Vattimo, un filosofo contro la "grande ragione"

20 Settembre 2023

È mancato Gianni Vattimo, uno dei più grandi rappresentanti della filosofia contemporanea di tradizione ermeneutica, che si rifaceva cioè alla moderna teoria dell’interpretazione. Era nato a Torino il 4 gennaio del 1936 e aveva compiuto quest’anno ottantasette anni.
Lo conobbi nel 1974, quando mi iscrissi al corso di laurea in filosofia dell’Università di Torino, che era certamente all’epoca una città filosofica di prim’ordine. Vattimo aveva studiato alla scuola di Luigi Pareyson insieme a Umberto Eco. Si laureò in filosofia nel 1959 con una tesi su Il concetto di fare in Aristotele che uscirà poi per i tipi di Giappichelli. Negli anni cinquanta del secolo scorso lavora anche alla RAI, con Furio Colombo e Umberto Eco, ma poi si reca in Germania a studiare con alcuni dei massimi rappresentanti della filosofia dell’epoca, in particolare con Hans- Georg Gadamer che, insieme a Luigi Pareyson, lo introdusse nell’ermeneutica, della quale Vattimo costituisce uno dei grandi maestri contemporanei. Pareyson e Gadamer possono così essere entrambi i suoi maestri

Il pensiero debole

Era l’epoca in cui insegnavano Torino anche Norberto Bobbio  Vittorio Mathieu, Giuseppe Riconda e Carlo Augusto Viano, e stavano emergendo una serie ampia di giovani che sarebbero divenuti protagonisti della filosofia italiana in Italia e fuori, come Diego Marconi, Sergio Givone, Francesco Moiso, Ugo Perone, per limitarsi ad alcuni nomi. Ascoltare le lezioni di Vattimo, che conoscevo sin dal liceo per un libro importante ma poi stranamente sottovalutato da lui stesso, Schleiermacher filosofo dell’interpretazione (1968), fu un’esperienza indimenticabile. Allora insegnava anche il sabato mattina, in un’aula affollatissima, in cui si potevano incontrare molti dei personaggi che sono rimasti non solo sulla scena filosofica ma anche su quella letteraria dei nostri giorni, tra gli altri anche Alessandro Baricco. Le sue lezioni non erano solo brillanti e profonde, ma anche divertenti, costellate di humor, e di una chiarezza straordinaria. 

Il soggetto e la maschera

Seguirlo nei suoi corsi su Nietzsche e l’avanguardia artistica del Novecento significava cogliere quanto le esperienze “rivoluzionarie” degli anni precedenti avessero non solo talora un risvolto pericoloso, come ci si avvide negli anni successivi, ma anche profondamente settario. Il mondo che stava nascendo richiedeva qualcosa di molto diverso per chi cercava la propria identità politica e culturale nella sinistra radicale italiana. Diventava sempre più evidente che il mondo contemporaneo, più che di una rivoluzione politica, aveva necessità di politiche della liberazione e dell’emancipazione che non prescindessero naturalmente dalla difesa dei più deboli ed emarginati. Si affacciava, attraverso Nietzsche e Heidegger, la necessità di acclimatarsi nel mondo contemporaneo ove la lotta di massa non poteva scindersi dal proporsi e affermarsi dei diritti dei singoli. La dichiarata omosessualità di Vattimo diveniva così scaturigine di uno sguardo sul mondo in fermento nel quale stavano affacciandosi soggetti nuovi che chiedevano di essere riconosciuti nella loro identità specifica all’interno di un mondo che andava globalizzandosi. L’identità specifica dei nuovi soggetti, movimenti femminili, di liberazione omosessuale, che non andava mai enfatizzata in una chiave di contrapposizione lacerante o estrema, veniva così a costituire o a rappresentare l’altro polo di un pensiero della “liberazione” che non a caso incontrò nel postmoderno uno dei suoi concetti cardine. Questa fu la scaturgine del “pensiero debole”, un pensiero liberal e riformista radicale nell’età della pre-globalizzazione. Fondamentalmente il mondo globale venne a costituire ai suoi occhi, quantomeno in un primo momento, un’occasione di emancipazione e non di omologazione. Si trattava, naturalmente, di un passo notevolmente originale nel quadro della riflessione filosofica dell’epoca, in particolare in rapporto alla lezione della Scuola di Francoforte.

La società trasparente

Ma veniamo, più da vicino, alla vicenda intellettuale di Gianni Vattimo. A Heidelberg, studia con alcuni dei massimi rappresentanti della filosofia dell’epoca, in particolare Hans- Georg Gadamer (ma anche Karl Löwith) che, insieme al suo maestro torinese Pareyson, lo introdusse nell’ermeneutica, della quale Vattimo costituisce uno dei grandi maestri contemporanei. È memorabile non solo la sua limpida traduzione ma anche la sua splendida introduzione all’opera maggiore di Gadamer Verità e metodo. Va rimarcato che entrambi i suoi maestri furono a vario titolo oppositori del fascismo. Anticonformisti a modo loro, proprio come Vattimo, in un’epoca in cui non era certo facile esserlo.

