Libertà e menzogna nella vita degli italiani / La dittatura della monogamia

19 Ottobre 2020

“Perché farlo in tre sarebbe da nascondere di più che andare in un museo?” Questa domanda apparentemente paradossale racchiude in poche parole una serie di intuizioni concentrate in un libro di piccole dimensioni ma di grande acume appena pubblicato da Edoardo Lombardi Vallauri, Ancora Bigotti (Einaudi, 2020). Il volume parla del rapporto tra gli italiani e la morale sessuale, ma soprattutto parla del rapporto tra libertà e menzogna: il punto non è che cosa fare a letto, ma perché mentire su quello che si fa e che conseguenze ha, questa ipocrisia, sulla società. Per sua natura, il sesso è il campo di battaglia ideale per lo scontro tra questi due poli: condurre una vita libera e razionale o assoggettarsi alle bugie che consentono di evitare il confronto con la realtà? Il giudizio impietoso dell’autore è che in Italia la morale sessuale è uno “degli aspetti meno progrediti della nostra società” dove i più vivono prigionieri di bugie “di cui molti sono complici e pochi sono consapevoli”.

 

Il libro ricorda, per stile e contenuto, La conquista della felicità di Russell e certe pagine di Voltaire. Pur non essendo ufficialmente un filosofo, qui Vallauri non si limita ad analizzare il linguaggio, ma entra nella carne viva e pulsante della morale sessuale. L’autore smonta instancabilmente i ragionamenti ambigui che dovrebbero regolare il nostro comportamento a letto e propone argomentazioni razionali che smascherano le piccole e grandi ipocrisie quotidiane. E usa una lucida analisi della morale sessuale per attaccare il perbenismo che sopravvive nella sua “forma più vigliacca, che è il servirsi della morale per gettare discredito sugli altri”.

 

La tesi del libro è semplice: gli italiani, pur non riconoscendosi più esplicitamente nella morale sessuale della chiesa cattolica, continuerebbero a seguirla per una serie di motivazioni meschine: la morale tradizionale sarebbe comoda, lusingherebbe pregiudizi arretrati, discriminerebbe la donna, sarebbe infine una scusa buona per pigrizia, egoismo e aridità nei rapporti umani. Dietro i presunti sentimenti virtuosi – come il senso del pudore, la gelosia, la fedeltà – si nasconderebbero impulsi assai meno nobili come la diffidenza, la paura, l’invidia e la poltroneria. Leggendo il volume non si può che dargli ragione.

Vallauri, con pazienza, mette a nudo l’imperatore – il sesso disturba perché è l’incarnazione di una libertà che dà fastidio in un mondo di servi (consapevoli o inconsapevoli) “che non si rendono conto di continuare a vivere all’interno delle reti fittamente intessute” di una morale di cui si ignorano ragioni e cause: “i repressi sono così insicuri e spaventati da essere estremamente irritabili”. 

Eppure gli argomenti di Vallauri sono trasparenti, a partire dal fatto che il piacere è, in quanto tale, una cosa buona. Sfortunatamente, nella nostra tradizione, a partire dalla tradizione essenica, il piacere è visto come un male che deve essere nascosto, controllato, sublimato. Il mezzo per ottenere questo controllo è, manco a dirlo, la monogamia. Ma perché il piacere deve essere visto come male? Ci sono tante motivazioni, alcune di carattere psicoanalitico e altre storiche. Per Vallauri, tagliando un aggrovigliato nodo gordiano, queste considerazioni non hanno più importanza. Il piacere rimane così il grande colpevole che si deve consumare solo se consacrato dalla presenza di un rapporto sentimentale e, ovviamente, di nascosto. Se in pubblico si può fare tutto o quasi, in Italia, l’atto sessuale è punito con multe salatissime – lo scorso agosto, in Puglia, una coppia focosa si è vista comminare una ammenda di 30.000 euro!

 

D’altronde in Italia, siamo fermi ai mutandoni di Daniele da Volterra per occultare le pudenda dei nudi di Michelangelo: la nudità continua a essere motivo di vergogna. È curioso che siamo l’unica specie che ha vergogna di se stessa. Possiamo guardare il nudo, ma solo se è sublimato dall’arte. Nonostante la nostra penisola abbia migliaia di chilometri di coste, spesso poco accessibili, il nudismo continua a essere problematico. L’italiano medio prova vergogna e fastidio per i corpi altrui a meno che siano coperti da esigue strisce di stoffa, magari di colori brillanti. Ovviamente, non è il corpo nudo a infastidire, ma è l’esposizione della nostra natura sessuata. L’italiano deve poter vivere l’illusione che i corpi altrui non abbiano, sotto vestiti e costumi, alcuna sessualità. In un contesto sociale la sessualità, almeno a livello simbolico, deve essere stata neutralizzata. È questo lo scopo dei costumi, non coprire come si crede ingenuamente, ma segnalare che il corpo è stato momentaneamente disattivato nelle sue funzioni sessuali. In generale, nota Vallauri, le persone per bene “si vestono senza eccessiva ostentazione di parti del corpo, così si vede che non puntano al sesso in quanto tale”.

