Viaggio nella città dei selfie / Seoul la capitale della performance

31 Maggio 2016

È stato splendido riscoprire, dopo qualche anno d’assenza, il cuore pulsante di una città che rappresenta il modello di sviluppo più “smart” e vivibile nel far east asiatico. A Seoul tutto si muove, fisicamente e culturalmente. A partire da una logistica super-efficiente, che è precondizione allo sviluppo delle altre forme di consumo. La sua estensione territoriale e demografica non ha nulla a che vedere con gli scenari distopici suggeriti da altre megalopoli come Shanghai e Bangkok. Anzi, la qualità della vita qui è molto elevata: si respira aria pulita e si mangia anche a buon prezzo cibo delizioso. Questo modello alternativo di sviluppo non è meramente economico e tecnologico, ma squisitamente culturale.

 

Certo, la città in questo segue il Giappone degli anni ottanta-novanta, quando il Sol Levante seppe rilanciare su scala globale la sua tradizione invidiabile ma anche nuove tendenze, grazie all’opera di personaggi talentuosi (come Miyake o Kawakubo Rei) e modelli organizzativi/industriali rivoluzionari. Mentre la Corea del Sud invece si sta imponendo sempre più nel contesto regionale asiatico, ma anche mondiale, grazie a un principio più democratico e a un modello più diffuso di produzione culturale che al centro pone il valore della performance. Nella sede della casa di produzione CJ E&M center è esposta un’istallazione molto significativa di quello che è il peso sociale attribuito alla cultura in generale e alla pop-culture da queste parti.

 

 

Ne è un esempio il patchwork di tecnologie obsolete ispirato ai principi dell’archeologia dei media, tra cui spiccano due scritte: culturenomics (al posto delle più usurate wikinomics e folknomics), e la mcluhaniana “medium is the message”. McLuhan è centrale in questo discorso non solo per via del grande rispetto che Nam June Paik nutriva nei suoi confronti (di lui disse “il solo problema di McLuhan è che ancora scrive libri”), ma soprattutto per come ha investigato il rapporto tra tecnologia e performance. 

"Dall’epoca dello Sputnik e dei satelliti, il pianeta è stato circoscritto in un ambiente costruito dall’uomo… che trasforma il globo in un teatro da repertorio che va programmato. Vivere sotto l’arco di proscenio dei satelliti porta i giovani ad accettare ora i luoghi pubblici di questa terra come spazi teatrali. Avendo questa sensazione, adottano costumi e ruoli e sono pronti a fare il loro gioco ovunque". 

 

La celebre frase del mediologo canadese racconta la fase del rilancio postbellico delle metropoli occidentali in cui i satelliti, protagonisti della galassia elettronica, iniettano una nuova euforia nella gioventù spettacolare che inizia a vivere la città come fosse un palcoscenico. Oggi Seoul è il palcoscenico delle nuove generazioni (ma non solo), mentre gli smartphone sono i satelliti “interni”, microfisici, capaci d’animare e diffondere il culto della performance attraverso tutti gli strati della società. Ogni situazione, anche la più estemporanea, è un’occasione colta al volo per partecipare a questo enorme spettacolo diffuso. Come nel micro-evento ripreso nella foto, in cui l'esecuzione di un musicista di strada, eccellente nel riarrangiare i testi sacri del britpop, è l'occasione ideale per una ballerina che, passando fortuitamente da quelle parti, decide di completare la performance con la grazia dei propri passi.

 

  

Lo smartphone è anche quel tipo di tecnologia che, ricollegandosi all’immaginario retrò di alcuni K-drama, consolida il legame tra performance, abito tradizionale e luogo. Si moltiplicano difatti a Seoul i villaggi tradizionali (dal Northern Village ad Hanguk) in cui è possibile affittare a costi ragionevoli un costume d’epoca e rivivere l’esperienza della Corea premoderna (uno degli affitta costumi garantisce a turisti e locali una “good experience”). I matrimoni veri o simulati sono fotografati da un team di fotografi nel corso di veri e propri shooting. Sono vari i motivi di questo ritorno nostalgico alle radici, molto diverso dalla pop-maniacalità giapponese dei Cosplayer. Da un lato l’ovvia esigenza di riscoperta delle radici, della storia, dell’archeologia, dall’altro la compensazione degli eccessi della vita ipermoderna, in rifugi simbolici in cui s’allenta la pressione del progresso, ma non s’attenua il piacere per la performance. 

