La pace impossibile
L’età dell’ottimismo (anni 1989-2001) è seguita chissà perché dagli anni del risentimento (2001-2024). Questa frase ripresa da Alessandro Colombo (Il suicidio della pace, Cortina 2025) è stata scritta da Paul Krugman, l’economista americano, nel lasciare il New York Times il 9 dicembre 2024. Inizia l’era Trump, il critico Krugman lascia (lo ritroviamo su Substack coi suoi commenti quasi quotidiani). Ma di quella frase colpisce il “chissà perché”. Possibile che l’economista Nobel non sappia perché? È un deficit dell’economia che non sa mai prevedere (ricordate il famoso rimprovero della regina Elisabetta agli economisti all’indomani della crisi del 2007-2008?) e ormai neppure interpretare?
Ci prova allora Alessandro Colombo, studioso di relazioni internazionali, con un solido libro che ha per sottotitolo la risposta: perché l’ordine internazionale liberale ha fallito. Quell’ordine democratico-liberale di matrice euro-americana non era forse né liberale né democratico: aveva discriminato tra democratici e non-democratici, aveva illuso sulle libertà per tutti mentre non teneva conto delle preferenze e delle paure degli altri. Aveva usato sempre più spesso la forza dopo lo choc dell’11 settembre 2001. Il libro quindi si apre, come certi thriller, con la soluzione del plot già data in partenza. Possiamo allora discuterne la validità.
Il passaggio di secolo (tra XX e XXI) contiene la prima affermazione forte: sotto l’onda del trionfo rappresentato dal 1989, non si vede l’onda lunga della “deoccidentalizzazione” del mondo. Colombo non cita il libro più importante: il politologo e consigliere americano Brzezinskij, Tra due ere, nel 1970 già vedeva questa contraddizione tra paesi dominanti tecnologicamente (USA), paesi intermedi (Europa), paesi poveri (il resto del mondo). Oggi essa si è resa manifesta, ed esplode. Eppure, la globalizzazione a guida americana, e sostenuta dall’Europa (Germania in testa) questo stava producendo: un “resto del mondo” che diviene adesso centrale, la Cina come fabbrica del mondo sempre più capace di sfruttare i saperi occidentali e trasformarli in fattori di sviluppo orientali. Non-democrazia, regime che domina la società, la Cina odierna vede trionfare il ‘tipo cinese’ che obbedisce senza essere pienamente cittadino. Modello opposto a quello del cittadino democratico che pretende i propri interessi e disobbedisce. Il ‘tipo cinese’ è così destinato a fare concorrenza e ad erodere il modello democratico occidentale, perché vuole essere universale almeno tanto quanto la democrazia liberale. Non si era visto? previsto? lo aveva scritto già Nietzsche 150 anni fa! e commentato Kojève (altro grande assente del libro di Colombo) 80 anni fa.
La globalizzazione ha indebolito gli Stati nazionali e fatto emergere l’Impero. Ma è l’Impero-utopia, non-luogo di Hardt e Negri, descritto nel 2000? Oppure i ‘grandi spazi’ di cui parlavano Kojève e Schmitt già nel 1950?
Ma in entrambi i casi, perché la frammentazione del mondo (ben descritta da Colombo) esplode proprio ora? Proprio mentre il mondo diventa, per la prima volta, davvero globale? Perché insorgono guerre civili e di secessione ovunque, divisioni di nuovi confini, etc.? Secondo Colombo la ragione sta nella fine del bipolarismo, che aveva a lungo impedito di mettere in discussione qualsiasi confine per evitare la rottura dell’equilibrio tra le due superpotenze. Una volta caduta l’URSS, tutto si muove: a partire dalla Germania che si unifica già nel 1990, per finire al Baltico, al Medio Oriente, all’Ucraina. Il fronte Est della NATO si espande includendo via via sempre più paesi ex-sovietici: questo provoca la frustrazione della Russia e la sua preparazione a una nuova politica di potenza. Fino alla guerra di Putin all’Ucraina (‘tutta la Russia è con noi’ ha assicurato il dittatore dalla Piazza Rossa nella parata militare del 9 maggio scorso, affiancato da Xi, Lula e Maduro). Ma ci chiediamo: si poteva evitare che la domanda di appartenenza all’Unione europea e alla NATO da parte dei popoli dell’Est europeo esplodesse?
La risposta di Colombo è: c’è stata una hybris dell’Occidente, una superbia da parte delle élites liberali nel costruire il nuovo ordine mondiale dopo il 1989. Anzi Colombo le chiama proprio, queste élites, liberal che pretendono di imporre mercato e democrazia a tutti nel mondo. Una comunità chiusa di politici, tecnocrati e finanzieri che hanno voluto costruire il mondo globalizzato.