Le sue opere sono tradotte, conosciute e discusse in tutto il mondo, in Europa come negli Stati Uniti e in America Latina. Le sue carte sono oggi custodite presso l’Università Pompeu Fabra di Barcellona, nell’archivio creato e curato dal Prof. Santiago Zabala. 

Il nome di Vattimo è legato – com’è ben noto e già si diceva –al “pensiero debole”, una formulazione fortunata della sua prospettiva filosofica che gli consentì di acquisire una vasta fama anche presso un pubblico più vasto rispetto a quello accademico. L’idea si annuncia in un volume collettivo uscito nel 1983 presso Feltrinelli, curato dallo stesso Vattimo e da Pier Aldo Rovatti. Fu un vero e proprio colpo di scena filosofico. A partire da questo libro Vattimo, elabora l’idea che la società di massa, quella che diverrà poi la globalizzazione, può consentire, proprio in forza della diffusione universale delle informazioni, un reale pluralismo politico e sociale, un positivo affermarsi delle differenze di genere, etnia, e delle propensioni sessuali. In questo quadro la critica della mass society, sviluppata in particolare dalla Scuola di Francoforte viene messa in crisi.

Le avventure della differenza

È una prospettiva che Vattimo sviluppa in studi fondamentali, tradotti in tutto il mondo, come Le avventure della differenza. Cosa significa pensare dopo Nietzsche e Heidegger e La fine della modernità. Nichilismo ed ermeneutica nella cultura post-moderna entrambi comparsi da Garzanti rispettivamente nel 1980 e nel 1985. In questi libri Vattimo elabora l’idea che Nietzsche e Heidegger, ben lungi dall’essere dei rappresentanti di un pensiero conservatore o addirittura radicalmente compromesso con il nazionalsocialismo, sono in realtà filosofi che consentono e invitano a elaborare una moderna teoria della liberazione. Agli occhi di Vattimo, il merito essenziale di Nietzsche, elaborato anche in un’importante monografia del 1974 comparsa da Bompiani, Il soggetto e la maschera. Nietzsche e il problema della liberazione, è quello di aver mostrato che il soggetto tradizionalmente strutturato nella tradizione occidentale sulla base della prevalenza e del comando di una ragione dispotica sulle pulsioni e la sensibilità va superato avvalorando le ragioni della corporeità, quelle che Nietzsche definì “la grande ragione”. A individuare questo cammino nel pensiero di Nietzsche (cui egli dedica fra altro altri studi, fra gli altri Ipotesi su Nietzsche del 1967 e Introduzione a Nietzsche del 1985) è fondamentale, agli occhi di Vattimo, l’esperienza delle avanguardie artistiche del Novecento che aveva indagato negli anni precedenti in Poesia e ontologia (1968). L’esperienza di Nietzsche insieme a quella dell’avanguardia orienta Vattimo in direzione di un pensiero che fa della poiesi e dell’idea della “liberazione del simbolico” uno dei suoi capisaldi. Heidegger svolge un ruolo fondamentale in questo quadro indicandoci, come mostra un volumetto comparso da Feltrinelli nel 1981, Al di là del soggetto, l’idea di un’“ontologia del declino” secondo cui il mondo contemporaneo viene sempre più a consumare le rigide e monocratiche strutture dell’essere nelle variazioni ermeneutiche. 

Vattimo

Questo conduce Vattimo a un passo davvero dirompente nel panorama filosofico dell’epoca, la valutazione positiva del nichilismo, di un mondo che consuma la verità nell’alveo delle molte interpretazioni. Il nichilismo diviene sinonimo, in questo quadro, di una nuova libertà del soggetto che può esprimersi in una sorta di relativismo positivo, che consente agli individui di sviluppare le proprie inclinazioni e forme di vita nel mondo globale. È particolarmente interessante che questo non produca contrasti con la sua fede cristiano-cattolica, che egli anzi alimenta sempre più intensamente nel corso degli anni alla luce del pensiero debole. Vattimo esprime pubblicamente, per la prima volta, un riavvicinamento al cristianesimo e alla Chiesa cattolica che si esprime nel volume Credere di credere comparso da Garzanti nel 1996.

La fase ultima della sua produzione costituisce un allontanamento dal pensiero debole, quantomeno nella sua versione liberal e postomoderna, e una radicalizzazione a sinistra del suo pensiero come testimonia in particolare il volume Comunismo ermeneutico, Da Heidegger a Marx, scritto con Santiago Zabala e comparso in inglese da Columbia University Press nel 2011. Il suo ultimo progetto, che purtroppo non ha avuto modo di realizzare, ma sul quale tornava nei colloqui degli ultimi anni, sarebbe stato quello di dedicare un libro a Papa Francesco.

scritti

Per avvicinare il suo pensiero è oggi disponibile una vasta silloge delle sue opere, Scritti filosofici e politici, un volume monumentale pubblicata nel 2021 presso La Nave di Teseo introdotto da Antonio Gnoli con un’introduzione alle singole sezioni di Gaetano Chiurazzi.

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