Speciale

Emozioni, lotte, vita, amore, perdita, tra qui e altrove

30 Gennaio 2015

Perché l’Africa? Da parecchi anni lettera27 si dedica all’esplorazione di temi legati al continente africano e con questa nuova rubrica vogliamo aprire un dialogo con i protagonisti culturali che si occupano dell’Africa. Qui potranno esprimere opinioni, raccontare storie, stimolare il dibattito critico e suggerire idee per ribaltare i tanti stereotipi che circondano questo immenso continente. Ci piacerebbe aprire con questa rubrica nuove prospettive: geografiche, culturali, sociologiche. Creare stimoli per imparare, per essere ispirati, ripensare e condividere conoscenze.


Elena Korzhenevich,

lettera27

 

Qui l'articolo introduttivo della serie: Why Africa?

 

english version

 

Si chiude in questi giorni la mostra The Divine Comedy: Heaven, Hell, Purgatory revisited by Contemporary African Artists presso lo SCAD Museum di Savannah. Inaugurato lo scorso 16 ottobre, l’evento è stato il secondo capitolo di un progetto itinerante che ha toccato in precedenza l’MMK di Francoforte e che si prepara ora a una nuova tappa presso un altro importante museo nel mondo. Una mostra che, attraverso l’interpretazione dell’opera di Dante da parte dei principali autori africani di oggi, attiva una riflessione su universalità, identità e appartenenza. La rilettura della Divina Commedia diventa l’occasione per una panoramica sull’arte africana contemporanea in dialogo con la tradizione culturale occidentale. Emergono così le differenze soggettive di ciascun autore, i diversi percorsi grazie ai quali attraversare l’opera, i tratti comuni e immutabili, al di là delle latitudini e dello scorrere dei secoli.

 

Negli scorsi mesi abbiamo aperto un focus sull’iniziativa tra le ‘pagine’ di Doppiozero grazie alla conversazione tra il suo curatore Simon Njami e Elio Grazioli e al saggio di Roberto Casati. Torniamo ora a esplorarla attraverso una carrellata di interviste ad alcuni degli autori presentati nella mostra realizzate dalla rivista Contemporary And (C&), la rivista di arte on-line con il focus sull’arte contemporanea da prospettive africane, in occasione della prima tappa all’MMK e generosamente offerteci per la ripubblicazione. Abbiamo scelto di selezionare alcuni passaggi delle risposte degli artisti per costruire un percorso tra gli sguardi soggettivi e sfaccettati dei singoli artisti che si sono confrontati con l’opera di Dante. È un racconto corale del progetto e della sua complessità, un progetto che mescola mondi e percezioni, in movimento tra paesi, pubblici, culture, individuo e collettività.

 

The Divine Comedy, veduta della mostra, ph. John McKinnon. Courtesy SCAD Museum of Art

 

C&: Il punto di partenza per la mostra è la Divina Commedia di Dante Alighieri. Nella tua preparazione alla mostra, quanto è stato importante per te approfondire realmente l'opera di Dante?

 

Zoulikha Bouabdellah: Anche se la Divina Commedia è un'opera emblematica della cultura occidentale, contiene temi universali: domande sulla punizione, sulla morte, sul corpo e sulla sua assenza sono ossessioni comuni in tutto il mondo.

 

Aïda Muluneh: Non ricordo esattamente quando, ma è stato un paio di anni fa che Simon Njami mi ha detto che stava progettando una mostra sulla Divina Commedia. Inizialmente mi ha detto di lavorare su una collezione basata sul Paradiso, ma alla fine mi è stato assegnato l’Inferno, credo per stimolarmi nel mio processo creativo e conoscendo la mia vita personale fin troppo bene. Venendo da un posto come l'Etiopia, dove la religione è per noi uno stile di vita e una cultura, è stato interessante per me vedere dipinti che rappresentavano "l'Inferno" nelle chiese. Quindi, dal momento che la mostra si basa sul corpus del lavoro di Dante, è stato rilevante comprendere il suo lavoro per trarre ispirazione sulla mia percezione dell’Inferno.

 

C&: Nella sua fusione di credenze cristiane e valori morali, nonché di temi pagani classici, la Divina Commedia rappresenta un concetto profondamente eurocentrico della società, dei valori e della cultura. La mostra si propone di smantellare la prerogativa europea dell’interpretazione di quest’opera e di guardarla da una nuova angolazione. Fino a che punto pensi che questo approccio possa portare alla messa in discussione della sovranità interpretativa eurocentrica?

 

Aïda Muluneh: Personalmente, non ho guardato necessariamente alla Divina Commedia nel quadro di un concetto eurocentrico. Essendo cresciuta all'interno della chiesa ortodossa etiope, per me non era qualcosa di estremamente estraneo. In tutta onestà, durante la creazione della collezione, non stavo necessariamente pensando alle ideologie eurocentriche. Per me si è trattato di cercare di esplorare la nozione di Inferno coerente con il mio background e non necessariamente politicizzare o super-intellettualizzare quello che stavo producendo, ma piuttosto cercando di esprimere le cose del presente e del passato.

