Est. Białystok, Polonia nordorientale
Nel 40esimo anniversario dall’accordo sul libero movimento tra paesi europei Gianni Dubbini Venier viaggia sulla frontiera Est di Schengen. L’itinerario avviene lungo quella che viene definita la “Nuova Cortina di Ferro”: la linea di confine sempre più militarizzata tra i paesi Schengen, la Federazione Russa e la Bielorussia – due autocrazie – ma anche l’Ucraina, un paese attualmente in guerra. Questo viaggio si svolge tra Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovacchia, Ungheria e Romania: per almeno 3.000 km tra bracci di mare, autostrade, strade sterrate, stazioni ferroviarie, montagne, colline, pianure sconfinate, da una sponda all’altra di due mari: il Mar Baltico e il Mar Nero.
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Alle otto in punto di mattina sono a bordo di un taxi dal centro in direzione Est. L’autista si chiama Marcin che in italiano sarebbe Martino. È un armadio a due ante con i capelli corti a spazzola. Sul naso inforca dei Ray-Ban scuri da aviatore e i bicipiti gonfiano una t-shirt rosso fiammante di Tommy Hilfiger. Dopo il traffico della periferia di Białystok – sono i primi giorni di riapertura delle scuole qui come in Lituania –, la strada diventa scorrevole. Usciti dalla città, la carreggiata si trasforma in una sorta di tunnel verde di alberi che taglia in due la foresta. Oltrepassiamo un incrocio con quattro sparute case, spalmate sul ciglio della strada. Proprio lì la mia mente si estranea in una sorta di torpore: rivedo infatti la scena di questa mattina in hotel, quando spiego a una receptionista assonnata di essere uno scrittore italiano, di voler vedere il confine con la Bielorussia e di essere in cerca di un autista che mi ci porti.
- “Border? ”
- “Yes, Border…”
“Border Closed, Sir”, mi risponde con il suo forte accento polacco. Cosa vera, perché è stato chiuso di recente viste le tensioni NATO-Russia nei vari confini UE, dall’Estonia in giù. La Polonia e la Lituania hanno scelto di chiudere i valichi di fontiera con la Bielorussia, primo alleato di Putin in Europa. Fortunatamente, ieri sera, un’altra receptionista che parlava perfettamente inglese mi aveva già trovato le tariffe in złoty (la moneta polacca, dato che in Polonia non c’è l’euro), e io avevo infatti il foglietto pronto. Ho detto alla ragazza di oggi di avere delle scadenze di consegna di quello a cui sto lavorando, cosa che ha funzionato perché solo allora si è messa a fare le telefonate utili a tal proposito e non più a cercare di dissuadermi dal fare quello che dovevo fare. E così è saltato fuori Marcin con il suo taxi.
A guardarlo bene il suo braccio destro deve essere grande due volte il mio. Può essere una buona cosa in caso di improvvise difficoltà causate da fattori esterni, tipo venire alle mani contro aggressori ignoti. Se Marcin è dalla mia parte, quindi, visto che l’ho incaricato di portarmi per un bel po’ di słoty fino alle recinzioni di confine con la Bielorussia. Sarebbe invece un grosso guaio nel caso dovesse rivoltarsi contro di me. Le mie esperienze con i taxisti in giro per il mondo sono state piuttosto contrastanti: una volta in Turchia ho rischiato di prenderle sonoramente per un litigio banale sulla puntualità. Un’altra volta – la più pericolosa di tutte – è successa la stessa cosa per una discussione di politica in cui tessevo le lodi storiche di Mustafa Kemal Atatürk a un suo detrattore che chiaramente non era un fan del padre fondatore della Turchia moderna. Mi capita di avere con i taxisti delle conversazioni aggressive sul quotidiano a Milano o a Roma. Mi è anche successo di trovare una gentilezza sconcertante nelle città dell’Iran centrale o in mezzo a un traffico e a uno smog terrificanti a Giava, Indonesia, tra un mezzo attacco d’asma e l’altro. Faccio sempre e comunque due chiacchiere. A volte va bene, qualche rara volta va male. Restano dei testimoni di strada importanti quando si viaggia.
