Glass life / Sara Cwynar. Il piacere di essere sedotti dalle immagini

23 Marzo 2022

Nell’era della Pictures Generation la maggior parte delle persone ha numerose immagini nel proprio smartphone, circa 70.000 fotografie che vengono portate addosso ogni giorno, archiviate in una memoria che continuamente riceve o elimina altre immagini. A livello più esteso e collettivo, tutto viene ricontestualizzato, ripubblicato e ricapitolato circa ogni dieci secondi. Si prendono immagini dal mondo e viene dato loro un nuovo contesto. Ma il cambio di contesto il più delle volte sposta il significato iniziale verso altre derive, nella sempre modificabile era digitale dove tutti ormai stiamo dentro una compulsione condivisa. In questa dimensione emotiva innumerevoli archivi personali – costituiti da screenshot, foto e testi – rilasciano probabilmente informazioni preziose per chi vende questi dati alle società, alle industrie e alle caste del potere, da tempo insidiate nei giganteschi conglomerati tecnologici che ci inducono a pensare di dover documentare tutto. I gruppi di potere dell’industria e dell’economia attingono dati da questo immenso flusso di informazioni che si aggiorna continuamente.

 

Sara Cwynar, 141 pictures of Sophie, 2019, from glass life aperture 2021.


In Glass Life (2021) ha molto rilievo anche la presenza vocale. La voce maschile di Paul Cooper parla insieme a quella dell’artista. Le due voci cercano di dare corpo all'ambivalenza di molte questioni attuali e al tipo di linguaggio diffuso soprattutto in politica, nello specifico si cerca di comprendere il rapporto tra come si dice o racconta una cosa nei confronti del contenuto e il fatto che nessuno sia davvero mai sicuro di nulla: “Stavo pensando a come la politica e l'azione diventino parte dello stesso mondo dello shopping online. La linea di separazione tra loro sembra sempre più porosa. […] Sapevo fin dall'inizio che volevo lavorare con un personaggio nuotatore di TurboSquid, un'azienda che vende grafica 3D di serie. È questo bizzarro artefatto digitale che puoi acquistare per $ 150, che sta già scivolando dall'avanguardia della tecnologia delle immagini. Adoro il fatto che la figura abbia una sorta di potere e sembri forte, ma poi si rimpicciolisce in scala per nuotare attraverso centinaia di oggetti fluttuanti, una metafora redentrice di come ci si sente a navigare nel mondo visivo di oggi. L'immagine del nuotatore si ripete per formare un coro e un pubblico che guarda il film centrale. Questo insieme robotico di osservatori è difettoso e non del tutto corretto. L'installazione ha sei canali audio separati, quindi le voci dei nuotatori provengono dai propri schermi. Echeggiano, pappagallo e contraddicono la voce del narratore senza investimento o emozione”. 

 

Sara Cwynar, Still from film, 2016.


“Vita di vetro” è un termine coniato dalla scrittrice statunitense Shoshana Zuboff per descrivere come viviamo sotto costante sorveglianza, senza la privacy necessaria per costituire una difesa per proteggerci contro il mondo ambiguo delle immagini. Le nostre azioni vengono sempre monetizzate. La società dei consumi crea degli oggetti tecnologici seducenti, che all’inizio sembrano avere il pregio della comodità o di facilitare la vita quotidiana. La pubblicità fa in modo che questi oggetti divengano indispensabili, o almeno viene fatto credere che sia così, necessari per partecipare al progresso di moda.

Partendo da queste premesse, l’artista canadese Sara Cwynar cerca di comprendere ciò che i flussi di immagini portano in sé e come vengono assorbite dalle singole persone e dalle masse.

 

Dopo aver utilizzato il medium fotografico, ha iniziato a girare anche video per tenere il passo con il vasto flusso di informazioni, tipico dell'era digitale, per provare a catturare con altre estensioni mediali questo ritmo frenetico ed enigmatico. Ciò che ne deriva è preso dentro la sensazione che le immagini siano così tante, con molti significati e letture e interpretazioni, che diventa una impresa ardua comprendere tutti gli effetti che vengono messi in circolo. Dapprima ha provato a comprendere attraverso la creazione di una piattezza nelle immagini, nonostante queste andassero a costruire a volte anche forme scultoree, dentro la dualità tra l'oggetto e il suo doppio reso attraverso la fotografia, tra realtà fisica e riproduzione. Nelle immagini trovate e nei ritagli di riviste che vengono riutilizzati nell’opera, Cwynar enfatizza l'uso dei punti mezzatinta nella riproduzione della stampa. Questa scelta estetica specifica connota una datazione rispetto a forme di riproduzione del passato che la stampa digitale ad alta risoluzione sembra quasi eclissare. 

 

Flat Death (2014) prende in considerazione come la fotografia in un certo senso ci inganna, mentre le immagini di Tracy (2017) cercano di rendere visibili le dinamiche di potere che riguardano chi vediamo, piuttosto che a cosa guardiamo. 