 

Zoulikha Bouabdellah: C'è un movimento intellettuale in costante crescita, sostenuto da pensatori e artisti provenienti da luoghi diversi dell’occidente, che sta sostenendo un approccio al mondo che smonta le abituali categorie. Questa mostra fa parte di questo movimento. Sottoscrivo con tutto il cuore questa visione. È molto più interessante collegare le culture tra loro e studiare i loro contributi positivi.

 

Ato Malinda, On fait ensemble, 2010


Ato Malinda: Non sono sicuro di aver percepito le intenzioni della mostra di mettere in evidenza l'egemonia dell'Europa. Quello che io ho inteso è che Simon Njami ha voluto allineare l’arte africana alla metafora del poema di Dante. Questo non vuol dire che il contesto non mostri la consapevolezza dell’eurocentrismo e del post-coloniale. In realtà, per me questa mostra era un modo per allontanarsi dai contesti ovvi nei quali gli artisti africani sono continuamente situati, e per parlare veramente (dell'esperienza) dell'arte e della poesia.

 

MMK/C&: Nella storia dell'arte europea e nordamericana, la Divina Commedia è stata interpretata da numerosi artisti (come Botticelli, Delacroix, Blake, Rodin, Dalí o Robert Rauschenberg). Che importanza ha avuto questo per te, nell’affrontare questo tema?

 

Guy Tillim: Ho alcune idee circa la mia pratica artistica e trovo echi della poesia di Dante attraverso la mia esperienza con la macchina fotografica, che è impregnata di una certa auto-riflessione e contribuisce a una sorta di rivelazione in questo modo: la scena di fronte a me parla attraverso di me, o almeno io dovrei aspirare a questo stato. L'invisibilità del sé è desiderabile perché è mediata.

 

Guy Tillim, Near Huahine, 2011

 

Wangechi Mutu: Quello che trovo davvero toccante rispetto alla Divina Commedia - e io in realtà uso la Divina Commedia in questo modo - è l'utilizzo di un certo tipo di metafora, come un modo di lavorare fuori un particolare tipo di problema. Amo una delle cose che Simon Njami ha detto sul rapporto di Dante con diverse persone a Firenze, cioè che le storie che aveva creato per ogni personaggio nella Divina Commedia erano molto personali, erano basate sull’ostracizzazione che subiva a Firenze e che queste immense narrazioni che ha creato vengono in realtà da un profondo sentimento di rifiuto. Allora, davvero, capisci che questo signore era così geniale da essere in grado di creare, come fosse un dio, un qualche posto, un luogo in cui ciascuno potesse esistere. Ha creato in quel mondo delle esistenze davvero difficili, tortuose ed eterne, soprattutto per coloro che non gli piacevano. Penso che sia veramente potente e sorprendente. Creare questi enormi mondi e mettere le persone lì per permettere alla tua immaginazione di contorcerli, per punirli, per arricchirli, per distruggerli, è così importante. Questa storia diventa l'unguento, la medicina che consente di seguire uno stile di vita diverso, un pensiero diverso. Possiamo realmente creare spazi dove l'immaginazione possa vivere e mettere in scena tutte queste cose. Quello che penso sia importante rispetto all’arte e alla Divina Commedia è la possibilità di inscenarli, in modo che essi non si realizzino nella vita reale.

 

C&: Che ruolo hanno la religione e l’etica nella tua pratica artistica? E, di conseguenza, che cosa vogliono dire per te personalmente le parole Paradiso/Inferno/Purgatorio?

 

Kudzanai Chiurai: La religione e l’etica sono argomenti centrali nella mia pratica. Li ho spesso usati come espressione del tempo. Il trascorrere del tempo, attraverso le esperienze vissute, è un modo di comprendere la religione e l'etica, quindi, le esperienze vissute determineranno in quale regno finisci e per quanto tempo ci resterai.

 

Kudzanai Chiurai, Iyeza, 2012

 

Aïda Muluneh: Nella mia fotografia, il mio obiettivo principale è ovviamente documentare quello che trovo interessante e nella mia fotografia artistica mi scopro sempre attirata dalla mia esperienza personale, cioè il fatto di crescere come un nomade e vedere molte culture diverse. Non è necessariamente legato alla religione o all’etica, ma ha piuttosto a che fare con le emozioni, le lotte, la vita, l'amore, la perdita e così via. Pertanto, quando penso a Paradiso e Inferno, non sono cose che si trovano in un altro mondo, ma piuttosto sempre presenti in questo mondo; non abbiamo bisogno di morire per trovarli.

