Telefonanti

7 Settembre 2025

Il telefonante si pone in genere al centro esatto del marciapiedi, come per ottenere il massimo dell'ingombro possibile e, mentre urlando denuda la propria anima al mondo, procede a zig zag, ma sempre, non si sa come, tenendo il centro. Oppure, sempre a zig zag, come un ubriaco o un folle o un folle ubriaco, serpeggia sul medesimo marciapiedi del tutto assorbito dai suoi messaggi o da quelli dei suoi degni compari, che anche alle sei e mezza del mattino o prima non gli fanno mancare la necessaria dose quotidiana di parole e/o immagini o tutt'e due insieme.

Quei due o tre su quarantamila che, anche a Merano, si ostinano a non voler possedere il simpatico giocattolino, avrebbero la tentazione, molto forte, di scaraventare per terra l'orda che avanza con una mano sola, perché l'altra (mano) è occupata dall'attrezzo, l'orda senza occhi, perché ipnotizzati dall'attrezzo.

Ma come fanno ad andare avanti, questi qua, ci si chiede, si fanno forse guidare dall'olfatto? Come i cani?  Questi camminanti-telefonanti, la cui proliferazione è inarrestabile, costituiscono un autentico problema. In molte città civili il loro comportamento è sanzionabile. Vengono chiamati jaywalker. Recita il vocabolario: jay walk significa to cross a street illegally or in a reckless manner. Tenendo conto che jay a sua volta indica la cosiddetta inexperienced person, cioè la persona inesperta o imperita o maldestra, si ha che una buona traduzione di jay walk potrebbe essere: attraversare alla cazzo di cane. Ma è volgare! eccepirà senz'altro qualcuno. È vero, però è efficace. In effetti se qualcun altro osservasse un canide mentre minge, ossia, detto più terra terra, un cane che piscia, si renderebbe conto che il getto del liquido emesso dall'uretra del canide suddetto, è assai irregolare, asimmetrico, sbavante qua e là, come capita. È davvero un equivalente plastico dell'andatura dei camminanti-telefonanti. Perciò, anche se forse attraversare con la testa fra le nuvole o sbadatamente o in maniera irresponsabile sarebbero state tutte locuzioni più eleganti o gradevoli, l'espressione volgare coglie nel segno, che è quello che chi scrive cerca più di ogni altra cosa.

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Una delle manifestazioni più tipiche del jaywalker o camminante incauto è il texting, ossia il pirla col cellulare in mano scrive i suoi cazzo di testi inutili e pretende nel contempo di attraversare la strada, senza degnarla d'uno sguardo, s'intende. Ma razza di pirla! Nemmeno camminare sul marciapiedi potresti! Col tuo merdosissimo attrezzo in mano! E gli occhi stampati sullo stesso! Su quelle quattro acche, piene d'errori, che scrivi!

A New York, per dire, il texting è severamente punito. Con fior di multe. Salatissime. In Cina ti mettono alla gogna, se attraversi a piedi col rosso o messaggiando. Fuor di metafora, si viene costretti a indossare una casacca di cartone verde con la scritta wo chengunuo buchuang hongdeng equivalente a giuro che non attraverserò mai più con il rosso. A New York, il giorno diciannove gennaio duemilaquattordici, un pedone di ottantaquattro anni, il signor Kang Chun Wong, pensionato cinese emigrato a Cuba, è stato addirittura pestato a sangue dalla polizia locale, perché non attraversava sulle strisce. Evidente e del tutto sproporzionata esagerazione, tuttavia se qua da noi qualche telefonante incauto venisse condannato, no, non al pestaggio selvaggio, ma a scrivere cinquanta volte all'amica del cuore o all'amico del cuore, quella/o a cui messaggia fin dall'alba, a scrivere cinquanta o anche centocinquanta volte di seguito Non devo attraversare la strada sulle strisce fissando il cellulare come uno scemo, sarebbe già qualcosa, almeno un primo passo verso la civiltà.

Ma non c'è da illudersi. La dittatura cellulare non recede. L'intero pianeta è coperto dalla rete cellulare. Il territorio (ogni territorio) è suddiviso in aree dette per l'appunto celle. Ogni cella, o unità elementare di ricetrasmissione, possiede una sua stazione radio. Il telefono mobile, il cosiddetto telefonino si aggancia alla cella; se uno si sposta, si aggancia alla cella confinante. La rappresentazione grafica ideale di questo stato di cose è una maglia continua di celle esagonali, come un immane alveare di ricezione e trasmissione di comunicazioni, che sono perlopiù inutili, irrilevanti, futili.

Ma la vera copertura cellulare totale, quella che non lascia sguarnita alcuna zona, nemmeno marginale, desertica o alluvionale del mondo, quella che non abbandona mai senza campo un qualsivoglia appartenente al genere umano, la rete infinita di maglie interrotte è, in verità, quella dei rompicoglioni. Essi sono sempre attivi, giorno e notte e inverno e estate nonché in primavera, autunno e mezze stagioni intermedie ancora senza nome.

A chi non è capitato di uscire di casa alle sei, sei e un quarto del mattino, incantato dal dolce cinguettio di passeri e cinciallegre e, di colpo, venir strappato all'incanto dal raglio di un tosaerba scatarrante. O dal sibilo d'una motosega. O dal martellare furioso di un pensionato insonne.

