La nostalgia di Daniele Gorret

3 Agosto 2023

Ci sono autori la cui scrittura mostra il segno dell’inconfondibilità, che di solito è frutto di una interna coerenza e del radicamento del dettato in una visione del mondo. Uno di questi è secondo me Daniele Gorret, al quale, su queste pagine, Franca Alaimo e, più recentemente, Rinaldo Caddeo hanno dedicato articoli utili a scoprire un autore che senz’altro merita più attenzione critica di quanta, forse, ne abbia finora ricevuta. 

Gorret ha esordito nel 1984 come narratore (Sopra campagne e acque, Guanda) e Celati, che ricambiato lo apprezzava, lo inserì tra i suoi “narratori delle riserve”. Da allora, la bibliografia di Gorret è stata piuttosto ampia, tanto in prosa quanto in poesia. 

Della coerenza e del radicamento di cui parlavamo in apertura, fa parte la tendenza di Gorret a sviluppare in modo organico certi suoi temi chiave, declinandoli ora in poesia ora in prosa. Con l’avvertenza che la prosa di Gorret non è, né per tensione morale né stilistica, un “altro” rispetto alla sua poesia, come rivelano emblematicamente le poche pagine in prosa che introducono i versi di Reliquie, appena uscite (giugno 2023) nella Collezione di poesia Einaudi, che insieme al poemetto Della nostalgia, peQuod (maggio 2023), costituiscono le due significative novità di cui diremo. 

Ma, tornando all’organicità. Gorret ha dato vita ad alcuni eteronimi o quasi-eteronimi, uno dei quali, Anselmo Secòs, viene seguito lungo le stagioni della vita: dalle Malattie infantili di Anselmo Secòs, agli Errori giovanili di Anselmo Secòs, ai Disinganni senili di Anselmo Secòs, a Ciò che Anselmo Secòs portò da Parigi. È un “ciclo” che dà corpo all’idea, molto gorretiana, di una poesia che non è illuminazione che si accende a intermittenza, ma un’esperienza conoscitiva indissolubile dall’esistenza, anzi l’unico modo di vivere per i “nonfatti per la vita” (Della nostalgia, p.14).

Questa idea delle stagioni della vita struttura anche il poemetto Della nostalgia, articolato in cinque parti: Infante, Adolescente, Giovane, Maturo, Vecchio. 

Ma perché porre lo sdipanarsi della vita sotto il segno della “nostalgia”? “Nostalgia” di che cosa?

Nella poesia di Gorret uno dei temi cruciali è il tempo, il suo fluire ininterrotto, e, da parte degli esseri, l’esistere nel tempo, che implica anche la tensione di tutti (esseri umani ma per l’autore, animato da sensibilità creaturale, ciò sembra valere anche per gli animali, le piante) ad essere «attratt[i] da ciò che in quell’istante non sono» (p. 26). È una condizione di irrequietudine costante («Vibrazione è la ragione vera che muove: / da uno stato nell’altro, da un moto al contrario, / vibrare è il suo unico modo di stare; / di consistere stando in moto perenne, di fare» p. 28) e di ricerca: del passato quando è passato, del futuro che ancora non c’è, di morte e di vita («lei [nostalgia] ti dirà che sei tra il qui e l’altrove», p. 42).

Condizione che in un certo senso richiama Sant’Agostino (citato nel poemetto a proposito del tempo) quando nelle Confessioni diceva che solo il presente esisteva perché il passato e il futuro esistono solo nel presente mentale del soggetto che li pensa. Per l’io di questo poemetto, invece, il presente, che per la maggior parte degli uomini è la sola realtà, esiste per non essere vissuto con accettazione, per essere invece solo il punto d’equilibrio di un campo di forze; punto d’equilibrio precario, destinato a decadere come una di quelle particelle che negli acceleratori forse fanno mostra di esistere, ma per frazioni di tempo che è grande scoperta cogliere.

Ma l’incapacità di vivere il qui e ora è e non è un male, in quanto è solo questa tensione, che è poi la “nostalgia”, a rendere possibile la poesia: 

Concursio oppositorum: da giovane credevo
Fosse realtà estrema dei mistici cristiani;
ora so per certo che è forza tutt’interna
di nostalgia che muove e che sommuove:
l’animo umano e l’animo animale
vivono in lei seconda folle vita
(p. 56)

Poesia e nostalgia sono in fondo la stessa cosa, quel particolare tipo di sguardo che accoglie le cose mentre le vede trascorrere vertiginosamente: ritornare dal passato, volare verso il futuro, sempre sfuggenti e per questo bellissime:

,

ma sappi: il motore che muove 
è lo stesso: chi non avverte Poesia 
neppure può avvertir nostalgia 
e, lei non sentendo, non muove né è mosso:
solo la fionda che manda da presente a passato
e da questo nuovamente a presente
è possente, capace di provarsi su te
(p. 31)

E veniamo alla lingua poetica di Gorret, personalissima, mobile e non facile da incasellare. Gorret è poeta colto, anzi assai colto, traduttore di poeti e prosatori francesi e lettore di molti libri, tra i quali, riconoscibili per gli echi esibiti, di Leopardi e Petrarca. 

