PERFORMISSIMA, un atlante di corpi in rivolta
Le pareti diventano membrane, le sale si traducono in piattaforme, il tempo viene dilatato. Venerdì 24 ottobre 2025, a Parigi, al Centre Wallonie-Bruxelles (127-129 rue Saint-Martin, nel IV arrondissement) si è dispiegata la seconda edizione di PERFORMISSIMA, il festival internazionale delle arti dal vivo nella loro dimensione più imprevedibile e audace. È un fatto che un centro istituzionale, collocato in pieno cuore della città, a due passi dal Centre Pompidou, ospiti un simile progetto, testimoniando un attraversamento, una mutazione già in atto.
Dal momento in cui l’attuale direttrice, Stéphanie Pécourt, ha preso il timone del Centre Wallonie-Bruxelles (fondato nel 1979 e da sempre impegnato nella promozione delle arti visive belghe in Francia), la scommessa è stata chiara: intraprendere un viraggio deciso, segnare un transito importante nel firmamento della creazione contemporanea, trasformando uno spazio espositivo in un dispositivo in/disciplinato, in un’officina di linguaggi, confermando quell’orientamento lungimirante e visionario del festival (definendolo xéno-festival) di dirigersi verso territori artistici al contempo radicali e conviviali: qui la contaminazione, la dissidenza, la permeabilità, la curiosità non codificata, sono pratica e non retorica. Dal canto suo, la curatrice e programmatrice fiorentina, Caterina Zevola – concependolo come una vera e propria agape delle forme – ha fatto di questo festival non una semplice programmazione ma una condivisione di spettacoli, una celebrazione della performance in/docile, un campo di migrazione cinestesica, visiva e sonora, dove ogni gesto, corpo, suono o immagine partecipa a un evento collettivo.
La seconda edizione di PERFORMISSIMA si inscrive nella continuità della prima, ampliandone durata e densità. In una giornata-maratona, dalle 12 fino a mezzanotte, il festival ha invaso il paesaggio architettonico del Centre Wallonie-Bruxelles e delle aree circostanti con modalità che oscillano tra in situ e hors-les-murs. Sessanta artisti, ventiquattro paesi, uso strategico degli spazi urbani: gallerie, piazze, sale teatrali, cortili, cinema, locali tecnici, esterni. Tutto è stato investito, la città entra nel teatro, il teatro entra nella città. Il pubblico è un fiume impetuoso che scorre. Curiosi, passanti, studenti, professionisti, amanti dell’arte circolano costantemente tra interno ed esterno, tra arte visiva e performance. La pluralità delle prospettive è totale. Sempre più imperante è la commistione, l’osmosi tra generi, linguaggi, contesti. Danza, teatro, installazione, video, musica e performance si fondono. L’esperienza è dinamica, energizzante. Il teatro convenzionale è sospeso.
Il meccanismo organizzativo è significativo: ingresso gratuito su prenotazione, fasce orarie d’arrivo per favorire la fluidità, un unico braccialetto d’accesso valido per tutti gli spettacoli. Un format che invita all’immersione, alla mobilità, alla costruzione di un proprio percorso individuale ma, allo stesso tempo, comunitario. Comporta anche una sfida per lo spettatore che, diventando parte attiva, è pronto a scegliere, a perdersi, a ritornare, a rinnovarsi. È impossibile vedere tutto. Occorre accettare l’imprevisto. La diversità geografica e culturale è una delle peculiarità del festival. La programmazione intreccia Belgio, Francia, Svizzera, Italia, Iran, Kazakistan, Sudafrica, America del Nord, etc. Una vera ambizione transnazionale, sensibile alle contaminazioni, incline alla cross-disciplinarità. Un mosaico che valorizza le individualità più che un’estetica uniforme. L’assenza di gerarchie democratizza la scena e amplifica la performance come linguaggio globale. Con una trentina di artisti locali (Bruxelles/Wallonie) e altrettanti internazionali, tra artisti affermati e emergenti, il panorama è ampio.
