Speciale
Passeggiate sequestrate
La gente preferisce le Tappeiner (o Tàpper secondo la pronuncia di certi turisti). Soprattutto gli sportivi. O sportivoni. Corrono come invasati sulla terra battuta. Incuranti di cani, bici e moto fuori legge. Incuranti anche dei furgoncini di bibite, gelati, generi vari che in barba a tutti i divieti percorrono la passeggiata sfrecciando a pieno regime. I corridori non si chiedono certo se abbiano l’autorizzazione, i furgoni. Autorizzazione a inondare di puzzo pestilenziale di miscela i tornanti del “percorso a piedi”. Essi comunque corrono. Il loro ansito è regolare. La loro falcata è regolare. I fasci di muscoli che li contraddistinguono sono evidenziati da tute aderenti, fluorescenti, sinuose. Niente li può fermare. Neanche la Kawasaki cromata che un giorno si è vista (e udita) rombare, sempre sul “percorso a piedi”. Non si è mai saputo chi la guidasse. Era una Kawasaki fantasma. Sulle Tappeiner passa davvero di tutto.
I corridori continuano a correre, come pazzi. Sognano di essere un Campione dello Sport. Forse l’Eroe dalla Faccia Pulita, nato qua in zona, talmente pulita, la faccia, che l’avevano scelto per reclamizzare gustose merendine per piccini, fatte con tanto buon latte, pulito come la sua faccia. Peccato poi che l’eroe senza macchia in realtà si dopasse. Forse gli atleti instancabili delle Tappeiner sognano di essere il Grande Ciclista, sogno fuori tema ma sempre sogno, il Grande Ciclista che ha vinto sette volte la Famosa Corsa e che ha vinto anche il Male Temibile. Dopato, dopatissimo anche lui.

E quanti ce ne sono così, di Eroi dello Sport? Di Cavalieri dell’Ideale? I quali si dicono: massì, andiamo oltre, vediamo dove possiamo arrivare impunemente. Tanto quelli si bevono tutto (come noi, del resto, che ci beviamo tutto o di tutto). L’umanità ha un disperato bisogno di credere. Credere nell’onestà, nella pulizia, nella incrollabile sanità dello sport. E loro, i bravi mistificatori, la soddisfano subito questa brama inesausta di credere, credere, credere. A ogni costo. Contro ogni evidenza. Ma cosa può l’evidenza contro la smania di credere?! Naturalmente trovano sempre chi li esalta, questi campioni senza macchia. E chi li esalta è lo stesso che poi li colpisce senza pietà quando sono caduti. In effetti perché prendersela con chi si limita a usare a suo vantaggio l’enorme credulità popolare? Bisognerebbe prendersela con chi li celebra, questi presunti eroi, per poi subito deplorarne il fallimento.
Il giornalismo sportivo è una forma letteraria, si sa. Appartiene al genere epidittico. Il genus demonstrativum dei Romani. È il genere di discorso che loda o biasima. È tipico delle occasioni ufficiali, delle feste, dei banchetti, delle cerimonie. I giornalisti sportivi sono gli odierni continuatori del genere epidittico. Lodano il vincitore. Biasimano il perdente. Trovano mille ragioni alla vittoria, trovano mille ragioni alla sconfitta. Dopo. Dopo che sono avvenute, sconfitta o vittoria. In questo senso il giornalismo sportivo è modello per il giornalismo tutto: dire bene di chi trionfa, sparlare di chi soccombe, qualunque sia il campo in cui ciò avviene: politica, economia, cultura o altro.
Quante tonnellate di pagine sono state dedicate alle grandi imprese del Grande Ciclista, che ha vinto anche la Morte? Quante sono state consacrate alla genuina virtù del Marciatore dalla Faccia Pulita? Quanti servizi filmati, interviste, amorevoli ricostruzioni biografiche? Nonché informazioni indiscrete sulla tenera liaison tra il Marciatore e la Pattinatrice (anche lei dalla Faccia Pulita)?
Un mare di balle! Un gran mare di balle! Ma tanto c’è sempre chi se le trangugia contento, queste belle balle succulente!
E i corridori sulle Tappeiner proseguono la loro corsa onirica. Nessuno di loro, nei sogni che ne visitano la mente, vorrebbe essere un Maradona o un George Best o, almeno, un Gascoigne o un più nostrano Vendrame. Troppo imprevedibili. Troppo instabili. Troppo irregolari. Non si sa mai cosa aspettarsi da uno sportivo così. Nessuno li addita ad esempio. E fanno male. Perché questi sì sono i veri campioni. Anzi sono i geni dello sport. O i folli dello sport. Eccessivi, anomali, abnormi – ma veri. Per questo sono ormai estinti. Non ne nascono più di simili. Per questo vengono ancora ricordati a distanza di anni o decenni. E nessun promotore di merendine dalla Faccia Pulita li rimpiazzerà mai. Mai. E ancora i corridori corrono, nutrendo le falcate regolari con sogni mediocri, sotto l’occhio dei giardinieri, delle Tappeiner.