La tensione dello sguardo di cui abbiamo prima detto sembra trasferirsi alla lingua, che passa da un registro a volte pacatamente quotidiano, a passaggi che paiono quasi un elegante falsetto, a addensamenti infine che non saprei definire altrimenti che espressionisti, quasi reboriani, fatti di composti, di cumuli nominali («tu saresti dei nonfatti per la vita», p. 14; «indietro-dentro al ventre-abitazione / che ti fu antro, umido riparo / cibo, felicità, sostentamento», p. 11), di originali parasintetici («slontanarti», p. 12), di neoformazioni («Tutto invero pare provenire/ da urspazio profondo e urtempo sprofondato», p. 14). 

La tensione del linguaggio poetico, che si suppone Gorret voglia sempre distinguere da quello comune, si concretizza anche nel fitto tessuto retorico – quasi barocco – del testo, al livello tanto della costruzione – antitesi, anafore, ossimori – quanto del suono: allitterazioni, paronomasie, aequivocationes, specie nei passaggi più sostenuti, di tono biblico o visionario. Gli esempi sono sufficientemente numerosi perché il lettore li incontri quasi ad apertura di libro.  

Nell’ultima sezione di Della nostalgia, ricorre una situazione particolare: l’io narrante (o pensante), anziano, si sofferma su oggetti luoghi e circostanze che il tempo ha fatto diventare significative: «la macchina Lettera 22 dell’Olivetti; / con lei, undicenne [il soggetto del testo], aveva scritto i primi / sei capitoli di un libro avventuroso» (p. 61); o «il villaggio, / osservato e percorso da bambino», che però è mutato; o infine gli animali: «ci sono Puffi e Mao e c’è Bianchina e Liù», «la Lilla, / cagnetta bianca, amabile, gioiosa» (p. 64). 

 

Questa villoniana sfilata di cose e creature del passato è il tema dell’altro libro, Reliquie, che si intende, concettualmente, sullo sfondo della “nostalgia”, al punto quasi che lo si definirebbe un corollario (nella lingua d’oggi, ci perdoni Gorret, uno spin-off). Nella prosa lirica che introduce il volumetto einaudiano, si spiega che «Reliquia è figlia di Memoria», «ha corpo: corpo sottile capace di far anima» e anche: «Tutto ciò che ha forma peso e storia, tutto quanto è possibile Reliquia» (p. 3); «tutto ciò che nasce per morire, tutto è vita aspirante alla Reliquia! Per questo vedremo tra di loro i morti che giungono dai regni che Uomo per presunzione ha frammentato: legni, sassi, uccelli carte, mammiferi ed insetti, i più modesti oggetti e le parole: tutti – se morti e se sofferti – li troveremo esposti a devozione». 

La nostalgia di ciò che è trascorso ma che, come abbiamo visto, è anche sempre presente nel tempo multidirezionale di Gorret, trasforma le cose in “reliquie”. È reliquia il quaderno di scuola, il «passero a terra» (p. 9, forse una delle poesie più intense del libro, come spesso capita a Gorret quando rivolge lo sguardo agli animali; si veda anche la poesia “I peli di Ciccius”, p. 16), una pietra raccolta che spiega agli effimeri viventi come essa esista e resista, ma anche un disco che il nonno faceva suonare nelle grandi occasioni, la giacca di Anselmo, un quasi incomprensibile modo di dire di una signora Giorgetta e persino un concetto astratto, la «cortesia», anzi il suo pensiero, che «acquista grazie a tempo una sua forza / da divenire più simile all’acciaio che alla piuma»:

È questo il caso dell’infinita cortesia
Della signora Amalia Brat nata Costante
Che visse porta a porta con l’alloggio
Che allora nonna Angela abitava. […]
Questo ricordo d’Amalia Brat s’è fatto

con passare di anni e con svanire
di corpi d’esistenze d’argomenti –
una cosa soltanto con la cosa
che d’Amalia faceva la sostanza,
quintessenza d’Amalia: cortesia
(p. 50).

Come diceva l’autore nella prefazione, tutto ciò che ha forma peso e storia può diventare reliquia, quindi anche un’idea, purché sia stata viva: in qualcuno o per qualcuno. E in effetti ciascuna delle poesie di questo delizioso libretto racconta una storia che il lettore, estraneo, riesce tuttavia ad afferrare in ciò che ha di universale oltre il particolare.

È un epos familiare e minimo, a volte forse gozzaniano nelle atmosfere, ma forse più prossimo nell’ethos a quella costellazione di presenze fantasmatiche eppure vitali che popola le ultime raccolte montaliane: il cagnetto Galiffa, il Carubba con l’organino, Hannah Kahn scampata al forno crematorio, Celia la filippina, la Gina che onora solo i suoi morti che hanno “portato al pascolo i porcellini”. 

In Gorret, la nota dominante è comunque sempre la «devozione». Nel mondo poetico dell’autore si ha compassione dei vivi quando sono vivi e si deve avere devozione (rispetto, cura, pietas) dei morti o delle cose inanimate una volta che sono divenuti “reliquie”. Perché, ci dice Gorret, avere cura delle reliquie è un modo per «squarciare il muro / che [divide] Terra e paradiso» (p. 66): immaginare la propria immortalità in un universo in cui l’autore crede non esista immortalità.

Daniele Gorret, Della nostalgia, Pequod, 2023, Reliquie, Einaudi, 2023.

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