 

Il sesso, e quindi il piacere, per essere resi accettabili devono essere trasfigurati dalla finalità procreativa che, come vuole la tradizione, si traduce nel dolore del parto per lei e nel sudore della fronte per lui. Solo in questo modo “un quarto d’ora di piacere si può concedere, se poi l’individuo che l’ha provato lo sconterà con migliaia di ore di sacrifici”, ovvero con una relazione monogamica. In questo modo la società ammette di controbilanciare un minimo di godimento (comunque scoraggiato dai solerti confessori controriformisti e giansenisti) grazie a un ombrello etico: l’amore romantico che si esprime in una relazione a lungo termine. L’amore starebbe al rapporto sessuale come l’aura di Walter Benjamin starebbe all’opera d’arte.

Secondo Vallauri “il matrimonio, è il mezzo ideale per cancellare quasi completamente il sesso dalle abitudini delle persone”. In fondo, nella prima lettera ai Corinzi, San Paolo fornisce una curiosa giustificazione del matrimonio, ovvero essere un baluardo contro il piacere. Il matrimonio sarebbe così la tomba dell’amore erotico (“meglio sposarsi che bruciare”). Con queste premesse, non c’è da stupirsi che il matrimonio sia in crisi. D’altronde il matrimonio ha avuto storicamente la funzione di affidare al maschio la custodia vicaria della donna (o più donne nel caso di società poligamiche) impedendo però poi, nei limiti del possibile, che il maschio abbandonasse la prole e la compagna per correre dietro a ragazze più giovani e, si suppone, più piacevoli. Una soluzione pratica anche se un po’ brutale a problematiche di carattere economico.

 

Eppure, perché dovrebbe essere così? Che fanno di male le persone adulte e consenzienti che, in qualsiasi combinazione di genere e numero, traggono piacere dai loro corpi attraverso quelle attività, quanto mai innocenti, che chiamiamo atti sessuali? In fondo è una torta che non si consuma mai, per quante fette se ne addentino. E su questo punto, Vallauri espone un teorema perfetto. Se uno fa sesso con qualcun altro, a tutti gli altri non accade niente. Non gli viene a mancare qualcosa. Il danno, per il partner, non proviene dalla cosa in sé, ma dai patti impliciti o espliciti “che trasformano un non-danno in un danno; un’attività che non farebbe alcun male si trasforma in un tradimento. Questi patti sono generatori di male. E sono generatori di menzogna, perché rendono inconfessabile qualcosa che non fa male a nessuno.” In breve, la tesi è che senza la morale sessuale che è l’esito di un processo storico convenzionale e non di una necessità metafisico-biologica, tante cose che consideriamo male nel sesso non sarebbero tali e, anzi, sarebbero fonte di gioia e occasione di autenticità nei rapporti tra le persone: “la libertà sessuale non sarebbe tradimento”.

 

 

Ma perché il condizionamento funzioni e sia vissuto in modo inconsapevole dalle persone (che pensano sempre di volere veramente certe cose) bisogna che sia costantemente ripetuto e rafforzato. È il meccanismo, ben noto agli psicologi, del condizionamento. Film e letteratura hanno contribuito a rafforzare questo condizionamento. Ancora oggi, nei blockbuster di Hollywood, se un personaggio tradisce il partner, quasi sempre finisce male. Pensate a un film come Bohémian Rhapsody (2018). Fintanto che Freddy Mercury vive liberamente la sua sessualità, la sua vita è una vera e propria discesa agli inferi. Solo quando rinuncia al piacere e sublima il suo desiderio in una relazione sentimentale con un bonario e quasi fraterno amante baffuto, il protagonista si può salvare e avere una redenzione in articulo mortis.

È significativo il fatto che la accettazione sociale dell’amore libero dai generi LGBTQ (santa Cinzia di Leo Ortolani!) non sia seguita una analoga liberazione del sesso. Persino in tempi recentissimi, in California, si è sdoganato il poliamore a condizione che sia, comunque, non piacere puro ma una complicata rete di rapporti sentimentali più o meno a lungo termine.

 

Qui non si vuole difendere a priori il sesso in qualsiasi combinazione, ma interrogarsi sul perché si continuino ad accettare dogmi che sono ormai privi di giustificazione razionale? Tutti si dichiarano liberi ma tutti continuano ad accettare una morale monogamica. Come scrisse il filosofo Whitehead, in ogni epoca i condizionamenti più pericolosi sono quelli che tutti accettano e di cui nessuno parla. 

Vallauri si interroga sul perché dostoevskijanamente si deve porre dei vincoli? E soprattutto perché si devono porre agli altri? Perché deve considerare che strofinare i corpi, in certe combinazioni, debba screditare socialmente? Vallauri sa bene che oggi nessuno condanna esplicitamente le condotte sessuali, ma è molto convincente nel mostrare che i moralisti impongono meccanismi censori grazie a strumenti più subdoli come la derisione, la caricatura, il disprezzo. Per il sesso si usano sempre termini caricaturali, non esistono parole semplici: “è come se per riferirci a un libro fossimo costretti a dire uno scartafaccio, per parlare di un bambino dovessimo per forza usare moccioso”. Il nuovo benpensante, secondo Vallauri, evita accuratamente di condannare qualcuno, “ma invariabilmente, con il riferimento a se stesso si affretta a far capire che di questa libertà lui non si avvale perché non ne sente il bisogno.” Siamo rimasti, ancora una volta, a San Paolo quando scrive che “Vorrei che tutti fossero come me, ma non lo sono”.