La spiegazione non convince del tutto. Intanto, mercato e democrazia non vanno sempre insieme: il mercato è anarchico, insofferente delle regole, lo spiegava già Adam Smith che i capitalisti passano il loro tempo a trovare come poter aggirare le regole. Invece la democrazia è procedura regolata. Così élites economiche ed élites politiche, sempre partecipano allo stesso gioco ma con ruoli distinti. Anche negli anni ’90 e ‘2000 è stato così? La democrazia liberale e il mercato hanno in questi anni lavorato assieme: il WTO (Organizzazione mondiale del commercio) ha incluso la Cina, la Apple ha cominciato a fabbricare gli smartphones a Shenzhen, Taiwan è diventato la patria dei semiconduttori di tutto il mondo. La frase di Clinton a Bush, it’s the economy stupid! gli fece vincere le elezioni nel 1992, poi Clinton e Gore vollero ‘reinventare il governo’ dando più potere ai mille governi che non stavano a Washington. Ovunque, privatizzazioni e liberalizzazioni (anche in Italia, promosse da governi di centro-sinistra, mica da Berlusconi…). E nelle relazioni internazionali, la fiducia che il mercato, internet, la circolazione delle idee avrebbero conquistato la Russia, perfino la Cina…
Tutto cambia nel 2001. L’11 settembre è spartiacque definitivo, Colombo invece pensa che la sua portata storica sia stata complessivamente esagerata (p. 150). L’ordine mondiale va in pezzi: la guerra in Iraq (2003-2011) di Bush e Blair, poi il fallimento delle primavere arabe (2010-2011), la guerra civile in Siria (dal 2011 a oggi), la Russia che si ‘annette’ la Crimea (2014). Se l’obiettivo simbolico dell’attacco terroristico dell’11 settembre era l’ordine mondiale guidato da Washington, esso si è pienamente realizzato.

Ritorna la coppia amico/nemico. E così finisce l’epoca delle neutralizzazioni e spoliticizzazioni, per dirla con Carl Schmitt? Niente affatto: Schmitt infatti vedeva, già nel 1950, un Nomos della Terra assente nell’epoca globale, uno Stato che inevitabilmente arretra ed esce di scena, un mercato mondiale che si afferma su tutto e su tutti. Questa diagnosi di Schmitt (ma è anche quella di Marx, altro grande assente di questo libro, nei Grundrisse del 1857!) è confusa da Colombo con la globalizzazione neoliberale e i suoi fallimenti. Si scambia così il breve periodo con il lungo, la globalizzazione neoliberale con la fine della storia. Lo stesso errore commesso da Fukuyama (La fine della storia e l’ultimo uomo, 1992) scambiando il nuovo ordine neoliberale per la fine della storia hegeliana. Leggiamo insieme allora Kojève, nell’opera dedicata alla Fenomenologia dello spirito di Hegel: “La fine del Tempo umano o della Storia, cioè l’annientamento definitivo dell’Uomo propriamente detto o dell’Individuo libero e storico, significa molto semplicemente la cessazione dell’Azione nel senso forte del termine. Il che praticamente vuol dire: la scomparsa delle guerre e delle rivoluzioni cruente…”.
Nel frattempo (un tempo lungo ma necessariamente ‘finito’, sostiene Kojève), ovvio che la società mondiale sia stratificata: tra primo, secondo e terzo mondo; tra avanzati ed emergenti; tra democratici-liberali e autocratici; tra ‘Nord’ e ‘Sud’ del mondo e anche al loro interno; etc. L’enfasi posta da Colombo sul Nuovo Ordine Mondiale degli anni Novanta, a trazione americana, esclusivo e discriminante, non si giustifica dal punto di vista euristico. Nulla di nuovo: non era così nell’epoca dei blocchi contrapposti, euroatlantico e filosovietico, sancito da Yalta tra 1945 e 1989? E prima ancora in quella dei paesi colonizzatori e di quelli coloniali, sancito dalle Conferenze di Berlino e di Bruxelles (1980-1894)?
