alcuni mesi» in Perù, presso un importante istituto controllato (il Banco Italiano-Lima, poi Banco de Crédito del Perù), a scrivere un saggio sulla storia economica del Paese: «Così, Antonello, ci dirai se il Perù vale veramente un Perù!» aveva commentato con bonario sarcasmo. Era rimasto dieci anni nel paese sudamericano insieme alla famiglia; infine, con il ristabilimento della normalità postbellica, era stato richiamato a Milano dallo stesso Mattioli a dirigere, come prima della guerra, l’Ufficio Studi della Banca Commerciale. Le “leggi razziali” avevano costretto alla fuga anche gli altri due fratelli di Antonello, il giornalista sportivo Giuliano e il medico Claudio, recatisi entrambi negli Stati Uniti. All’inizio degli anni ’40 vi erano meno di quattromila italiani in Perù, e l’arrivo in quel paese costituì per Antonello Gerbi una svolta nel percorso della sua ricerca storica, perché da quel momento il suo interesse si concentrerà sulle varie problematiche del Nuovo Mondo.

Prima dell’espatrio Antonello Gerbi aveva dato alle stampe alcuni libri importanti, tra cui La politica del Settecento. Storia di un’idea (Laterza, 1928 – questo testo aveva suscitato l’interesse di Antonio Gramsci il quale, in una lettera del 17 dicembre 1928 alla cognata Tatiana Schucht, dal carcere di San Vittore, aveva chiesto di farselo spedire); La politica del romanticismo. Le origini (Laterza, 1932); e Il peccato di Adamo ed Eva. Storia della ipotesi di Beverland (Soc. Editrice «La Cultura», 1933 – questo testo conoscerà una nuova edizione curata da Sandro Gerbi per i tipi di Adelphi, nel 2011).

Benedetto Croce, in una lettera del 17 dicembre 1938, aveva scritto: “Certifico che conosco di persona, da oltre quindici anni, il dr. Antonello Gerbi, che è uomo di molta e viva cultura ed ottimo scrittore. Ha pubblicato, tra l’altro, due volumi sulla Politica del Settecento e sulla Politica del Romanticismo, dotti e assai acuti nel giudizio, che erano i primi di una vasta storia alla quale egli attendeva della scienza politica nei secoli XVIII e XIX e che è rimasta sospesa a cagione dei doveri di ufficio da lui assunti come funzionario di banca”.

Come dicevamo prima, è stato il soggiorno peruviano a fargli compiere una svolta “dal Vecchio al Nuovo Mondo”. Nonostante le difficoltà di fare ricerca nel Perù di quegli anni (in una lettera del 1945 durante un viaggio a New York scriverà: “è certo sconsigliabile di pubblicare qualunque lavoro scientifico basato solamente sulle risorse bibliografiche locali; ne ho avuto più di una drammatica conferma in queste settimane di lavoro alla N.Y. Public Library, dove in un pomeriggio riesco a combinare più che in 15 giorni a Lima)”, Antonello Gerbi scrive in spagnolo vari testi significativi in cui si concentra sulla problematica “americana”, tra cui El Perú en marcha. Ensayo de geografía económica (Lima, 1941); Viejas polémicas sobre el Nuevo Mundo (Comentarios a una tesis de Hegel) (Lima, 1943); The Japanese in South America. An Introductory Survey with Special Reference to Peru, in collaborazione con J. F. Normano, Institute of Pacific Relations (New York, 1943); Caminos del Perú. Historia y actualidad de las comunicaciones viales (Lima, 1944).

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Ma l’opera destinata a restare un classico del pensiero europeo sul continente americano è stata la La disputa del Nuovo Mondo. Storia di una polemica, 1750-1900, in cui Gerbi analizza le ipotesi sulla presunta inferiorità delle Americhe secondo il punto di vista europeo. “Un libro nato dall’esperienza della persecuzione e dell’esilio,” lo ha definito l’italianista Carlo Dionisotti. L’opera ha visto diverse edizioni, la prima, per Ricciardi, nel 1955, una nuova edizione con lo stesso editore nel 1983, ma curata da Sandro Gerbi, e un reprint di quest’ultima pubblicata da Adelphi nel 2000, con una postfazione di Antonio Melis.

