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Moda, gender e spazi domestici

6 Giugno 2025

Fashion &Interiors. A Gendered Affair, allestita al Museo della moda di Anversa e curata da Romy Cockx, analizza le intersezioni tra moda e spazi domestici alla luce delle costruzioni di genere. All’ingresso, le opere di Patty Carroll — dalla serie Anonymous Women — e di Richard Malone accolgono il visitatore come immagini guida, introducendo i temi centrali della mostra. Il percorso espositivo vero e proprio inizia dalla seconda metà del diciannovesimo secolo, un periodo in cui queste due forme estetiche, l’abito e la casa, trovano una convergenza nel consolidamento del potere e della posizione sociale della nuova élite borghese. La donna di casa aveva un ruolo molto importante in questa rappresentazione – stava a lei di rendere visibile lo status della famiglia con il suo guardaroba e con l’arredamento della casa. Ci troviamo nell’epoca della cosiddetta “Grande rinuncia maschile”, teorizzata dallo psicologo John Carl Flügel: un momento cruciale in cui prende forma la netta separazione tra la sfera maschile e quella femminile che caratterizzerà a lungo la cultura borghese. All’uomo spetta il dominio del lavoro e dell’abbigliamento sobrio, funzionale e uniforme — completi scuri composti da giacca, gilet e pantaloni. Alla donna, invece, è riservata la sfera domestica e la spettacolarità dell’alta moda, con abiti sontuosi, ricchi di decorazioni, creati dai grandi couturier. Questi abiti non erano solo ornamento, ma simboli dello status sociale del marito, riflessi nell’arredamento della casa: cuscini decorativi, scialli di cashmere adagiati su divani di velluto, tessuti pregiati e mobili raffinati contribuivano a costruire una continuità visiva tra il corpo femminile e lo spazio domestico. Anche il corpo della donna era, suggerisce la mostra, appesantito da strati di tessuto e passamaneria, non solo fisicamente ma anche simbolicamente. Gli abiti, densi di ornamenti, decorazioni e imbottiture, non si limitavano a rivestire il corpo: lo inglobavano, lo mascheravano, lo disciplinavano. In questo processo, il corpo sembrava fondersi con l’ambiente domestico che lo circondava — tende, tappezzerie, mobili imbottiti — fino quasi a perdere la sua identità autonoma. L’interiorità della donna, sia come spazio fisico, sia come concetto psichico e culturale, si rifletteva e si confondeva con l’interno della casa, in un intreccio di materia e significato che rendeva il corpo femminile una sorta di estensione vivente dell’arredamento domestico. In questa sovrapposizione, la donna rischiava di scomparire, assorbita dall’ornamento.

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Ann Demeulemeester 1996.

Le donne, tuttavia, perlomeno alcune, hanno fatto eccezione a questa invece tutta femminile “rinuncia” alla vita sociale prevista dalla loro posizione entro la coppia borghese. Per esempio, Denise Poiret, moglie del couturier Paul Poiret, tra l’altro noto per aver abolito il busto femminile, ebbe un ruolo sostanziale nel lanciare il life style del marchio Poiret, e Jeanne Lanvin fu la prima couturière a rafforzare il suo marchio proprio con la decorazione di interni. In mostra ci sono molti pezzi storici – dagli esperimenti sull’abito razionalista, ai diversi interni progettati per gli atelier di moda, tra cui uno splendido mosaico realizzato nel 1904 dalla Wiener Werkstätte per la casa di moda delle Sorelle Flöge. Emilie Flöge, musa e compagna di Gustav Klimt, è presente in fotografie in cui indossa uno dei suoi “maxi dress”, creazioni di alta moda dedicate alle élite viennesi. Le sue idee furono riprese da Paul Poiret negli anni Venti del Novecento e anche Chiuri e Piccioli per Valentino le hanno reso omaggio in una collezione del 2015. L’atelier delle sorelle Flöge, arredato da Josef Hoffmann — esponente della Secessione viennese e loro amico — era un ambiente all’avanguardia: vi si trovavano specchi regolabili, sedie dalle forme geometriche, tavoli a scacchi bianchi e neri, e diverse armadiature, tra cui un grande armadio bianco con profili neri esposto in mostra. Una casa come opera d’arte totale era lo spirito dell’epoca. Questo era anche il desiderio dell’artista e pittore belga Henry van de Velde nel 1895. Ispirato dalla filosofia Arts and Crafts di William Morris, Van de Velde, insieme alla moglie Maria Sèthe, concepì l’intero ambiente della loro casa, Villa Bloemenwerf, fino alle posate. A fine Ottocento, tuttavia, c’era anche una certa rivalità tra l’architettura e la recente haute couture francese; van de Velde notava che gli abiti di sua moglie erano disegnati dai couturier francesi, e così cominciò a disegnare lui stesso gli abiti per Maria.

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Maison Martin Margiela, John Galliano per Maison Margiela, Viktor&Rolf, Marine Serre, Comme des Garçons.

