Sangue amaro / Valerio Magrelli, i nervi a particelle

4 Luglio 2019

Un amico comune, che lo conosce bene, sostiene che Valerio Magrelli da un pezzo sia entrato nella sua “fase Cossiga”. Chi non ricorda lo switch misterioso (e, si favoleggiava, chimicamente indotto) per cui a un certo punto del settennato al Quirinale, sino ad allora come da tradizione sonnacchioso, il già mite (in apparenza) e taciturno servitore dello Stato, proveniente dalla mite (in apparenza) e taciturna Sardegna, di punto in bianco si trasformò, à la Mr Hyde, nell’icona scatenata del Picconatore? Come la Diva all’avvento del Sonoro il già-taciturno, troppo a lungo compresso, Esternava: Cossiga talks. Gli storici sostengono che fu quella, da noi (l’originale, per una volta, non l’avevamo brevettato noi: ma la California di Ronald Reagan), l’epifania del Potere che si presenta (e si giustifica) come Sovversore. Non c’è bisogno di aggiornare il paradigma al nefasto panorama politico di oggi. 

 

Un non meno misterioso reagente deve aver operato una simile trasvalutazione di tutti i valori (per dirla col Filosofo del Martello) nell’autore mitissimo, capelli rossi e occhiali dalle lenti spesse, che a vent’anni esordisce sotto le candide insegne di una poesia filosofica e parnassiana, splendidamente autotelica, immune e catafratta rispetto al mondo circostante. Quarant’anni dopo – sebbene non se ne diano per intesi critici illustri che lo stroncano senza più leggerlo, continuano a inveire contro un poeta astratto dalla Storia che è ormai figura, malgré eux, passata alla storia –, nessuno scrittore italiano più appare cambiato da se stesso.

 

Ora Magrelli è il poeta del Sangue amaro (come s’intitola la sua ultima raccolta, lo scorso autunno confluita nel collected cui l’autore ha dato il titolo eloquente Le cavie) che, viceversa, reagisce a Tutto (Il sangue amaro è un Vietnam di sezioni ed eserghi, dediche e invettive). Lo schiavo vessato – sin dall’infanzia di Roscio Perseguitato dal Branco dei coetanei – all’improvviso si Rivolta (l’allitterazione dei titoli di capitolo – «La Radiografia», «La Rivolta», «La Rapina», «La Raccomandata»… – può far pensare alla Violenza illustrata del compianto Nanni Balestrini). Ma più corretta, con ogni probabilità, è la diagnosi inversa: se il callido calligrafo di Ora serrata retinæ poteva presentarsi perfettamente Padrone di Sé («Io abito il mio cervello / come un tranquillo possidente le sue terre»), ora – voltata la clessidra, invertito il flusso sanguigno – ci si presenta perfettamente simmetrica la sua nuova icona di Schiavo di Tutto il Resto. (E provvede così a fornirci, pure, un Servizio Pubblico: come quello del Commissario Magrelli del suo ultimo, omonimo, delizioso poemetto).

 

 

Emblematico l’attacco del formidabile pamphlet appena uscito nell’«Arcipelago» Einaudi – dal titolo non solo scherzosamente allusivo: se Georges Perec non era solo l’ipernarratore della Vita, istruzioni per l’uso ma anche, segretamente, il meta-traumatizzato venuto a giorno solo col capolavoro W. –: in cui un Valerio steso in mutande su un lettino, in attesa della Radiografia, viene redarguito da un Medico che profitta della sua prossemica di soprutente infierendo sul Paziente, il succubico suo sottoposto («occhio alla prossemica come insieme di relazioni spaziali e comunicative, ma occhio soprattutto agli assi cartesiani, ascissa e ordinata: io steso, orizzontale, lui dritto, verticale»). Contrappasso perfetto dell’icona emblematica in cui lo raffigurava vent’anni fa il Nanni Moretti di Caro diario: che aveva presentato il Poeta – in camice da Medico, appunto – quale clinico imperturbabile di un mondo guasto.

