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Protezione / La nostalgia dello stato

1 Maggio 2020

Quando a scuola si studiano le epoche passate, impariamo ad articolare certi snodi nella storia dell’umanità attraverso le guerre, le pesti, le rivoluzioni. Sono i capitoli dei manuali; dove siete arrivati? Alla rivoluzione francese oppure alla seconda guerra mondiale. Tendiamo ad ancorare lì i mutamenti. 

Anche per questo strano allenamento, perché ovviamente c’è vita e società anche dove e quando non c’è guerra o peste, cioè per la maggior parte del tempo, ci si aspettano dei significati importanti dalla pandemia del virus corona che in questi mesi attraversa il mondo. Immaginiamo che si possa dire prima e dopo, riallineare qualcosa che appare sfuocato da molto tempo. Ma cosa? E soprattutto: cosa stiamo chiedendo davvero? Perché vorremmo che le morti, la clausura di questi mesi, avessero un significato?

Certamente la violenza verbale, razzista e in generale intimidatoria, delle destre, e la resistenza delle sinistre nel mondo, da diversi anni in Europa purtroppo spesso mite e confusa, tendono da una parte e dall’altra a sfumare in una dabbenaggine pre-elettorale. La comunicazione politica, assordante nella sua afasia, pare girare intorno a qualche punto percentuale che va su o giù, e che promette per le prossime elezioni un qualche cambiamento. Viviamo in una eterna campagna elettorale, arringati dalle prime pagine di quotidiani, notiziari, social, dove da un aumento salariale per una categoria alla fine del pianeta tutto viene reso vagamente insensato.  Forse è a questo che vorremmo dare senso?

 

Non so se sia giusto chiamare politica questa logorrea che è di tutti noi, non solo dei politici. Non ci sono per fortuna né Hitler né Lenin alla porta, piuttosto, e non solo in Italia, un vasto ventaglio di opinioni che si incarna perfettamente nel memorabile video che catturò l’invito dell’onorevole Antonio Razzi in parlamento, a fare i propri privatissimi interessi. Peccato, in parlamento si sono combattute battaglie importanti, oggi quando un leader propone una scissione o un ricongiungimento, chi non è direttamente coinvolto in quelle manovre non riesce a non pensare che si tratti di una vicenda che, alla Razzi appunto, porterà qualche vantaggio personale. Si fatica a distinguere vere opposizioni ideali, culturali, un po’ come in una classe di scuola dove sì, ci sono quelli di destra e quelli di sinistra, i più ricchi e i più poveri, ma alla pizza di classe di fine anno verranno quasi tutti. Torna in mente la magnifica osservazione di Montesquieu sui nostri legislatori, creature incompetenti messe lì dal caso! 

 

Questo non è affatto un guaio solo italiano. Nonostante le differenze, sembra anche questa una condizione planetaria dove diventa sempre più difficile distinguere tra regimi monopartitici, come quello russo o cinese, o democratici, dove in realtà gli schieramenti si riducono in buona sostanza a due, perché sia quelli che avremmo una volta chiamato dittatoriali che quelli democratici sono sempre più gestiti da interessi economici e geopolitici che sono sopra la politica. Le Brigate Rosse avevano immaginato che questo sopravvento avesse una cabina di comando, un cuore dello stato, il SIM, mantenendo l’illusione marxista che la tendenza monopolista del capitale portasse a un potere identificabile. In realtà, nonostante ci siano individui straordinariamente ricchi, il problema è la profonda anarchia di un sistema che dalla Cina agli USA si basa sul consenso degli operatori finanziari. Il petrolio, le informazioni, la politica dipendono come mai prima da effetti finanziari sui mercati che sono ingestibili. Questa è la pandemia. Cerchiamo come un gregge che sfugge a un predatore di ammassarci, di chiedere alla politica di darci istruzioni su quando uscire di casa, come lavorare, e la politica risponde attraverso gli esperti scientifici il cui compito è suggerire di stare a casa, non di dare senso a quel che accade. Leggiamo quello che di tanto in tanto qualcuno come me prova a dire, ma non esiste una categoria di intellettuali che potrebbe dare risposte. Persino il papa ha raccomandato di non andarle a cercare in un castigo di Dio, come si è spesso fatto in passato di fronte a sciagure analoghe.