Per non parlare degli addetti alla raccolta dell'immondizia. Essi sono i moderni monatti. I monatti raccoglievano i cadaveri appestati nella Milano del Seicento. I monatti attuali raccolgono i cadaveri della società opulenta, i rifiuti d'ogni genere, che paiono inesauribili. Portano tute arancioni, gli addetti all'immondizia. Entrano in azione ad ore antelucane. Urlano e ghignano. Ghignano e urlano. Che vogliano davvero svegliare l'intero quartiere in cui operano, e la città tutta, la provincia, la regione, il cosmo addormentato? Hanno, come i loro predecessori milanesi, autentiche facce da scomunicati. Entrano ed escono saltando da camion rantolanti, cigolanti, che sembrano sempre sul punto di disintegrarsi. Si dice che siano molto efficienti. Può darsi. Si dice che Merano sia molto virtuosa, nel campo dell'immondizia. Per la raccolta del vetro è ai primi posti nel mondo, Merano. E certo! Con quel che bevono, trincano e tracannano, i meranesi, non mancheranno mai bottiglie, bottigliette, bottiglioni e damigiane per colmare le verdi campane del vetro.

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All'angolo tra via Brennero e via Grabmayr, proprio accanto alle campane per la raccolta del vetro, della carta, del metallo (mancano quelle per la plastica, chissà perché), proprio lì, su quelle campane su cui campeggiano cartelli su cui sta scritto: nelle campane per la carta non si può buttare pergamena, specie se scritta; non si può buttare carta oleata, specie se unta da residui di cibo; su cui sta scritto che nelle campane per il metallo non si può buttare la stagnola, se prima avvolgeva il cioccolato e che nelle campane per il vetro non deve assolutamente entrare quello (vetro) zigrinato – beh, esattamente lì, sotto queste campane così rigorose c'è spesso di tutto, per terra, in barba a regole e regolamenti. Frigoriferi in disarmo. Assi da stiro sghembi. Sedie spagliate. Una volta perfino un gatto morto, con i denti digrignati in una smorfia estrema di dolore, povera bestia.

E se ci si sposta, rapidamente, aumentando il passo, verso un'altra zona, più isolata, sperando di trovare quiete almeno lì, macché: ecco subito che ci si aggancia a una nuova cella di rompicoglioni, attivissima: quella degli alacri contadini che spruzzano veleni infernali sui meli, sui peri, sugli alberi di cachi e sui banani (adesso ci sono anche questi, nel Meranese). Non si sa cosa spruzzino esattamente. Ma i contadini spruzzanti sono coperti da tute e maschere bianche, come astronauti della Nasa sulla Luna o su Marte e ciò non induce a nutrire pensieri particolarmente positivi sulla sostanza che viene spruzzata.

Si passa alla cella successiva. Questa è presa in carico da un fumatore. A volte c'è un clima di tale umidità al mattino, a Merano, che la scia pestilenziale di quest'unico dannato fumatore resta nell'aria per parecchi minuti dopo che l'infame è passato. Il puzzo acido, irrespirabile vince persino il profumo del caprifoglio in fiore di via Maia. Il pensiero che un essere definito (evidentemente a torto) "animale razionale" esca di casa all'alba, perfino alle cinque, cinque e un quarto del mattino, e si accenda una strafottuta sigaretta velenosa e la aspiri voluttuosamente, invece di respirare a pieni polmoni l'aria mattutina (per quanto umida), getta nello sconforto più cupo. L'essere umano è senza scampo. È troppo stupido per vivere.

E così, di cella in cella, di rompicoglioni in rompicoglioni, il camminante mattiniero avanza, come la luce del giorno. Finché i cosiddetti marciapiedi cominciano a riempirsi di madri in bici, che accompagnano i piccini a scuola; piccini che, sotto gli occhi amorevoli delle madri, sfrecciano, anche loro sui marciapiedi, in bici o tricicli o monopattini, dipende, ma tutti cercando di mirare agli stinchi dei camminanti superstiti. Si svegliano anche i motori. D'ogni specie e cilindrata. È un rombo costante. Si scatena una rabbia diffusa. Tutti partono, escono, accelerano, chiusi nelle loro scatolette metalliche ambulanti. La road rage, la rabbia delle strade, non c'è solo a Los Angeles. Anche Merano, nel suo piccolo, la coltiva. Gli automobilisti tengono il crick sotto il sedile per ogni evenienza. Le automobiliste hanno grinte omicide, killer col rossetto.

Intanto i piccoli marmocchi si allenano a diventare i pirati della strada di domani, come i loro bravi papà col SUV. Urlano nel frattempo. Urlano anche le mamme. Ce l'hanno tutti col povero camminante, paria sotto shock, assediato dai rompicoglioni a motore, su quattro ruote, su due ruote o bipedi semplici, simili a lui. E siamo già entrati nella cella dove agisce un'anziana signora, anzi una brutta vecchiaccia dall'espressione di maîtresse, che sfreccia in discesa, su una carcassa di biciclo, accompagnata da due cani, che le assomigliano di muso in maniera impressionante, due pechinesi odiosi, uno per parte. Naturalmente sul marciapiedi o marciazampe o marciaruote.

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