Alle 12, dunque, l’ouverture hors-les-murs: alla Maison du Danemark, ai Beaux-Arts di Parigi, all’Atelier Néerlandais. Dalle 15, apertura del Centre Wallonie-Bruxelles e della Galleria Talmart (spazio satellite) e l’avvio delle installazioni e delle performance, ciascuna di circa trenta minuti. La fruizione e la temporalità non sono lineari. Questo spazio/tempo espanso – dodici ore senza frontiere rigide, in cui i codici della sala teatrale sono sospesi e il pubblico è libero di muoversi – è un altro dei tratti distintivi del festival. Meno “spettacolo da seduti”, più collisione di gesti e corpi in azione. Un fermento non casuale, diverse linee di forza strutturano la giornata. Il festival disegna una mappatura mutante della performance, pienamente riconosciuta come atto disturbante, sovversivo, ponendo il corpo come campo politico, in lotta, in riflessione, in resistenza.
Alle 15, in piazza, davanti al Centre Wallonie-Bruxelles, l’azione inaugura la festa: con My inner child may contain a sweet violence Sophia Rodriguez Goldberg (BE/VE) e una classe di studenti ESAC (BE) mettono a confronto innocenza e violenza, brandendo armi di cioccolato che mordono e lasciano tracce. Dolcezza che si fa rivolta, infanzia che insorge contro il mondo adulto, ribellandosi al suo destino, colando zucchero e ferite. Subito dopo, in This is la mort, la potente epifania di Zoé Lakhnati (BE/FR) che, in armatura e danza sequenziata, lavora sull’erosione, il disfacimento delle figure eroiche, e delle icone del body-building, del corpo perfetto, vincente, impenetrabile, capitalista, che si scompone, si disgrega. Nel frattempo, con un intervento ludico e politico in una performance potenzialmente incalzante, Fulfilling Your Expectations, Christian Falsnaes (DK) fa risuonare l’autorità dello spettatore, interrogandolo, dandogli degli ordini (“correte, urlate, abbracciatevi”…), incrinando, destabilizzando libero arbitrio, partecipazione e responsabilità. Poi ancora, Aïda Adilbek (KZ), curatrice e artista multidisciplinare kazaka che, in Erte, erte, ertede… (Once upon a time), annoda racconto poetico, performance, trama d’ombre e proiezioni, sondando i temi della femminilità, dei codici culturali e della vita domestica, evocando una regione remota dell’Asia Centrale, segnata dalla memoria dei primi minatori d’oro, sospesa tra presenza e scomparsa. Il rituale oscuro e magnetico di Echo Dance of Furies del collettivo Dewey Dell (IT) – composto da Teodora e Agata Castellucci, Vito Matera e Demetrio Castellucci – che fonde una danza ipnotica, frenetica, con una dimensione quasi sabbatica, istintiva, in cui il corpo si fa medium, trafitto da pulsazioni terrestri e archetipiche, attingendo a memorie ancestrali, mitologie, sculture votive popolari, ex-voto anatomici, simbologie pagane, tessendo una coreografia dell’allerta. Ancora, la lunga performance a due voci di Emma Saba (IT/CH) con Jeanne Paris (FR/CH), sospesa tra confessione, rivelazione e incantazione, in Jalousie des tempêtes!!, dove tra memoria, canto, danza, reinterpretano in chiave lirica un’archeologia femminista dello “spettacolare”, rendendo il pubblico compagno coinvolto della loro drammaturgia corporea. Invece, ispirandosi ai poemi di Pier Paolo Pasolini, Salvatore Calcagno (BE/IT) con Antoine Neufmars (BE) presentano Appartamento, una creazione che scandaglia solitudine, desiderio, vulnerabilità, marginalità e alterità in uno spazio privato come luogo in riformulazione, invitando una relazione diversa con lo spettatore, più ravvicinata, più tattile. Béryl Coulombié (FR) che, nella sua Fontaine (2023), già entrata nelle collezioni nazionali dei Beaux-Arts di Parigi, reinterpreta, decostruisce, smonta norme e identità sessuali. Al festival, si chiude in un locale per le immondizie, si mette in verticale, gioca con vergogna e esibizione: il corpo non è più oggetto di spettacolo, ma campo d’esperienza e d’impegno. E non meno potente, Tiran Willemse (ZA/CH), artista sudafricano con base in Svizzera che, con Blackmilk (2020), si confronta con le tracce di George Floyd, sulla memoria della violenza e sulla performatività del corpo nero, incappucciato, pugno levato, nello spazio pubblico, risvegliando la risonanza politica del gesto, mettendo in gioco questioni di razza, colonialismo, esposizione. Si aggiunge la performance queer-sperimentale e critica identitaria di Gui B. B. (QC), residente in Quebec, che, in On The Edge Of The Swamp I Shot This Old Piece Of Skin, interroga la teatralità, la voce, la vulnerabilità, la costruzione del mondo, l’impostura e il corpo trans-femminile, mediante l’ironia come strumento d’indagine, utilizzando voci, elementi di fantascienza e anche oggetti D.I.Y (acronimo di Do it Yourself), assemblati, composti e creati autonomamente.