 

Una delle cose che le reazioni dei diversi stati mostrano, è quanto si somiglino e come nel raccontare quel che ci accade ci sia un continuo guardarsi, persino aiutarsi dove è possibile, perché la pandemia ci mostra che siamo tutti nella stessa barca. E tutti vorremmo che quel che accade avesse un senso. Così ci aspettiamo impazientemente dal virus corona un segnale di vitalità del nostro stato, o piuttosto della società e del loro rapporto con lo stato. 

Il patto che secondo Hobbes si stabilisce con il sovrano, e lo fa un’Inghilterra stremata da pestilenze e guerre civili, ci fa paradossalmente desiderare che chi ci dice cosa fare, se uscire o non uscire, e quando, sappia improvvisamente agire per il bene comune. Io autorizzo e cedo il mio diritto di governare me stesso a quest'uomo o a questa assemblea di uomini, a questa condizione, che tu gli ceda il tuo diritto, e autorizzi tutte le sue azioni in maniera simile. Fatto ciò, la moltitudine così unita in una persona viene chiamata uno stato, in latino civitas.

 

Opera di Molly Bounds.


Potessimo fare un patto di questo genere. E con chi? A quale stato vorremmo chiederlo? All’Italia? All’Europa? Al mondo? Il male è una pandemia mondiale, mentre i sistemi sanitari sono nazionali e inadeguati. Ma dove sono i confini della vita che ci interessa? Con una certa indifferenza/compassione, seguiamo o non seguiamo le guerre sparpagliate in giro per il pianeta. 500.000 morti in Siria, con un terzo della popolazione a cui è stata distrutta la casa. Chissà quanti in Yemen, o Afghanistan, e quante sono le guerre nel mondo? Improvvisamente questi margini non significano più nulla, i virus viaggiano senza passaporto e non sono arrivati con i rifugiati, che hanno rappresentato per tutti noi l’insorgenza di una parte più sfortunata di noi, pensiero molto comodo perché consentono la carità pelosa, rimboccarsi nelle nostre abitudini e convenzioni pensando che in fondo stiamo meglio di altri.  I virus possono invece prendere un passaggio in un viaggio aereo da un manager di un’industria o di un gruppo finanziario, anzi più probabilmente da loro che non da un barcone che arriva dal deserto. Si ammalano, anche se meno, i ricchi e i potenti. Sebbene restino i poveri ad essere i più vulnerabili, può toccare anche a primi ministri che fino a pochi giorni prima hanno incoraggiato e sorriso alla popolazione invitandoli a non drammatizzare, può capitare la terapia intensiva. Vedere Johnson scomparire in ospedale avrà mandato qualche brivido per la schiena anche a chi è abituato a pensare che i guai, se la casa è di tua proprietà e hai un buono stipendio, siano sempre degli altri. Di poveretti che non vedi, che ti immagini lontani. Anche la morte in fondo sono affari loro, o magari di qualche ospizio o ospedale.

 

Forse, come l’Inghilterra di Hobbes, vorremmo un patto con un governo mondiale in grado di gestire questa fatalissima deriva, i conti quotidiani di deceduti che sono improvvisamente diventati visibili proprio perché i corpi sparivano in fosse comuni, perché nessun filtro riesce a farceli sentire davvero altri. Forse non succederà nulla, torneremo al carosello di comizi tenuti da improvvisatori che non hanno spesso neppure finito gli studi e alzano la voce pur senza aver molto da dire. Stiamo a vedere e speriamo che il prezzo della guarigione non sia più alto di quello della pandemia perché le scelte determinate dalla paura, dopo le guerre e le pesti, nelle loro richieste di senso e colpevoli hanno una tendenza ad attribuire sempre troppo potere a chi promette di proteggerci. E dalla morte, nessuno può farlo.

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