I Rencontres di Arles / Esistere, resistere, fotografare

11 Agosto 2019

Libuše Jarcovjáková  vive a Praga. Studia all’Accademia del cinema (FAMU), ma le sue immagini sono troppo eccentriche. Non riesce a trovare luoghi dove esporle. Le comunità di lavoratori marginalizzati, i bar degli omosessuali, gli amici e gli amori, che fotografa dal 1970, non si possono mostrare. Questo vale anche per sé, quando si ritrae nuda o si masturba. La Primavera di Praga è stata poco più di un’illusione, e la caduta del muro di Berlino, è molto distante. Praga è una prigione e la fotocamera è il solo mezzo per evadere. L’insostenibile leggerezza dell’essere, e l’incontenibile vitalità del corpo, invade anche le immagini della fotografa. Il pube dell’amica Eva sdraiata su un letto che afferra un bicchiere posato poco sopra gli slip abbassati, dalla serie Killing Summer (1984), è una sorta di manifesto programmatico. La fotografa entra con il proprio corpo dentro l’inquadratura. È sua la mano che abbassa gli slip all’amica. Corpo e sguardo coincidono. Lo sguardo tocca, afferra, interviene. Sesso e alcool  sono tra i pochi mezzi consentiti con cui opporsi a un potere repressivo che ha ridotto l’essere umano a un essere mutilato. L’ebbrezza e l’abbandono ne costituiscono la trama visiva. Se ne riempie lo sguardo della fotografa che è  allucinato come la luce del flash che  spara sui soggetti, e ne viene stravolto, come un corpo che si abbandona, allo stesso modo dei contorni sfocati e sgranati di molte delle sue immagini. “Ho potuto esprimermi con la fotografia come volevo, perché non avevo nulla da perdere in questo contesto di repressione”, racconta la Jarcovjáková. E le centinaia di foto nella sua mostra, persino troppe, lo testimoniano con una forza espressiva che avvolge tra le sue forme notturne e ambigue anche lo sguardo dello spettatore.  

 

Libuše Jarcovjáková, David, Prague, 1984. Courtesy of the artist.


Libuše Jarcovjáková, From the T-club series, Prague, 1980s. Courtesy of the artist.


La mostra Evokativ di Libuše Jarcovjáková è una delle tre che raccontano meglio questa edizione dei Rencontres, nella quale vengono celebrati i cinquant’anni dalla sua fondazione. Le altre, che fanno parte della sezione  Mon corps est une arme. Exister, résister, photographier  sono  Les libertés intérieures. Photographie Est-Allemande 1980-1989 e La Movida. Chronique d’une agitation 1978-1988.

L’incertezza, la mobilità, l’inquietante provvisorietà della sua storia sembra giungere anche a un’altra città: Berlino. Non ci sono dubbi. La Germania divisa diviene il segno visibile di una lacerazione che taglia la storia e l’Europa, e che rimane inciso sui corpi. Una città divisa è sinonimo di un’identità divisa. I sedici fotografi che vivono a Berlino Est incarnano questa frattura. Come è possibile esprimere la propria individualità in una società dove il singolare viene sacrificato al collettivo? Con la libertà interiore. Se il muro è impenetrabile, il corpo riesce comunque a insinuarvisi.  Le fotografie diventano la forma di un’arte struggente che assomiglia all’adolescenza per la sua mescolanza di artificio e ingenuità, sentimenti e intellettualismo intransigente, violenta contestazione e disarmante abbandono. Ognuno di loro cerca di sopravvivere a una città, la cui storia pare innaturalmente bloccata. Una delle reazioni, a questo senso di tempo immobile e immutabile si percepisce appieno nelle immagini di Tina Bara. In particolare nel film Lange Weile del 2016, composto da 400 immagini che testimoniano la sua vita e quella del gruppo di amici, dal 1983 al 1989. Lange Weile significa noia, letteralmente “lungo mentre”. Resistervi è una strategia. Significa resistere alla lentezza che il potere impone al tempo. Mostrare il corpo significa spezzare l’uniformità di un tempo monocorde e omologato. La noia, quindi, non è solo una presa di distanza da qualcosa a cui non si sente di appartenere, ma anche ciò che induce Tina Bara e gli altri fotografi a rientrare in sé, ad ascoltarsi, vedersi e trovare una possibile via di fuga. È un confine labile tra esterno e interno. Nelle sue immagini, l’immobilismo muta il suo segno. Sembra,  infatti, che in quella interminabile sequenza visiva  si possa vivere in anticipo il futuro. Le fotografie prefigurano dunque una vita che si spinge oltre il lungo istante di noia che hanno messo in scena. A Berlino Est si può vedere, udire e sentire la possibilità di un cambiamento.  

 

Gundula Schulze Eldowy, Berlin, 1987, from the Berlin on a dog's night series. Courtesy of the artist.


Gabriele Stötzer, Mirror reflexion, 1984. Courtesy of the artist.


I quattro fotografi della movida spagnola lo gridano. La Madrid degli anni Ottanta è un’esplosione di eccitazione e vitalismo. Franco muore nel 1975, ma la dittatura sembra porsi a una distanza siderale. La reazione è potentissima. “Là  dove tre persone dividono la voglia di fare qualcosa insieme, c’è una movida”, afferma il fotografo Pablo Pérez-Minguez. I  corpi  fotografati sono compiaciuti, gaudenti, androgini, autosufficienti, esuberanti. Le fotografie esprimono una presenza e una disponibilità assolute. Sono insieme eccesso e perfezione. Il corpo si affida completamente all’immagine. 

 

Alberto García-Alix, Eduardo y Lirio, 1980. Avec l’aimable autorisation de l’artiste et VEGAP. (Exposition La Movida).


Miguel Trillo, El Calderón, Concert des Rolling Stones. Madrid, 1982. Avec l’aimable autorisation de l’artiste et de VEGAP (Exposition La Movida). 

 

La fotografia  è un accumulo di tensioni, idee, esperienze. In esse si ribalta completamente l’idea per cui niente sembra interessante quando ti appartiene. Qui è tutto interessante, perché è tutto posseduto. Vita, musica, corpi esibiti, travestimenti: tutto è mobile. Il volto di Pedro Almodóvar, truccato da donna, con il petto villoso, simboleggia una libertà riconquistata e vissuta pienamente. Ma l’essenza della movida sta tutta nelle immagini di Ouka Leele, pseudonimo di Barbara Allende Gil de Biedma. Le sue fotografie sono coloratissime, vivaci, ironiche. Sono parodie. L’immagine di una donna che tiene fra le labbra una cannuccia, in capo un’immensa aureola di limoni, è l’icona dei Rencontres. Tutto è assimilabile al sogno. Mystique Domestisque è il titolo della sua mostra. La libertà interiore è straripata oltre l’immagine. Ed il corpo l’ha rivendicata, come un desiderio che per lungo tempo ha dovuto celarsi. 

 

Mostre:  

1 giugno – 22 settembre 2019 (https://www.rencontres-arles.com/) direttore Sam Stourdzé

Evokativ di Libuše Jarcovjáková, a cura di Lucie Černá

Les libertés intérieures. Photographie Est-Allemande 1980-1989 a cura di Sonia Voss

La Movida. Chronique d’une agitation 1978-1988 a cura di Antoine de Beaupré, Pepe Font de Mora, Irene de Mendoza.

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