L’ossessione americana attuale per la propria sicurezza, che discrimina gli altri paesi, va anch’essa di pari passo con l’ossessione della bomba atomica negli anni della guerra fredda. La guerra in Iraq (2003-2011) ha il suo precedente nella guerra in Vietnam (1955-1975). Eccetera. Quello che non convince quindi è enfatizzare la novità del Nuovo Ordine Mondiale rispetto al prima, mentre se leggiamo bene Schmitt (Il Nomos della Terra, 1950) il vero spartiacque si colloca tra la fine dello Jus public europaeum e il ‘mondo senza nomos’ del dopoguerra mondiale. Interessante è invece, nel libro di Colombo, l’analisi della guerra trasformata in ‘operazione di polizia’ internazionale (cap. 4). Fino all’aggressione anglo-americana all’Iraq (2003), che vent’anni dopo porterà alla strategia di legittimazione russa dell’aggressione all’Ucraina (p.169). Qui si ricostruisce la reazione russa al mondo unipolare a guida americana (così Putin alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, 2007), una reazione che vide i paesi occidentali divisi e imprevidenti.
La Cina compare per la prima volta a pag. 126: essa non era ancora agli inizi della sua spettacolare crescita economica e non aveva imboccato ancora la strada del rafforzamento militare. Ricompare (p. 177 ss.) come potenza economica straripante, che induce gli USA a cambiare la loro percezione: la Cina come competitore strategico, infine come minaccia. Ma per Colombo il punto di svolta è la crisi economico-finanziaria del 2007-8. A causa di essa i paesi occidentali riducono la loro quota sul pil mondiale, passando in pochi anni dai 2/3 a meno della metà del pil globale. A tutto vantaggio della Cina (e dell’India). Con Obama (2008-2016) gli Stati Uniti avviano e sanciscono un riflusso della loro egemonia mondiale, riflusso che si estende alla cooperazione internazionale economica (fallimento del Doha Round degli accordi internazionali del commercio, contrazione questa sì suicida degli aiuti occidentali allo sviluppo dei paesi poveri, etc.). La crisi delle organizzazioni internazionali, FMI e Banca Mondiale, dà così spazio al protagonismo internazionale della Cina con la Belt and road initiative e i Brics (Brasile Russia India Cina Sud Africa). Inizia una nuova competizione tra grandi potenze imperiali: quella americana in declino, quella cinese in ascesa. Alla Cina emergente ruotano intorno come satelliti, o sono destinati a farlo, la Russia, la Corea del Nord, l’Iran, il Pakistan ma soprattutto l’Africa (molti paesi africani) e l’America Latina (non solo il Brasile). Un singolare multilateralismo in cui la Cina sostituisce il ruolo avuto dagli USA dopo il 1945 (p. 235). Solo l’India appare in grado di competere con la Cina nel ruolo di guida dei Sud del mondo, specie nel medio periodo: ma già oggi la Cina è in declino demografico, l’India invece crescerà di altri 330 milioni di abitanti di qui al 2049. Tutto questo confronto tra potenze si avvita intorno all’isola di Taiwan, pretesa dalla Cina e difesa sin qui dagli USA e suoi alleati orientali (Giappone, Corea del Sud, Australia). Ma domani?
Nel confronto tra i due imperi, americano e cinese, l’Europa scivola sempre più in giù. In trent’anni la sua quota sul pil mondiale è scesa dal 28 al 18%, e questo basti per fissarne l’irrilevanza (p. 240).
Gli ultimi cinque anni (2020-2024) sono quelli del crollo, le guerre, il Covid, lo smontaggio della globalizzazione, un mondo tripolare: Usa e alleati, Cina e alleati, Sud globale, cioè un terzo blocco unito solo dalla determinazione a non farsi risucchiare dai primi due. Ma qui l’analisi di Colombo è necessariamente sommaria, andrebbe ridefinito l’intero quadro che i Sud rappresentano: la contrapposizione tra Global North e Global South appare come una costruzione ideologica (nel senso, citato da Colombo, che Karl Mannheim ha impresso alla parola ideologia, cioè uno schema per il mantenimento dell’esistente da parte di un punto di vista di una minoranza che si vuole egemone, ieri la borghesia, oggi l’Occidente…). La conclusione è succinta (pp. 283-285): l’ordine liberale non è ‘sotto assedio’ ma si è disgregato da sé, a causa di élite inadeguate e incapaci di concepire altro che l’esistente. Ma forse, si può aggiungere, la risposta non verrà dall’Occidente, e neppure dall’Oriente. Non verrà dalla geopolitica, che registra solo i rapporti di forza strategico-militari esistenti. Verrà solo da una rinnovata politica della relazione (quell’“accordo di differenze” cui invitava Édouard Glissant, in Poetica della relazione) tra le distinte forze culturali, religiose, tecniche e scientifiche, artistiche etc. a cui è affidato il destino del mondo.