In Tracy (Gold Circle), traspare molto di ciò che il design o la pubblicità metta in azione per cancellare il vero fatto della vita, ovvero la materialità quotidiana di noi che siamo nei corpi, cerca di rimuovere la consapevolezza che alla fine moriremo, e che lì ci sono molte cose spiacevoli legate all'essere umani: “La pubblicità cancella quel passare del tempo. Fa sembrare che tutto sia possibile se compri solo le cose giuste e sorvola sulla realtà dell'essere umano in favore di una visione più idealizzata del mondo” (Sara Cwynar's Contemporary Nostalgia. Kitsch and pleasure in the information age, interview by Gabriel Ritter, in Aperture, October 3, 2018).

 

Sara Cwynar, Tracy (gold circle), 2017.


Cwynar ha studiato molto l'industria della bellezza e soprattutto il modo in cui il colore è stato utilizzato per vendere i prodotti. C'è una lunga storia legata alla invenzione di nuovi colori per vendere sempre le stesse cose, attraverso la creazione di diverse apparenze. Nei suoi lavori cerca di far emergere i modi in cui il colore ha una politica (nel senso che viene veicolato dai sistemi di potere), il suo utilizzo come strumento per convincere o sedurre, e come spesso viene dimenticato. Il colore, l'industria della bellezza e il design, si attaccano davvero alla creazione di qualcosa che sembra mancare e quindi alla risoluzione del problema, come trovare una lacuna: “Come l'iPhone in oro rosa, per esempio. Nessuno aveva bisogno di un nuovo iPhone, ma hanno creato un vuoto e poi lo hanno riempito proponendo quel particolare oggetto con quell’aspetto. Ma non hanno inventato nulla, hanno solo cambiato il colore”.

 

Chi pensiamo di essere rispetto ai beni di consumo e quanto siamo fragili rispetto a essi? Mentre cerca di smantellare il contesto fotografico occidentale spesso idealizzato, kitsch o molto nostalgico, Cwynar evidenzia una presenza ambigua e la sua ambivalenza. Cerca di mostrare come funzionano le strategie di design e pubblicità, ma rende visibile a se stessa anche quel sopito desiderio di voler essere ancora sedotta, in qualche modo, nonostante tutto, dagli oggetti affascinanti insinuati dalla pubblicità del capitalismo consumistico. Per questo i suoi lavori contengono alcune delle qualità emotive seducenti che ha la pubblicità, e sono costruiti proprio su quel meccanismo, perché sia indotto un piacere nel guardarli. Parte del motivo per cui ha iniziato a fare video è che in un certo senso per lei è più facile lasciarsi sedurre dalle immagini in movimento rispetto a quelle fisse, perché operano in un registro più emotivo.

 

Dentro l’aspetto seducente delle opere c’è un po' dello stesso piacere che forse ci ha portato fuori strada a volte riguardo alle immagini. Queste presenze entrano ed escono nella messa in scena della ripresa: “Per i quadri di Tracy avevo fatto alla modella un sacco di ritratti e li avevo appesi alle pareti per molto tempo. Prendevo oggetti che avevo salvato e vedevo che tipo di connessioni si potevano fare. Per esempio, le foto di Tracy hanno tutte rappresentazioni storiche di donne, istantanee di donne vere e molti oggetti scartati, progettati in alta epoca modernista. Stavo pensando a un destino condiviso di queste rappresentazioni di donne e di questi oggetti, a come erano entrambi sbiaditi dalla vista o svalutati un po' quando li ho trovati: una connessione tra il modo in cui trattiamo gli oggetti e il modo in cui trattiamo gli umani” (Op. cit., tratta dall’intervista realizzata da Gabriel Ritter, in Aperture, 2018).

 

Sara Cwynar, Marilyn at the approach, Louis Vuitton, Jeff Koons, Da Vinci bag, 2020.


Quanto sono anacronistici i ritratti del periodo d'oro della pubblicità degli anni '50, che ritraggono solo certi tipi di persone in modi oggettivanti? Cosa significa ora, a distanza di decenni, vederne una versione ironica e rifatta?

Dopo aver lavorato con il medium fotografico, attraverso i lavori video Cwynar cerca di fare accedere i fruitori dentro a un tono emotivo o a una valenza più intensi rispetto a quanto si può provare guardando la fotografia. In più ci sono anche altri livelli testuali o la voce fuori campo. Inoltre si può far coagire un misto di parole di altre persone e le parole dell’artista. Far sentire i suoi pensieri attraverso la voce di un attore e, allo stesso tempo, stare lì nell’opera, quasi come un allenatore, per correggerli.

 

Le voci sovrapposte e le interruzioni costanti rompono ogni senso di narrativa coesa, che ricrea molto di ciò a cui si sta lavorando visivamente. È difficile avere quella ricchezza, quell'esperienza stratificata unicamente in un'immagine fotografica: “Leggevo e leggevo e poi facevo una fotografia, e così tanto di quello che avevo appreso si perdeva. Non penso necessariamente che sia una cosa negativa, ma il video ha sicuramente permesso al materiale originale di essere più presente. Allo stesso modo in cui userei una fotografia in un modo diverso da come è stata pensata, voglio pensare a come la teoria possa diventare kitsch o la teoria diventare questo modo facilmente digeribile di comprendere il mondo. In un certo senso, la teoria è un regno privilegiato a cui sembra davvero difficile accedere, o almeno a me lo è stato per molto tempo e in qualche modo lo è ancora, ma in realtà è solo un altro modo di riconfezionare e rappresentare il mondo, allo stesso modo le immagini lo fanno.

