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Scarabocchi / Kafka: una volta, sai, ero un gran disegnatore...

16 Settembre 2021

In una lettera a Felice del febbraio 1913 Kafka si definisce così: “gran disegnatore”, ma questo, si corregge subito, “una volta”; ora, nel momento in cui scrive, non lo è già più, il suo talento è stato irreparabilmente guastato dallo “studio convenzionale”, condotto sotto la tutela di una non meglio identificata “pittrice mediocre”.

E questo suo contemporaneo attribuirsi e negarsi una qualità (nella fattispecie l'abilità nel disegno) è davvero tipico, è davvero (diciamola la parolaccia) “kafkiano”.

(“Ma chi è questo Kafkian?” – ebbe a domandarsi giustamente un comico alcuni anni fa in un film di cui non ricordo più il titolo).

Basterebbe rievocare celebri incipit: “Com'è cambiata la mia vita e come in fondo non è cambiata affatto” (Indagini di un cane). 

Oppure il comandante che, nelle prime righe della Colonia penale, definisce “singolare” (eigentümlich) e “ben nota” (wohlbekannt) la macchina infernale cui spetta di eseguire le sentenze di morte.

 

Max Brod riconosceva invece al suo grande amico una notevole potenza anche come disegnatore. Nella biografia di Franz uscita nel 1937 aveva incluso alcune riproduzioni atte a evidenziare la sua originalità anche in campo grafico.

Alcune di queste sono piuttosto celebri. Ad esempio la serie definita, da Brod stesso, delle “marionette nere”. Anche perché sono state riprodotte svariate volte nelle copertine di vari testi kafkiani. Un caso fra tutti: il Meridiano che raccoglie le cosiddette “Confessioni” e i “Diari” ne dispone, con una certa simmetria, ben sei sulla superficie del cofanetto.

Brod avrebbe voluto pubblicare un intero volume, di questi disegni, che aveva salvato letteralmente dai cestini della carta straccia o ritagliato religiosamente da quaderni e manoscritti e persino dai bordi dei fascicoli di appunti dei corsi universitari, anche di quello consacrato al “Diritto alpino austriaco”.

Per vari motivi la pubblicazione non fu possibile. Anche dopo la morte di Brod vicende, a loro volta a vario titolo assai kafkiane, di eredi infedeli e deliranti impedimenti burocratici, ritardarono la messa a disposizione del pubblico di questo patrimonio grafico che però tra breve, nel 2024, la Biblioteca nazionale di Israele, in occasione del centenario della morte di Franz, intende divulgare tramite un'esposizione finalmente esaustiva.

 

Per il momento possiamo apprezzare una buona scelta del materiale raccolta in un gustoso volumetto appena uscito per i tipi di “La vita felice” a cura di Ginevra Quadrio Curzio, dal titolo Scarabocchi. I disegni di Franz Kafka (con l'avvertenza che il termine tedesco “Gekritzel” era riferito dal suo autore tanto ai testi scritti che ai disegni veri e propri).

Molto giustamente la curatrice ha deciso di non accompagnare i disegni con passi dell'opera edita di Kafka di cui essi potessero fungere da illustrazione diretta o indiretta.

In questo senso va ricordato che Kafka stesso aveva il terrore che un illustratore raffigurasse, magari realisticamente, il misterioso parassita (Ungeziefer) della Metamorfosi. E si raccomandava al suo editore, Wolf, che il disegnatore Starke non si azzardasse a compiere un passo simile. Per carità (lettera del 25 ottobre 1915)!

 

 

Sono stati scelti invece passi dai diari, lettere, frammenti che possono servire a mettere a fuoco il ruolo dell'immagine nella scrittura di Kafka, in relazione ai temi più affini, quali quelli del sogno, delle apparizioni, del corpo, anzi dei corpi in movimento, nella loro pura esteriorità gestuale.

Il tutto è accompagnato da una prefazione molto densa in cui si rammentano alcune specificità della scrittura kafkiana che sono anche comuni alla grafica kafkiana.

Fra tutte: la compresenza di esattezza estrema e irrealtà estrema. Dove tutto è preciso e nitido ma non è se stesso, come nell' abbecedario distopico della Clef des songes di Magritte, esempio supremo dello scarto fra parola e immagine.

 

Prendiamo ora una di queste immagini. Una delle cosiddette marionette nere pubblicate a suo tempo da Max Brod.

La curatrice specifica, per questa come per molte altre immagini, che tecnica, formato, fonte e datazione sono sconosciute.

Il titolo attribuito da Brod è “uomo con bastone da passeggio”. Ma potrebbe essere anche uno spadaccino. Allo stesso modo che un'altra di queste marionette nere veniva classificata ora come “Amleto” ora come “uomo seduto con la testa china”.

Proviamo anche noi ad associare a questa immagine di uomo col bastone da passeggio una pagina di Kafka, tratta dai diari o lettere o frammenti sparsi.

Ci viene subito in mente, a sancire uno scarto enorme tra la banalità o pacificità del segno grafico e le parole ad esso collegate un passo delle Lettere a Milena.

Esattamente quello dove Franz, per significare alla sua corrispondente non ebrea il suo dramma di ebreo occidentalizzato (“il più ebreo e il più occidentale”), si serve della seguente elaborata metafora (quasi un'allegoria): “È all'incirca come quando uno, prima di ogni passeggiata, dovesse non solo lavarsi, pettinarsi ecc. – già questo costa fatica – ma siccome prima di ogni passeggiata gli mancano sempre tutte le cose necessarie, dovesse anche cucirsi il vestito, farsi le scarpe, fabbricarsi il cappello, tagliarsi il bastone (corsivo nostro) e così via” (lettera del novembre 1920).

Tutto questo può essere evocato dalla tranquilla marionetta con il “bastone da passeggio”.

 

Comunque, a parte quegli schizzi che sono deputati a raffigurare e rappresentare graficamente situazioni precise di cui parlano lettere e diari (ad esempio un particolare ponte svizzero o un particolare modo di andare a braccetto con Felice, o il modo in cui Franz, che non si occupa d'altro che “di torturare o essere torturato”, esemplifica icasticamente tale sua propensione macelleresca) per gran parte di queste immagini non si sa letteralmente cosa significhino.

Del resto, un grande studioso di Kafka, Malcom Pasley, in un suo libro del 1995, Die Schrift ist unveränderlich...Essays zu Kafka sosteneva che nelle opere di Kafka è inutile cercare un senso preciso, bensì solo “direzioni di senso” (“Sinn-Richtungen”).

Quale direzione di senso abbia la penultima immagine di questo libro, un uomo a cavallo, cui è eccezionalmente accompagnato un passo del giovanile micro-racconto “Desiderio di essere un indiano”, dove si narra di un cavallo che via via che procede si decompone fino alla sua totale inesistenza – rimane difficile dire.

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