Sandro Gerbi cerca di ricostruire con il suo nuovo lavoro, Il selvaggio dell’Orinoco. Sulle orme del padre, pubblicato quest’anno dall’editore Hoepli, il percorso di questo padre “ingombrante”. Si tratta di un libro personale, corredato di fotografie, che mira a esplorare, attraverso un racconto autobiografico, il pensiero di un padre molto amato che ha cambiato completamente la vita professionale dell’autore passato dalla finanza alla storia. Possiamo dire anche che è un libro che ci porta dentro il mondo intellettuale di uno storico che per anni ha lavorato sulle carte del padre.

La prima parte, intitolata Perù (1938-1948), si apre con una lettera commovente che Antonello Gerbi scrive ai fratelli fuggiti negli Stati Uniti il 20 gennaio 1944, dove racconta gli ultimi giorni del padre Edmo, morto a Lima due giorni prima: anche Papà, a rigore, deve considerarsi una vittima delle persecuzioni nazi. Seguono a questa missiva altri scampoli di sue lettere dal Perù, sempre ai due fratelli. Se questa prima parte è incentrata su Antonello Gerbi, la seconda parte, invece, intitolata Italia (1967-2022), è imperniata, perlopiù, sul rapporto padre-figlio, nel senso che l’autore, Sandro Gerbi, racconta cosa ha fatto in concreto per valorizzare il lascito intellettuale del padre: un lavoro durato 45 anni e non ancora concluso.

In uno dei capitoli, dedicato alla biblioteca paterna, Sandro Gerbi descrive il ricco fondo bibliografico di suo padre, composto da circa 15 mila volumi, nel quale pur non essendo quello di un bibliofilo, ma quello di uno studioso, non mancano testi rari come un esemplare di Vico con correzioni autografe del filosofo. Riguardo al topos della biblioteca come autobiografia personale, l’autore riporta alcuni brani di un testo che Antonello Gerbi scrisse nei primi anni Trenta: “Ma in questi cinquanta metri [lineari] ci sta tutta la strada che ho fatto e tutte le strade che ho voluto fare […]. Le linee parallele degli scaffali mascherano un groviglio di itinerari. La mia biblioteca è la mia autobiografia”.

Sandro Gerbi, dopo anni di giornalismo culturale (La Stampa, Corriere della Sera e Il Sole 24 Ore), si è concentrato sugli studi di storia contemporanea, esordendo nel 1999 con Tempi di malafede. Una storia italiana tra fascismo e dopoguerra. Guido Piovene ed Eugenio Colorni (Einaudi, 1999); ha pubblicato inoltre Raffaele Mattioli e il filosofo domato. Storia di un’amicizia (Einaudi, 2002; Hoepli, 2017); Ebrei riluttanti (Hoepli, 2019); La voce d’oro di Mussolini. Storia di Lisa Sergio la donna che visse tre volte (Neri Pozza, 2021); insieme a Raffaele Liucci ha scritto per Einaudi una biografia di Indro Montanelli in due volumi, ristampata nel 2014 da Hoepli in un solo tomo con il titolo Indro Montanelli. Una biografia (1909-2001). Ha curato varie opere del padre, ripubblicando come si è detto il suo opus magnum (La disputa del Nuovo Mondo), tradotto in varie lingue. All’inizio di un capitolo dedicato all’editing di quest’opera, Sandro Gerbi scrive: “Non credo mio padre avrebbe mai pensato – ma io nemmeno – che sarebbe stato il più piccolo dei «selvaggi dell’Orinoco» [come lo soprannominava uno zio del padre], trent’anni dopo il rientro in Perù, a prendersi cura del suo lascito intellettuale”. Ma è proprio grazie a lui se ancora oggi le opere di Antonello Gerbi continuano a ristamparsi, mentre escono anche nuovi testi, come, per esempio, una raccolta di scritti giovanili sul cinema: Preferisco Charlot. Scritti sul cinema (1926-1933), a cura di Gian Piero Brunetta e Sandro Gerbi (Nino Aragno, 2011), dove si può apprezzare una volta di più l’ironia e l’eleganza della sua prosa.

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TAGGED: Sandro Gerbi