Purtroppo questo clima di moralismo sessuale è stato rafforzato negli anni Ottanta dalla comparsa l’AIDS che, essendo a trasmissione sessuale, per motivi contingenti e per nulla necessari (Spinoza permettendo!) suggerì una correlazione tra stili di vita sessualmente liberi e conseguenze per la salute – ovviamente la correlazione esiste ma solo con i comportamenti irresponsabili da un punto di vista sanitario (non mettere il preservativo e altre norme profilattiche) non con la libertà. 

 

Fortunatamente o sfortunatamente, l’indigestione di immagini esplicitamente sessuali veicolate da Internet ha, di fatto, completamente neutralizzato l’elemento rivoluzionario del sesso, riducendolo a manifestazione fisiologica edonistico-narcisistica e, a volte, bisogno di affetto e di ruolo. La morale italiana è rimasta spesso rivolta al passato e incapace di aggiornarsi. L’impressione è che prevalga un perbenismo preadolescenziale, un timore di uscire allo scoperto, un bigottismo di certi personaggi ben rappresentati da Sordi che si ritagliano, in segreto e con furbizia, spazi liberi senza rinunciare al diritto di criticare e bacchettare (dai cui i bigotti bacchettoni) gli altri. Meglio comandare che fottere, si diceva in Sicilia. Meglio bacchettare che fottere, sembra l’atteggiamento di molti.

 

La libertà altrui dà fastidio a chi non la esercita. Come diceva De André, “chi non può dare cattivo esempio, dà cattivo consiglio”. E in Italia siamo campioni di cattivi consigli. Per Vallauri, questo è il punto critico, la morale sessuale prevalente è un atto di disonestà che viene accettato perché “quello che gli uomini vogliono veramente non è essere liberi, ma condizionati e ben nutriti”. E così, alla fine, prevale la dittatura della monogamia perché così non ci sono soprese. Anche l’omosessualità allegra di Freddy Mercury, Steven Strange, Paolo Poli, Aldo Busi e tanti altri (non si sono chiamati gay per caso) ha sempre reso tristi tutti quelli che si sono autoimposti una vita di rinunce. In una intervista memorabile di qualche anno fa, Paolo Poli reagiva con orrore alla prospettiva di un matrimonio per gli omosessuali: no grazie! 

L’amore romantico diventa così lo strumento perfetto per negare la libertà (non solo sessuale) imponendo un comportamento canonico, normalizzato, purificato. Invece la sessualità rimane una forza libera della natura che non vuole seguire le regole, ma anche l’espressione diretta della potenza dell’esistenza; genera desiderio per persone al di fuori del recinto della società; consente di giocare con i ruoli permettendo ai potenti di essere sottomessi e ai deboli di comandare. Si fa l’amore per piacere, ovvero perché vi è una spinta intrinseca a farlo, non perché si deve. Il desiderio istintivo non è frutto della società e quindi la società deve imprigionarlo e reprimerlo. Eppure, si desidera perché si è desiderio e si ama perché si è amore. Non perché si deve o sta bene farlo. L’amore, il desiderio, l’attrazione, l’interesse, la libertà, la volontà sono tutte cose che danno fastidio a una società che, applicando il principio di Bernoulli della massima pressione, vuole massimizzare l’efficienza consumistica dei nostri comportamenti: comprare non scopare

 

Il libro va oltre i confini della moralità sessuale degli Italiani. È un libro sul rapporto tra libertà e menzogna, ovvero sulla sincerità con noi stessi su noi stessi. Per Vallauri, l’italiano medio si divide in due categorie “coloro che mentono a se stessi e agli altri e coloro che mentono agli altri” (viene in mente Camera con vista di E. M. Forster). Questa pratica della bugia ha effetti molto più estesi della vita sessuale. Imparando a mentire a se stessi su una cosa naturale come il sesso, le persone imparano a mentire su tutto a tutti. Perdono la capacità di vedere le cose per quelle che sono. Piegano quel righello naturale che è la loro ragione e si abituano ad accettare ragionamenti fallaci. Come il protagonista di Orwell, alla fine si crede veramente a qualunque cosa. 

Il piacere in quanto piacere è innocente. Sono gli specchi e la copula, scriveva Borges, a essere abominevoli. Perché? Perché moltiplicano il numero degli uomini. E infatti le guerre si fanno perché c’è troppa gente, non perché la gente ha provato piacere. Piacere non è male. Pensare che il piacere sia male, per invidia o per paura, è male e fa male. Ma la società ci spinge a farlo per sostituire le nostre pulsioni libere con atti di acquisto: Non scopare, compra

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