Il clandestino del Paradiso

12 Ottobre 2013

Era antipatico anche a me l’ailanto (Ailanthus altissima o glandulosa), introdotto in Europa dalla Cina qualche secolo fa. Rustico, vigoroso, rapido nella crescita e nel riprodursi per seme o per ricaccio di polloni, competitivo a tal punto da colonizzare vaste zone marginali e aree dismesse, sfruttare aiuole poco curate, fessure di muri e cortili.

 

 

Si impadronisce di radure e vallate spodestando la vegetazione originaria – come nel caso dell’isola di Montecristo – anche per allelopatia: radici, corteccia e foglie rilasciano molecole inibitorie della germinazione e dello sviluppo delle piante vicine. Insomma, un vero demonio! In barba al nome popolare di albero del Paradiso coniato in omaggio alla verticalità considerevole. Come se non bastasse, le glandole oleifere poste alla base delle lamine fogliari emanano un odore spiacevole. Persino i diversi nomi scientifici ribadiscono la disistima: Toxidodendron, Cacodendron.

 

 

Ma, come per la robinia, ho cambiato idea. D’improvviso, mi sono resa conto di essere disponibile con immigrati e abusivi d’ogni tipo, umani e animali, non con le piante aliene. Mi sono perciò liberata delle idee ricevute dai talebani dell’autoctono, dai difensori della purezza dell’ambiente vegetale. Un conto è liberare ontani soffocati dai rampicanti, un altro è mettersi a sradicare gli invasori: è guerra inutile, persa in partenza.

 

  

 

Tanto vale imparare a guardarlo con altri occhi, vederne gli aspetti positivi. E l’ailanto di qualità ne ha. È un bell’albero, dal portamento fiero, con lunghe ombrose foglie composite imparipennate, simili a felci; in estate sfoggia ciuffi penduli e persistenti di samare rosse, amabili più assai dei piccoli fiori giallini, raccolti in pannocchie.

 

  

 

Le sue radici espanse sono utili nel contenimento di pendii franosi e scarpate ferroviarie; il fusto dà legno duro e pieghevole, buona legna da ardere, ottimo carbone, pregevole cellulosa. Nella medicina naturale le essenze della corteccia erano usate per contrastare la dissenteria, mentre con le foglie tanniniche si conciavano pelli e si tingevano tessuti di un bel giallo vivo. Inoltre, l’ailanto ospita una grande farfalla notturna – la Samia Cinthya – produttrice di seta, seppur non eccelsa: d’inverno, si possono notare i bozzoli bruni assicurati ai rami spogli da lunghi peduncoli setosi.

 

 

Padrone del nostro paesaggio, l’ailanto si è conquistato lo sguardo e l’attenzione di un bravo poeta quale è Italo Testa. Dalla terza delle sue Strofe per ailanti (Luce d’ailanto, Marcos y Marcos 2010) il nostro congedo:


Ailanti, verdi muse,
voi germi di un’estate
che trabocca dai parchi,
versati nel costato
delle muraglie, ailanti,
lance bronzee
su strade spoglie,
arbusti intrusi
delle boscaglie
sempre in agguato
tra le siepi ordinate
celati, flessuosi
nei bei giardini,
coi rami agili
ailanti clandestini

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