 

  

Basta frequentare la metro di Seoul per capire questo concetto. Le vetrate anti-caduta della metro sono in realtà gli specchi su cui si testa la proverbiale ossessione per l’immagine di donne e uomini, ma è solo un controllo preventivo che precede l’ispezione più accurata che avverrà tramite la videocamera del proprio telefono. L’entrata nel vagone di una metro è straniante. Forse solo qui si palesa l’immagine di un mondo distopico in cui giovani e vecchi sono tutti, dico tutti, piegati sullo schermo del proprio telefono e intenti a consumare contenuti mediali o a chattare con i propri amici.

 

 

 

L’immagine di questa folla transgenerazionale ricurva sui propri schermi portatili rappresenta solo un volto della medaglia: quello fruitivo/introversivo che va completato con l’altro volto estroversivo/performativo del selfie. Queste due modalità sono complementari e intimamente connesse, come nella fluttuazione polare tra Yin e Yang che si abbracciano nel Tao della bandiera coreana. Senza l’apertura autoespressiva del selfie, la chiusura focalizzata degli individui sui propri smartphone sarebbe insopportabile. Seoul è la capitale mondiale del seflie non per motivi storici o tecnologici, ma semplicemente perché i coreani si fregiano di aver inventato il cosiddetto V sign: firma universalmente riconosciuta di ogni autentico autoscatto. 

 

Altro concetto chiave, quello di gamification, indica il modo attraverso cui l’idea di performance è gestita e incentivata dallo stesso sistema istituzionale che gestisce la smart city. Di fatto onnipresente nel sistema dei trasporti, dalla metro, ai taxi, agli ascensori, essa mira a rendere più sopportabile i tempi di percorrenza estetizzando il mezzo e intrattenendo l’utente. Così in attesa della metro si può vedere sugli schermi il percorso del trenino come fosse un videogioco anni ottanta. Quando la voce annuncia l’arrivo squillano le trombe, quasi a marcare il superamento di un nuovo livello. Così anche quando la vettura s’avvicina ad un hub da cui si può cambiare verso altre linee. Nei taxi il navigatore rappresenta una città in 3D sullo schema della prospettiva isometrica di Sim City. Anche quelli che girano in provincia raffigurano una città diversa, meno alienata e decisamente più divertente.

 

In alcuni ascensori, in primis quello della Namsan Tower, il soffitto è uno schermo che raffigura il cielo dal punto di vista di un razzo che sta per essere lanciato nello spazio. Il principio del game è essenziale anche nella sede della MBC – la principale emittente nazionale di musica K-pop e di K-drama – che ospita al pian terreno un vero e proprio parco a tema. Lì i fan delle numerose celebrity possono finalmente incontrare i loro beniamini in un luogo che, seppur sempre virtuale, è a metà strada tra l’olimpo delle nuove star e la vita di ogni giorno. Nei corridoi della MBC sfilano le presentatrici e le attrici di punta in questo momento. Esse incarnano il tipico stereotipo di bellezza femminile a cui si conferisce un valore sociale enormemente più elevato di quello concesso da altre culture. Si dice difatti che alle donne più avvenenti sia riservato un salario generalmente più alto cosicché tra i due aspetti – posizione lavorativa e livello di bellezza – s’instaura un perverso effetto di amplificazione in base al quale il raggiungimento d’una posizione di privilegio consente d’investire maggiori risorse nella cura del proprio corpo, anche grazie alla stradiffusa chirurgia plastica. Cosa che a sua volta ricade sulla posizione lavorativa aumentandone i benefit. 

 

Ma il raggiungimento di uno status davvero desiderabile non passa solo attraverso l’aspetto fisico, anzi, l’istruzione gioca un ruolo decisivo nel selezionare la classe dirigente che passa per i tre atenei più prestigiosi (indicate dall’acronimo SKY). Si parla apertamente di una “education fever” che trasforma il concetto di performance mostrandone il volto più oppressivo. Lo studio da quelle parti raggiunge una dimensione parossistica e disperatamente competitiva. Non stupisce il fatto che le biblioteche universitarie siano normalmente aperte 24 ore su 24. 

 

 

Il momento in cui la performance torna a respirare e ad aprirsi al mondo coincide con le celebrazioni del compleanno di Buddha, il vivacissimo Lotus Lantern Festival. Più di 100.000 lanterne trasportate da una moltitudine di gruppi, categorie sociali, e rappresentanze varie, che sfilano in un carnevale di carri luminosi e talvolta sci-fi, esibendo tutto il loro ottimismo e salutando il pubblico comodamente accomodato lungo i due margini della strada. Al di là del suo contenuto spirituale, questa manifestazione che dura da qualche migliaio di anni, ci ricorda il fatto che il culto della performance è ben più antico di quello incorniciato dai drama e dai telefoni di ultima generazione.

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