Nel caso improbabile che Marcin si rivolti contro di me potrei probabilmente cavarmela solo fuggendo di corsa. Per correre però dove? Nel bel mezzo delle foreste della zona di confine tra Polonia e Bielorussia, zone boschive popolate da lupi, bisonti europei, linci e orsi? In queste terre selvagge molti migranti costretti negli ultimi anni dai ricatti del dittatore bielorusso Lukashenko si sono persi. Alcuni di loro sono morti per il freddo e per gli stenti nella selva, non riuscendo più a ritrovare la strada verso la civiltà, sempre che di questa ancora si tratti. Sono stati rinvenuti vari resti umani nella foresta.
Se le frontiere dell’Europa sono oggi irrimediabilmente segnate dalla sofferenza umana, in questi luoghi di confine, gli scontri e le crisi hanno sempre fatto parte integrante della loro storia. Un tempo dominii del Gran Ducato di Lituania e Polonia, come ha scritto lo storico dell’arte inglese Simon Schama nel suo importante studio Paesaggio e Memoria, queste regioni sono state spesso teatro di violenze; partendo dai primi regni lituani, passando per i cavalieri teutonici medievali, fino ad arrivare al “Secolo Breve”. Sul finire degli anni ‘30 il maresciallo del Terzo Reich Hermann Göring veniva a caccia nella qui vicina Białowieża, oggi importante parco naturale. Nei primi anni ’40, i nazisti sarebbero passati con un macabro spillover dalla caccia della fauna a quella degli umani. Le SS misero in atto terribili massacri trucidando centinaia di ebrei e dissidenti proprio in queste zone boschive. Anche la polizia sovietica NKVD portò a termine la sua feroce repressione in queste selve. Con la copertura della fitta boscaglia, in quegli anni, le foreste tra Polonia e Bielorussia divennero allo stesso tempo un importante centro operativo per la resistenza polacca. Descrivendo le silvae dei confini nord-orientali del Vecchio Continente, invece, il premio Nobel per la letteratura Czesław Miłosz, nel suo classico La mia Europa, ci ha raccontato in pagine memorabili, testimoni di un’innocenza perduta, lo stupore e la meraviglia di un gruppo di studenti in viaggio per i grandi luoghi selvaggi tra Lituania e Polonia. Ma se i tempi del Novecento di Miłosz furono certamente tragici, – e l’autore ne sarebbe stato coinvolto in prima persona –, lo furono sicuramente in maniera diversa rispetto a quelli delle crisi odierne.
In anni recenti infatti, ovvero dall’Agosto 2021 in poi, il governo della Bielorussia ha iniziato a sfruttare la crisi migratoria globale e a incoraggiare e sponsorizzare un massiccio afflusso di migranti, provenienti principalmente dal Medio Oriente e dal Nord Africa, spingendoli verso i confini boscosi delle nazioni UE: la Lituania, la Lettonia, ma soprattutto la Polonia. Sebbene Lukashenko abbia negato il proprio coinvolgimento, la UE ha considerato queste azioni alla stregua di guerra ibrida ancora in corso, nonostante le denunce e gli appelli degli attivisti, delle organizzazioni umanitarie e degli stessi stati dell’Unione.
Sempre alla guida, Marcin mi fa vedere la foto della sua famiglia sullo schermo di uno smarphone grande quasi come un televisore: tre figli e una moglie. In un’altra foto, il più piccolo dei figli sta indossando una tunica da cresima cattolica, piuttosto simile a quella che avevo indossato io a Venezia a San Marco alla sua età quando adempietti alla medesima funzione religiosa accompagnato da mio nonno.
Marcin mi porterà esattamente nello stesso luogo sulla linea di confine dove si è svolta ieri la visita di stato di Ursula von der Leyden con un dispiegamento enorme di mezzi e forze di sicurezza: Ozierany Małe. Nei pressi di questa località, di fronte alla barriera antimigiranti con la Bielorussia, la presidente della commissione europea ha incontrato il premier polacco Donald Tusk, per poi salire a bordo del famigerato aereo per la Bulgaria e subire quello che molto probabilmente è stato un cyber attacco russo. Sto andando quindi verso il famoso muro con la Bielorussia: la controversa barriera antimigranti della Fortezza Europa. La situazione è ancora tesa. Non so bene cosa aspettarmi durante questa visita in una delle zone di confine più problematiche di tutte quelle viste finora per questo viaggio sulla frontiera orientale di Schengen: mattinata dunque piuttosto cruciale e delicata.