 

Che Monsieur Teste si sia metamorfosato nel proprio inverso simmetrico, Monsieur Monde, Magrelli lo dice col gusto gnomico ed epigrammatico che è fra i suoi nuovi paraphernalia: «io, che di mondo trabocco e che dal mondo vengo giorno per giorno lesionato». All’autocrate Valerio d’antan succede il contrappasso di Valeriano: il primo imperatore romano catturato in battaglia, dal feroce re persiano Sapore che lo fece suo schiavo e, peggio, «panchetto»: per salire e scendere da cavallo «poggiando i piedi su quelle che un tempo erano state le fiere spalle di un senatore romano, calpestando l’onore e la dignità di un uomo-dio». Allegoria perfetta, questa, dei soprusi che tutti i giorni subiamo dalla Burocrazia (non solo quella pubblica, perché come insegna David Graeber oggi sono soprattutto le mega-corporation digitali, fornitori di servizi che paghiamo ogni secondo della nostra esistenza, a imporci il più feroce supplizio di scadenze che l’antropologo britannico, oggi fra i massimi esponenti del pensiero anarchico e libertario, chiama «burocratizzazione totale»), che vessa di multe e iper-multe «il cittadino costretto a fare il pony express di se stesso», previe file alle poste e in uffici che ci ricondurranno alle poste (Sisifo ci spiccia casa), trasformando la nostra vita in una Vicevita fatta di attese e adempimenti (fresca di stampa pure la riedizione, sempre einaudiana, di una prosa con questo titolo che, già dieci anni fa, lasciava presagire l’esplosione in Hulk del già-quieto poeta-professore angariato dalla micro-deportazione quotidiana del pendolarismo): «l’utente è un semi-uomo cui sono stati requisiti tempo e pensiero. La nostra autentica, impossibile vita, vive lontano da uffici e amministratori, è merce rara, spacciata di nascosto». 

 

Più in generale, idolo polemico di Magrelli è il nostro Prossimo per il quale non esiste Prossimo: i «tagliacode» peggio dei tagliagole, gli ammorbatori della quiete pubblica, i torturatori di infanti che meta-torturano gli astanti colle «urla ultrasoniche» dei medesimi infanti. (Spessissimo è l’orecchio, organo senziente del poeta, il rilevatore ultra-sensibile di questi ultra-disturbi sociali: il canarino nella miniera, il sismografo impazzito del Bradisisma chiamato Gli Altri.) L’oracolo manual di Magrelli si presenta in tutti i sensi light, ma non per caso invoca Kant e Lévinas: è un piccolo manifesto politico (e non del tutto rassicurante) quello che, seppure in toni paradossalmente swiftiani, propone di punire gli «alterprivi» con un braccialetto elettronico che commini loro scosse elettriche crescenti in misura della gravità dei propri asociali exploits

Un manifesto neo-marxiano, se quella per cui milita è a tutti gli effetti una nuova coscienza di classe, tale da aprire gli occhi sulla «“soprusale” essenza della burocrazia» (e, in generale, di quella parodia di vita sociale della quale, senza accorgercene, siamo stati fatti prigionieri): «ormai ci sembra logico accettare richieste che equivalgono a pure sopraffazioni. Siamo diventati addirittura incapaci di distinguere l’oltraggio. Da qui la necessità di una reazione: dobbiamo cominciare a riconoscere la prevaricazione, tornare a compitare quella grammatica dell’offesa che abbiamo tragicamente dimenticato». 

Ma a entusiasmare, prima di tutto, è il registro satirico che pare uscito, ormai, dalle penne più atrabiliari di Gadda: il riso irrefrenabile che suscita è il modo in cui partecipiamo della rivalsa sadica dell’«umiliato e offeso» che usa la scrittura come «strumento della rivendicazione contro gli oltraggi del destino e de’ suoi umani proietti: lo strumento, in assoluto, del riscatto e della vendetta».

 

Valerio Magrelli, Sopruso: istruzioni per l’uso, Einaudi, pp. 130, € 13

 

Una versione più breve di questo articolo è uscita su «Tuttolibri» l’8 giugno. 

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