Kundera e Fellini: orfani del passato e del futuro

3 Giugno 2022

Il libro di Stefano Godano Kundera e Fellini. L’arte di non incontrarsi (Mondadori Electa, coll. Rizzoli illustrati, 2022, p. 197) è la storia di un incontro su un incontro mai avvenuto. In altre parole, è la storia di un’amicizia, quella tra l’autore del libro e sua moglie Daniela Barbiani, nipote di Fellini e sua assistente alla regia, e Milan Kundera e sua moglie Vera, che nasce, cresce e si sviluppa grazie a un’amicizia, quella tra Kundera e Fellini, che è rimasta nel regno delle possibilità. In questo senso, si potrebbe dire che Godano ha scritto un libro di memorie e allo stesso tempo una sorta di romanzo su quello che poteva accadere e non è accaduto, su quello che avrebbe potuto essere e non è stato.

 

Qual è il territorio del romanzo se non quello delle possibilità incompiute? Che cosa sono i personaggi romanzeschi se non proiezioni del possibile? Sebbene la storia degli incontri a Parigi tra l’autore e sua moglie e Monsieur e Madame Kundera cominci nel 2001, il vero inizio risale all’ottobre del 1993, quando Fellini è ricoverato al Policlinico di Roma. Al regista non resta molto da vivere. Proprio in quei giorni esce sul «Corriere della sera» un articolo di Kundera in cui Fellini viene definito «la vetta più alta dell’arte moderna: l’immagine che meglio svela il nostro mondo». Da quel momento la coppia italiana, tra tentativi, ritardi, lunghi silenzi e ritrosie – un piccolo romanzo dentro il romanzo – si metterà sulle tracce dello scrittore fino ad incontrarlo e a tessere nel corso degli ultimi vent’anni, tra scambi di battute, scherzi e disegni felliniani e kunderiani in viaggio tra Roma e Parigi, una relazione tanto riservata quanto sincera. 

 

I lettori più attenti di Kundera conoscono il grande amore del romanziere per il cinema di Fellini. Ne ha scritto a più riprese. Tuttavia, fu negli anni Novanta, e in particolare dopo la morte del regista, che Kundera vi ritornò con insistenza. 

Ricordo che nel 1995 avrebbe pubblicato un articolo nella «Frankfurter Rundschau» per la celebrazione del centesimo anniversario della nascita del cinema (poi raccolto nel 2009 in Un incontro). Qui, dopo aver distinto il cinema in quanto tecnica («principale agente del rimbecillimento e di indiscrezione planetaria»), dal cinema in quanto arte, racconta un episodio esemplare, dove il suo amore per Fellini deve fare i conti con il disamore che l’epoca ormai riserva al regista, in particolare all’ultima parte della sua produzione (da Prova d’orchestra in poi). Agli inizi degli anni Ottanta, nel corso di una cena, il romanziere incontra un giovane intellettuale che con «ameno disprezzo derisorio» si fa beffe dell’opera di Fellini. Kundera è sconvolto.

 

Per la prima volta, in Francia, prova una sensazione che non ha provato neppure in Cecoslovacchia nei peggiori anni dello stalinismo: «la sensazione di vivere in un’epoca post-artistica, in un mondo dove l’arte scompare perché scompaiono il bisogno dell’arte, la sensibilità, l’amore per l’arte». L’atteggiamento del giovane intellettuale francese nei confronti dell’arte felliniana, in coincidenza con lo scontro tra Fellini e Berlusconi sulle interruzioni pubblicitarie dei film, spingono Kundera ad affermare che il cinema in quanto tecnica del rimbecillimento ha vinto sul cinema in quanto arte: «La svolta storica si era compiuta: in quanto eredi dei fratelli Lumière, gli orfani di Fellini non contavano più granché. L’Europa di Fellini era stata scalzata da un’Europa completamente diversa». Kundera si sente «orfano». Un anno prima, nel 1994, lo aveva già scritto nella prefazione a un libro di Fernando Arrabal. L’opera di uno dei suoi fratelli maggiori, infatti, non è più riconosciuta come una delle «vette» dell’arte europea. Il punto è che l’Europa, come aveva scritto nel 1987 in un altro articolo, citando oltre che Fellini, due padri del XX secolo, Kafka e Heidegger, non si riconosce più nella sua cultura. Che cos’è l’Europa che non si riconosce più nella sua cultura? Da almeno trent’anni, cioè da quella «svolta storica» avvenuta tra la fine degli anni Ottanta e gli inizi degli anni Novanta di cui scrive Kundera, una vera risposta non c’è. E nessuno, nel frattempo, ha mostrato un vero interesse a porsi la domanda.