La lista degli altri artisti sarebbe lunga da elencare…
In chiusura di serata, alle 22.30, in teatro, a capienza limitata, la performance DJ set di Bunny Dakota (alias Martina Ruggeri, metà del duo Industria Indipendente), artista che, combinando archiviazione sonora e ritmi impulsivi, converte la musica in un gesto politico, ancorato sul non allineamento alle temporalità normative, elettrizzando e scuotendo il dance floor, ribaltando la passività dello spettatore portandolo a divenire un organismo vibrante, in comunione. Alle 23.15, il suono-club e DJ set dell’iraniana Neza Azadikhah (IR), fondatrice della piattaforma Deep House Tehran, dedita alla visibilità delle donne iraniane nella musica elettronica. Centrale il progetto Woman, Life, Freedom, da lei promosso insieme ad altre artiste. Il suono techno/ambient diventa così un veicolo di emozione e resistenza. Il pubblico non è chiamato a guardare, ma ad abbandonarsi, a entrare dentro la musica.
Questa seconda edizione di PERFORMISSIMA ha mantenuto le promesse: traboccante, intensa, protettrice del rischio, custode dell’azzardo. Un atto di sopravvivenza, un esercizio collettivo di resistenza poetica e civile. Una traiettoria feconda per le arti performative europee, un laboratorio in continua metamorfosi che si reinventa, allarga i confini, prolifera in nuove forme. E conferma che la performance non è un margine, bensì un territorio centrale della creazione contemporanea. Alla fine quando le luci si abbassano, rimane il riverbero, l’eco viva che i corpi possono ancora inventare tempi, luoghi. Che non siamo spettatori passivi ma protagonisti attivi di un banchetto rituale. Che la performance è la forma che ci salva – ci salva perché ci fa uscire dall’inerzia, ci fa incontrare, ci fa pensare con la carne, con il suono, con lo spazio. In un mondo che tende a normalizzare, a anestetizzare, a controllare, PERFORMISSIMA propone la dissonanza, la sorpresa, la deriva. Come un atlante dei corpi in rivolta che fanno esperienza, che si spostano, che si espongono. E che ci ricordano che è necessario abitare l’evento, non solo osservarlo.
Così, il Centre Wallonie Bruxelles, e con lui la città, Parigi, diviene punto di partenza, non di arrivo. E noi, partecipanti o semplici passanti, ci riscopriamo viaggiatori di un’odissea, quella del corpo, del gesto, dell’azione che resiste, che si ostina ad opporsi al tempo.

Gianni Forte è drammaturgo, regista, attore, traduttore.
Dal 2025 al 2027 è direttore artistico inter/nazionale dei Teatri di Bari.
Dal 2021 al 2024 è stato co-direttore artistico del settore Teatro della Biennale di Venezia.
Dal 2023 è membro del CdA del GIFT International Festival di Tbilisi, in Georgia.
Nel 2006 ha co-fondato e diretto l'ensemble ricci/forte performing arts.