Marcin mette sullo stereo una selezione di musica polacca, che dura però poco e, senza che gliel’avessi chiesto, si trasforma in una playlist italiana che esordisce con Albano e Romina Power. Mi confessa di non essere mai stato in Italia. Presto scopro che lui non è nemmeno della zona, bensì di Katowice. Dopo aver servito per otto anni da soldato di fanteria a Białystok e a Varsavia, ha deciso di trasferirsi qui assieme alla famiglia. “Varsavia è cara! Città grande! Confusione!“, esclama gesticolando sul volante. “Qui va bene”. Mi faccio poi insegnare qualche parola di polacco. Gli dico che il suo nome in italiano è Martino, come San Martino, il santo che donò il mantello al povero; aggiungo poi che nella mia Venezia San Martino è un santo molto amato, al che lui appare tutto contento.
Un anziano con i baffi e i capelli bianchi a caschetto attraversa la strada spuntando dal bel mezzo del nulla della boscaglia. Lo fa con una calma sconcertante. Ci guarda incuriosito, sorpreso di vedere un taxi cittadino proprio da quelle parti. È una campagna collinare dai clivi ondulati e boscosi. Alcuni di loro sono stati trasformati in coltivazioni. L’espandersi della foresta viene qui contenuto molto bene da grossi macchinari agricoli e da enormi bulldozer che si occupano della conservazione dei terreni adiacenti al manto stradale. La strada è ora ombreggiata dai salici. Da una parte vedo campi di mais, dall’altra, un’ampia radura arsa dal sole costellata di grandi balle di fieno. Fa caldo, si va verso i trenta gradi che però si fanno sentire, nonostante sia ancora mattina. Marcin continua a sfrecciare. La musica ora è dance anni ‘90: Don’t talk, just kiss. Per quanto riguarda le scelte musicali la radio polacca ricorda molto quella italiana, forse perché sono entrambi due paesi cattolici. Controllo con il telefono la nostra posizione per capire dove siamo, visto che dovremmo ormai esserci quasi. C’è però poco campo e il tondino azzurro della posizione Google Maps fa fatica a comparire. Marcin me lo anticipa con il suo inglese maccheronico: “We are now in border zone, soon Ozierany Małe”. Ha chiuso la musica e in macchina ora vige il silenzio. Proseguiamo. Ora la strada è diventata semi-sterrata e lui sbaglia direzione un paio di volte. Non sembra sapere bene dove sta andando. Nel frattempo, sul cellulare mi arriva un SMS dalla mia compagnia telefonica italiana che annuncia: “Benvenuto in Bielorussia”. Sono in realtà ancora dentro i confini di stato polacchi e intendo restarci: quello che sto facendo in Bielorussia comporterebbe un arresto sicuro, forse seguito da un caso diplomatico (ma dipende da quanto la mia sorte possa interessare alle autorità italiane).
Siamo molto vicini. A un certo punto con la coda nell’occhio intravedo la linea di confine, ma è ancora troppo lontana e vaga da poter distinguerla bene. Marcin parcheggia in una piazzola sterrata su un’altura nei pressi di un recinto con le croci ortodosse. Una delle lapidi sormontata da una croce dorata risale al 1928 e ci parla da lontano con le sue scritte in cirillico: “Con la potenza della tua croce preserva questo villaggio”. Una volta sceso dalla macchina, Marcin si accende una sigaretta. Sembra piuttosto nervoso, cosa che non mi fa per nulla piacere, soprattutto da un ex militare. Dice di non essere mai stato in questa zona. Dopodiché mi indica con un cenno qualcosa di lontano.
In copertina, Mappa dell'itinerario di Gianni Dubbini Venier tra Estonia e Polonia, attraverso il corridoio di Suwałki.
CONTINUA…