 

 

Forse l’amore di Kundera per Fellini, e in particolare per la sua ultima produzione, nasce dalla convinzione del romanziere di aver percorso e di percorrere la stessa strada del regista, cioè quella di un «modernismo antimoderno»: un modernismo né nostalgico né apocalittico, ma semplicemente critico. Kundera vede, come in uno specchio, la sua opera riflettersi in quella di Fellini e in entrambe scorge la stessa assenza di armonia con il presente e la stessa mancanza di illusioni sulle capacità di giudizio di coloro che verranno dopo. Fellini e Kundera: due orfani del passato, perché non concepiscono un presente che rompe radicalmente con tutto ciò che è stato. E due orfani del futuro, soprattutto se il futuro coinciderà sempre più con quell’epoca «post-artistica» dominata dai «misomusi», i nemici dell’arte, in cui si potrà, attraverso un «ameno disprezzo derisorio», cancellare tutte le tracce dell’immaginazione moderna del XX secolo.

 

E l’amore di Fellini per Kundera? Qui il libro di Godano è molto prezioso. Godano, avendo frequentato a lungo il regista, ci riporta un giudizio di Fellini su Kundera di cui forse il grande pubblico non era a conoscenza. Nel 1990, durante la lavorazione del suo ultimo film, La voce della luna, Fellini manifesta, soprattutto dopo la lettura di L’insostenibile leggerezza dell’essere, la sua grande ammirazione per l’opera di Kundera: «il più grande scrittore europeo». Lo avrebbe voluto incontrare. Questo è certo. Sembra che ci fosse stato anche uno scambio epistolare che, purtroppo, non ha avuto la stessa sorte di quello del regista con Simenon. Del resto, Kundera non ha mai amato i diari d’autore e neppure i carteggi, tanto meno quelli tra scrittori. Ha spesso ripetuto con uno dei suoi maestri, Hermann Broch: «La conoscenza è tutto, la confessione è niente».

 

Tuttavia, al di là delle molte affinità esistenziali tra i due artisti, di cui Godano lascia traccia lungo tutto il libro, l’autore svela in modo intelligente il vero ponte estetico che unisce l’opera di Kundera e quella di Fellini: si tratta di Kafka. Kundera ha scritto diversi saggi su Kafka. Ma c’è un passaggio di I testamenti traditi in cui Kundera, definendo Brunelda «la perla erotica di America», fa intervenire il Fellini di L’Intervista mentre assiste ai provini delle candidate al ruolo del personaggio kafkiano. «La gioiosa esuberanza» che il regista mostra nel corso del casting è la «stessa – afferma Kundera – che prova Kafka» nell’immaginare la sua eroina: «Perché Kafka non ha sofferto per noi: si è divertito per noi!». L’interpretazione umoristica dell’opera kafkiana, a conferma della sintonia dei due artisti, la ritroviamo in un passaggio del Dizionario intimo (2019), riportato nel libro di Godano, in cui Fellini ricorda come la lettura da parte di Kafka di Il processo e di La metamorfosi mettesse di buon umore l’autore e i suoi amici. E aggiunge: «Ecco, credo che l’umorismo o quello che lo faceva ridere era proprio che la situazione terrificante dei suoi personaggi non era percepita, non era raccolta, non era avvertita dai personaggi stessi e questo era motivo di comicità, la comicità che c’è nei film di Chaplin». 

 

I due orfani del passato e del futuro Kundera e Fellini si ritrovano come due senzatetto sotto lo stesso ponte innalzato da Kafka nel segno dell’immaginazione e dell’umorismo, dell’irriverenza e dello sguardo antilirico sulla realtà. E, aggiungerei, nel segno di quella divina volgarità che, attraverso la «gioiosa esuberanza» dei volti e dei corpi felliniani e la devastata consapevolezza dei personaggi kunderiani di vivere in un mondo in cui nessuno scherzo è permesso, ci esorta a non rendere il nostro mondo «post-artistico» un deserto erotico.        

 

Peccato che i due non si siano incontrati. Ma Fellini, come scrive Godano, «era uno specialista degli incontri mancati». Meravigliosa definizione! Avrebbe voluto e potuto incontrare Woody Allen, Pablo Picasso, Bob Dylan, Tommaso Landolfi (il suo scrittore italiano preferito), José Saramago. Invece, all’ultimo momento, l’opportunità si dileguava, allo stesso modo in cui certi progetti cinematografici sempre all’orizzonte – come quello su America di Kafka – si arenavano davanti a invisibili frangiflutti. Del resto, Kundera non è tanto diverso. Durante un incontro parigino confessa alla coppia di amici italiani che se Kafka fosse apparso improvvisamente dall’altro mondo non avrebbe di certo avuto il coraggio di incontrarlo. Senso dei propri limiti? Concezione fanciullesca del tempo a disposizione? Terrore dei mass-media? Orrore di trasformarsi in VIP? Desiderio di non alterare la propria vita quotidiana? Timidezza? Pudore? Umiltà? O ancora, quel senso di inadeguatezza di essere a questo mondo, sigillo, se ce n’è uno, di coloro che al mondo ci sono capitati solo per crearne un altro?  

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