Da sempre le mostre prodotte dal Momu, il museo della moda di Anversa, aperto nel 2002 e dal 2009 diretto da Kaat Debo, coniugano in modo esemplare la storia della moda con la sua antropologia, cioè con le considerazioni antropopoietiche del vestire, e con gli aspetti, spesso conflittuali, del nostro presente. Non potrebbe essere diversamente, essendo Anversa, con la sua Accademia e con il Museo, la città emblema delle innovazioni e delle sperimentazioni della moda, a partire dall’entrata in scena dei cosiddetti Antwerp Six, cioè dei sei stilisti della Royal Academy of Fine Arts – Dries Van Noten, Walter Van Beirendonck, Ann Demeulemeester, Dirk Bikkembergs, Dirk Van Saene e Marina Yee – che a metà anni Ottanta hanno impresso una svolta concettuale e filosofica al modo di concepire e di rappresentare la moda. Ed ecco che la mostra, infatti, ci porta non solo ad ammirare le donne che nei primi decenni del Novecento hanno collaborato, tra moda e interni, con gli architetti più noti al tempo, come nel caso di Lilly Reich con Mies van der Rohe, ma anche a riflettere sulle contraddizioni e sulle fragilità di un’idea occidentale di comfort domestico.

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Emilie Flöge c.1909.

Le sale del primo piano del museo, dove si snoda la mostra, sono curate in ogni dettaglio dallo studio di architettura Altu Space di Anversa — dalla luce alla musica. Gli ambienti si susseguono, ospitando esempi che arrivano fino a tempi più recenti. Come scrive nel catalogo (Fashion & Interiors, Hannibal 2025) la curatrice Romy Cockx, oggi non possiamo più, infatti, nasconderci dietro veli e tendaggi. Così sembrano suggerire le opere degli stilisti a noi più vicini che ci invitano a indossare all’aperto i nostri comfort domestici. Gli esempi sono molti: gli abiti-forniture – tavolini, sedie e poltrone, smontati e sfoderati che diventano capi di abbigliamento – di Hussein Chalayan (collezione Autunno-Inverno 2000-2001), lo stilista anglo-cipriota che per primo ha rivolto lo sguardo al tema dell’immigrazione e dei rifugiati; i cappotti-coperte disegnati da Martin Margiela e da Walter Van Beirendock (collezione Autunno-Inverno 1999-2000); la collezione del duo Viktor & Rolf (Autunno-Inverno 2005-2006) che unisce cuscini di raso ad abiti da sera, abbigliamento da notte e biancheria da letto; i corsetti maschili di Raf Simons che ha rovesciato, per la collezione con cui si è diplomato (collezione Corpo 1991), un elemento dell’arsenale feticista come il corsetto, trasformandolo in un razionale porta oggetti da uomo. Per la Corpo Collection, dedicata a mettere in relazione il design della moda con il design dell’arredamento, Raf Simons ha utilizzato sette mobili contenitori come accessori per esprimere l’idea centrale del rapporto tra l’interno del corpo umano e la sua struttura esterna.

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Raf Simons per Calvin Klein e Cassina 2018.

Una sezione particolarmente interessante della mostra è dedicata alla storia della Maison Guiette, unica opera realizzata da Le Corbusier in Belgio, costruita nel 1927 per l’artista di Anversa René Guiette. La stilista Anne Demeulemeester l’ha acquistata nel 1983, trasformandola nella propria casa e nel suo studio creativo. In mostra sono esposte fotografie e una maquette dell’edificio, una candida architettura modernista che ha ispirato profondamente il suo lavoro. Demeulemeester ha più volte dichiarato di aver tratto ispirazione dalla purezza delle linee, dalle proporzioni e dalla luce di quella dimora per la creazione delle sue collezioni. Al bianco “Ripolin” di Le Corbusier ha tratto ispirazione indirettamente Martin Margiela, aggiungendo alla purezza degli spazi e degli abiti un’idea di fragilità e provvisorietà del colore bianco. Le Corbusier, forse non è a tutti noto, aveva anche disegnato e inviato a Harper’s Bazaar nel 1952 una serie di abiti da donna, in un suo concetto di antimoda, ma la cosa non ebbe seguito.

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Le Corbousier, abiti da donna 1951.

In una sala conclusiva, un video proietta le fotografie delle dimore private di alcuni stilisti, tra cui quelle di Yves Laurent, Walter Van Beirendock, Faye Toogood, Rosita Missoni, Karl Lagerfeld e Alessandro Michele, a testimoniare l’intima parentela tra i due mondi – la moda e l’abitare – da sempre uniti da un comune desiderio di espressione, di bellezza, di protezione e, talvolta, di competizione.

Fashion &Interiors. A Gendred Affair, Momu Museum, Museo della moda di Anversa fino al 3 agosto 2025.

In copertina ©Richard Malone.

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