Non è un occhio vigile, l’occhio dei giardinieri. Essi lanciano sguardi sinistri. Grattano furiosamente il suolo con rastrelli minacciosi. A volte (abbastanza spesso) stanno fermi. Contemplano il vuoto. Che si spalanca oltre le ringhiere delle passeggiate, giù, giù, verso la città sparsa nel fondovalle, ramificata come un’espansione virale, come i gangli mortiferi d’una malattia che avanza. La mente dei giardinieri è ottenebrata. La bellezza è pericolosa. È nociva.
I giardinieri ricordano da vicino i custodi dei Musei descritti da Thomas Bernhard. Il contatto quotidiano con le opere d’arte è venefico. È come un contagio che lascia conseguenze irreparabili. Per questo lo sguardo dei custodi è come velato dall’ottusità. Reagiscono in tal modo all’esposizione continua al Bello. L’uomo non è fatto per il Bello, non lo può sopportare oltre un certo limite, piuttosto basso. I capolavori spandono intorno a sé un’aura di morte. La perfezione uccide. Per questo i custodi dei Musei, secondo Bernhard, cercano il difetto nei capolavori, il neo, la mancanza, la lacuna, per quanto minima. È una forma di difesa. Di legittima difesa.
Anche la bellezza della Natura può rivelarsi esiziale. L’eccesso di bellezza naturale è rischiosissimo. Alla lunga ci si può ridurre come loro, come i giardinieri delle Tappeiner. Parlano con le opunzie. Polemizzano con i gelsomini: perché non fiorite ancora? Cosa aspettate, maledetti? Interrogano invano le cortecce rugose dei pini a ombrello. O guardano muti il vuoto. Se le Passeggiate Tappeiner sono così affollate di cani, corridori, giardinieri strambi, bici, moto, furgoni e furgoncini ci sono ben altre Passeggiate, a Merano, è noto.
Ci sono per l’appunto le Passeggiate Passeggiate, cioè le Passeggiate per antonomasia, le Passeggiate tout court. Propriamente sarebbero Passeggiate d’Inverno (e d’Estate), e si sa anche questo. Ma, a Merano, la saggezza popolare predilige servirsi di formule abbrevianti. Dimodoché, per esempio, anche il Corso Libertà è universalmente noto, sempre a Merano, come il Corso e basta, senza ulteriori specificazioni. Così come quando uno, a Merano ancora, dice il Bronx, tutti capiscono subito che si tratta della zona compresa tra via Armonia e via Matteotti, teatro della movida giovanile meranese, cioè del luogo dove la suddetta bella gioventù meranese è solita, con rispetto parlando, vomitare o pisciare o, anche, cagare per strada, dopo aver prima bevuto parecchio, per strada o nei caratteristici localetti del Bronx summenzionato. A volte l’ordine è invertito: prima piscia, poi caga e vomita, la bella gioventù. Ma può anche cagare subito e solo poi pisciare e vomitare. Mutando l’ordine degli addendi il risultato non cambia.
Tornando alle Passeggiate, si può davvero passeggiare sulle Passeggiate? Il nome corrisponde alla cosa o è, come dire?, solo un effetto che sopravvive alla propria causa? Se nome e cosa si devono accordare, il camminante meranese proporrebbe in effetti di chiamarle Passeggiate Sequestrate.
È raro che, su queste benedette e cosiddette Passeggiate, ci si possa realmente camminare sopra.
Le Passeggiate sono anche Passeggiate Occupate. Dalle baracche del Mercatino di Natale. Dal baraccone del Festival del Vino. Dalle baracchette della Sfilata dei Sapori. Dalle panche e panchette della Festa dell’Uva. Da quelle della Festa della Città. Dalle altre della Festa per la Mezza Maratona di Mezza Primavera. Dalle auto d’epoca. Dalle gru del Soccorso Alpino. Dai poderosi mezzi della Croce Rossa. Della Croce Bianca. Della Croce Verde. Dei Pompieri. Degli elicotteristi. Dei Canoisti. Dei commercializzatori di articoli per la Montagna e per la Collina. E da tutti gli altri che in ogni mese e stagione dell’anno usano gli spazi delle Supposte o Presunte Passeggiate per far sapere al mondo che esistono, loro e i loro mirabolanti attrezzi messi in mostra sul suolo di queste Passeggiate Immaginarie.
Chi volesse passare, per queste Passeggiate, non può proprio passare, perché la folla è enorme. Sosta rapita davanti ai prodotti taiwanesi del Mercatino. Aspira avidamente i profumi dei pecorini misti della Sfilata dei Sapori. Oppure si assiepa sulle panchette delle varie Feste e mangia mangia mangia e beve e beve e beve. Altro non fa. Il rumore delle mandibole che stritolano würstel e strauben è accompagnato da orchestrine che intonano walzer e mazurche tirolesi.

Quando agli inizi del secolo scorso il grande scrittore Mauriac volle dedicare un libro alla sua città natale, Bordeaux (la stessa del proto-fugueur Albert Dadas e meta del folle viaggio di Hölderlin al principio del 1802), città in cui vedeva riassunte, pietrificate, la sua infanzia e la sua adolescenza, città le cui vie strade e piazze rappresentavano per lui gli unici eventi della sua vita, Mauriac, dunque, a quell’epoca non faceva esperienze poi molto diverse da quelle che può fare oggi un camminante meranese. Nel senso che anche lui si lamentava di ciò che accadeva nella centralissima Esplanade des Quinconces: ma come? scriveva, abbiamo la Piazza più Grande d’Europa all’unico fine di vederla perennemente ingombra di fiere, mostre, piste per le corse e tendoni loschi? Sì, Mauriac, verrebbe voglia di dirgli. Ti devi rassegnare.
Prima di passare oltre, sempre che si possa e che non ci sia nessuno a ostruire il cammino, ricordiamo che i concittadini di Mauriac imposero al povero scrittore di togliere i passi a loro non graditi, parecchi, dall’edizione del 1926 del suo libro su Bordeaux. Carini!
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