 

Guy Tillim: Nella mia testa, l’etica non è una conseguenza della religione, creare o agire così creerebbe l’Inferno sulla terra. Il paradiso sarebbe l’assenza di religione, piuttosto punti più delicati dell’etica discussi in modo socratico…

 

Zoulikha Bouabdellah: La religione in quanto tale, non mi interessa; è quello che la gente fa con essa che mi fa riflettere. Silence, la mia opera in mostra, evoca il modo in cui le donne possono trovare posto in uno spazio sacro – il tappeto per la preghiera – mantenendo un piede nello spazio profano – il buco con i tacchi alti. È questo dualismo complementare che ricorda come il Paradiso, l'Inferno, il Purgatorio sono molto vicini tra loro e che non ci vuole molto, a volte un niente, per spostarti da uno all'altro.

 

C&: Le oltre 50 opere d'arte in mostra sono assegnate alle aree del Paradiso, Inferno e Purgatorio. A quale regno dell'aldilà appartiene il tuo lavoro? Come è nato questo collegamento?

 

Zoulikha Bouabdellah: Silence è stato scelto per far parte della sezione dei cieli. Nell'opera di Dante, il cielo è il culmine di una ricerca, la fine del viaggio dell'anima verso la luce e la vita eterna. Mi piace l'analogia tra il cielo e il processo creativo dell'artista, in cui quest'ultimo porta calore, dà luce, infonde senso, e, per così dire, offre un pezzo di eternità.

 

Zoulikha Bouabdellah, Silence, 2008-2014

 

Guy Tillim: Quando una volta ho incontrato Simon ad una serata a Parigi, la prima cosa che mi ha detto è stata: "Paradiso o Purgatorio?", ho detto Paradiso.

 

Ato Malinda: Il mio lavoro appartiene al Purgatorio. Sento che sto bene in Purgatorio. Non pretendo mai di avere risposte definitive e sento che la mia vita e il mio lavoro hanno a che fare con il trovare spazio per accettare l'incertezza della vita. Il lavoro che ho presentato per questa mostra racconta una storia di ibridismo africano; un'identità africana che è influenzata dall’Asia e dell’Europa; una identità africana che sfida l'autenticità.

 

Kudzanai Chiurai: Il regno in cui si trova il mio lavoro è il Purgatorio. Quando ho iniziato a ragionare sul video, ho voluto inquadrare il conflitto politico all'interno della religione e il riferimento canonizzato migliore era L'ultima cena. Avevo bisogno di un punto di partenza dal quale ho potuto costruire una narrazione che potesse esprimere questo: alla fine del 1990, Nelson Mandela ha ospitato una cena di beneficenza alla presenza di Charles Taylor, che fu poi processato per violazioni dei diritti umani, e Naomi Campbell, che ha anche testimoniato al processo di Charles Taylor. Questo è stato un perfetto esempio di uno spazio in cui santi e peccatori si sono riuniti e del conflitto tra etica e religione.

 

Wangechi Mutu: Nella mostra l'opera si trova nell’Inferno. Ma per me non c'è davvero una separazione in Paradiso, Purgatorio e Inferno. Non la penso proprio in questo modo. Credo che il mio lavoro non è così tanto nell'aldilà quanto nel mondo dei sogni, nell'immaginazione, negli incubi notturni e in quelli ad occhi aperti. Sono un grande credente dell’interpretazione dei sogni, ma non in modo occulto. Nel sistema di credenze africane, abbiamo un altro modo di interpretare: c'è la vita, i morti viventi, i morti-morti e i non nati. I vivi siamo noi quando siamo qui, i morti viventi sono le persone che sono morte ma che hanno mantenuto una certa quantità di energia in mezzo a noi perché sono appena morti. Ma soprattutto, il motivo per cui mantengono il potere è perché i morti viventi sono le persone che sono morte e che ancora ricordiamo, quelli che ancora preghiamo o con i quali siamo ancora in contatto. Sono morti che vivono - sono ancora vivi. Così i morti viventi sono probabilmente i miei preferiti. Quindi penso che il mio lavoro viva semmai in quel regno - ma non è il dopo-dopo la vita, è la vita dopo la morte, subito dopo la vita.

 

Wangechi Mutu, Metha, 2010

 

 

 

Artisti e opere

 

Zoulikha Bouabdellah, Silence, 2008-2014. Intervista completa (eng) | Bio

Kudzanai Chiurai, Iyeza, 2012. Intervista completa (eng) | Bio

Ato Malinda, On Fait Ensemble, 2010. Intervista completa (eng) | Bio

Aïda Muluneh, The 99 Series', 2013. Intervista completa (eng) | Bio

Wangechi Mutu, Metha, 2010. Intervista completa (eng) | Bio

Guy Tillim, Second Nature, 2010-2011. Intervista completa (eng) | Bio

 

Contemporary And

Contemporary And (C&) è una piattaforma online internazionale per intuizioni e prospettive diverse e critiche sull’arte contemporanea africana. Il progetto è fondato e pubblicato dalla tedesca Institut für Auslandsbeziehungen - IFA (Istituto per le Relazioni Culturali Estere). C& offre ad artisti affermati ed emergenti, curatori, critici d'arte e altri produttori culturali dall'Africa e la diaspora l’opportunità di raggiungere un pubblico internazionale ed espandere le loro reti.

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