 

Volevo usarlo nello stesso modo in cui userei un'immagine. Per esempio, citerò male le persone, o userò qualcosa che Lacan ha detto in un modo che non era proprio quello che intendeva. So che fa impazzire la gente della teoria, ma penso che ci sia un potere in esso. È davvero soddisfacente usare le parole in modo simile alle immagini e avere una forma che può accogliere entrambe le cose, cosa che può succedere davvero solo in video. Il suono cambia anche l'aspetto di un'immagine. Avere questo tipo di voce di autorità didattica e maschile che ti dice qualcosa mentre guardi le immagini le cambia davvero. E poi entro e dico chi comanda davvero”.

Cerca di percorrere una linea sottile, tra cosa significa nostalgia e come funziona il design, e anche come percepiamo il futuro rispetto a come ripetiamo le stesse cose in forme leggermente diverse. C’è qualcosa di veramente contemporaneo in questo tipo di nostalgia? 

 

Sara Cwynar, Three hands, 2016, Digital c-print diptych.


In Flat Death si può scorgere il modo in cui le immagini si congelano in un bell'aspetto, ma che potrebbero sgretolarsi se si guarda più da vicino. Si tratta di una presa di coscienza della differenza fra vedere un dettaglio avvicinandosi o invece cosa cambia quando si guarda qualcosa da lontano, per esempio un cartellone pubblicitario visto a distanza. L’artista costruisce strutture di vetro sul pavimento del suo studio per fotografare gli oggetti e le immagini. Gli scatti o le riprese colgono i dettagli tra gli strati di vetro impilati sul pavimento dove entrano ed escono dall’inquadratura vari oggetti sfocati, a seconda di dove li ha posizionati sopra, tra o sotto, quei piani di vetro. Ha messo la fotocamera su un supporto da studio, in modo che la macchina da ripresa potesse essere a circa un metro e ottanta in aria, e ha fotografato attraverso gli strati di vetro e oggetti impilati. Questo crea un intenso effetto di stratificazione e cambia la messa a fuoco dei diversi oggetti. Aiuta a mettere gli elementi disparati (anche immagini prelevate dalla rete) in un'unica immagine.

 

Attraverso l'opera Glass Life (2021), Sara Cwynar esplora la cultura dell'immagine contemporanea, tra fasci di immagini sature ritagliate a mano intrecciati con centinaia di file estratti dalle memorie esterne dell'artista, ossessionata dal portare avanti idee attraverso il suo archivio personale e le sue ansie di essere rimossa dal mondo. I cambiamenti repentini nel registro emotivo sembrano molto aderenti al mondo in questo momento, ovvero allo scorrere di un flusso incessante di foto, selfie, emoji e video. Siamo in un surplus di figurazioni dentro una imagomorfosi continua. In questo flusso di innumerevoli immagini c’è anche però qualcosa di piacevole. L’artista cerca di definire un sé contro un'infinita marea di immagini e input, e provare a trovare ciò che è vero o reale, ma non essere in grado di aggrapparsi a qualsiasi cosa. È un caos interrotto da momenti di sollievo contemplativo. Ha creato un Rolodex di immagini che appare associato in modo casuale, ma accuratamente cronometrato. Le dita scorrono su Instagram e muovono innumerevoli immagini.

 

Sara Cwynar, Louis Vuitton, Jeff Koons, Rubens bag, 2020, from glass life aperture 2021.


Le mani tengono aperti i libri di storia. Kim Kardashian appare mentre si sente parlare di tulipani nell'Olanda del diciassettesimo secolo. Cwynar attacca una foto di scorta di un cobra alla parete del suo studio. La fotocamera ingrandisce i puntini di un giorno di una stampa vintage di una mela, un'illustrazione di Pinocchio e l'emoji sorridente del maiale. Un nuotatore si tuffa tra le immagini fluttuanti. Voci rassicuranti citano un saggio del 2011 sui social media: "Dobbiamo guardare noi stessi diventare noi stessi per essere noi stessi, ancora e ancora". In Glass Life, Cwynar fa in modo che lo spettatore abbia la sensazione di raggiungere gli oggetti visibili ma in realtà questi continuano a volare via. In forma di metafora, questi oggetti non sono necessariamente cose che vorremmo nella vita reale. Abbiamo l'impulso di continuare a raggiungere qualcosa e a guardare. Si tratta di un desiderio del desiderare, un desiderio senza oggetto, come direbbe Simone Weil. Le persone provano piacere nell’atto del trovare associazioni e mentre tentano di interpretare le questioni enigmatiche, così si ha la sensazione di sentirsi connessi con il mondo e di procedere con un certo ottimismo in un momento che potrebbe non necessariamente generare fiducia nel futuro.

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