Emil Nolde, il Mago del Nord

29 Settembre 2014

Algida, come deve essere la mostra di un espressionista i cui turbamenti sono travolti dal colore, e graziata da un uso discreto delle luci, la retrospettiva che il magnifico Louisiana Museum of Modern Art – trentacinque kilometri a nord di Copenaghen, sullo stretto di Ooresund – ha organizzato per riassumere l’opera di Emil Nolde, si presta a rendere eclatanti, nell’immacolato rigore del suo allestimento, i travagliati contrasti di cui fu seminato il tragitto artistico e personale dell’artista tedesco. Divisa in undici capitoli tematici, che assecondano una cronologia volutamente approssimativa, la mostra consiste di centoquaranta lavori, tra cui prestiti da collezioni private e opere su carta mai esposte fuori da Seebüll, dove Nolde morì e dove è conservata gran parte della sua opera.

 

1912. Kerzentänzerinnen e The Nativity1912. Kerzentänzerinnen e The Nativity

 

Tutta l’esistenza dell’artista oscillò tra opposte polarità, non soltanto della fortuna ma delle scelte pittoriche e tematiche di volta in volta piegate a rendere conto dello iato tra ciò che la sua fama gli restituiva di sé e ciò che avrebbe voluto depositare negli annali della storia. L’esordio, nel 1895 con I giganti della montagna, prefigura il gusto per il grottesco e la predilezione per temi fantastici, che si sarebbe riaffacciata in opere tarde: a quel tempo Nolde era un entusiasta ammiratore di Arnold Böcklin, la cui arte veniva celebrata come alternativa alla pittura francese. Ma parallelamente, la sua passione andava a quanto non è civilizzato, all’arcaico, all’antimondano: elfi, folletti e streghe gli furono più vicini degli dei dell’antica Grecia, commentò Walter Jens, e in effetti sembra che un mondo di figure straniate assedi la sua immaginazione. Nolde tentò di esporre I giganti alla mostra di Monaco del 1897, ma l’opera non venne accettata. Il tempo avrebbe riscattato quel suo insuccesso premiandolo, in coincidenza con il suo sessantesimo compleanno, con un tour di 460 mostre per il quale il gallerista Rudolf Probst preparò un volume di scritti in suo onore con contributi di Paul Klee e Paul Westheim.

 

1915 Burial1915 Burial

 

Alla fine del 1920 le opere di Nolde erano esposte in ventuno musei e durante la Repubblica di Weimar era di gran lunga l’artista più acclamato della sua generazione; ma quella smorfia beffarda che le sue figure esibiscono in molti dei suoi quadri si proiettò sui fatti della vita: l’artista corteggiò insistentemente il nazismo e nonostante questo la sua arte venne bandita. 1102 dei suoi lavori furono rimossi dai musei tedeschi, 33 dipinti e molti altri acquarelli furono esposti a Monaco, quali esempi di arte degenerata. Mentre si sforzava di combattere la diffamazione del suo lavoro, Nolde enfatizzava tuttavia la sua appartenenza al partito nazionalsocialista, e tutta la vita si adoperò a contrastare le infiltrazioni dell’arte straniera in Germania. Dal 1941 venne diffidato dal proseguire la sua professione in qualsivoglia forma, intanto però dipingeva freneticamente, dedicandosi al ciclo che avrebbe poi nominato “pitture non dipinte”, una serie di oltre 1300 piccoli acquarelli popolati da figure enigmatiche tratte dal folklore e dalle leggende locali.

 

 

Si definì un «copista della propria immaginazione», virtù nella quale confidava, ma tutte le sue mostre, lungi dal registrarlo come un esecutore pedissequo dei suoi dettati immaginativi, ispirarono recensioni intensamente emotive, nel bene e nel male: di certo furono pochi i critici che si congedarono dall’opera di Nolde immuni dall’intensità che gli effetti delle sue tele e dei suoi acquarelli ancora oggi comunicano.

 

Come scrive Felix Krämer nel saggio inaugurale del catalogo (Prestel 2014), il pittore – un nazionalista tedesco con passaporto danese – aveva buon gioco nello spacciarsi come una semplice e onesta anima di campagna, ma è pur vero che padroneggiava da supremo maestro tutti i meccanismi del marketing, consacrandosi alla vendita delle sue opere con l’abilità di un consumato uomo d’affari. Quattro volumi di scritti autobiografici, pubblicati a partire dal 1931, smentiscono le sue dichiarazioni circa l’impossibilità di spiegare il proprio lavoro se non tramite la sua stessa arte, della quale si sforzò invece di rendere noti gli intenti ogni qual volta gliene veniva fornita l’occasione.

1921 Verlorenes Paradies1921 Verlorenes Paradies

 

Parigi, capitale imperdibile delle arti alla fine del XIX secolo, lo accolse a partire dall’ottobre del 1899: Nolde studiava al Louvre dove dipinse una copia della Allegoria coniugale di Tiziano, e intanto assorbiva dal vocabolario pittorico degli impressionisti suggestioni non sempre consapevolmente introiettate. Dall’inizio del nuovo secolo fu attratto dalle coste danesi, che ritrasse immergendosi nella luce degli orizzonti e nelle oscurità scintillanti dei canali. Secondo quanto lui stesso scrisse, fu nell’estate del 1901 a Lildstrand, villaggio di pescatori nel nord est dello Jutland, che si consumò il suo divorzio dalla realtà, dando luogo inizialmente a piccoli disegni popolati di strane visioni, creature mitiche, animali curiosi, figure mostruose.

 

1930 Mrs T. with a Red Necklace

   1930 Mrs T. with a Red Necklace

 

Dal 1903, insieme alla moglie Ada Vilstrup, una attrice che si sarebbe fanaticamente impegnata nella difesa della sua arte, scelse di vivere a Als, l’isola del mar Baltico dove passò tredici anni abitando in una precaria capanna di pescatori sulla spiaggia. Fu dopo il matrimonio che cambiò il suo nome, mutuando il nuovo dal luogo dove era nato, e enfatizzando così l’investimento sentimentale nelle sue origini.

 

Pennellate più luminose e colori più tenui accompagnano questi anni baltici, ma allo stesso tempo Nolde cominciava a sperimentare quei colori brillanti che avrebbero costituito una tra le sue più riconoscibili cifre stilistiche. Fu nell’estate del 1906, quando fiori e giardini invasero la tela, che scoprì nel colore un elemento di significazione autonomo dagli altri contributi della tecnica: Monet e van Gogh erano sullo sfondo, del resto già da anni studiava intensamente gli impressionisti francesi. Fu proprio il fascino esercitato dalla “tempesta di colori” che dà il titolo alla seconda sezione della mostra che indusse il gruppo della Brücke a invitarlo a raggiungerli, tramite una lettera di Karl Schmidt-Rottluff, che gli trasmetteva l’onore di avere tra loro, enfatici sostenitori della spontaneità e del libero uso di forme e colori, l’autore di una simile esplosione cromatica. Ma l’adesione di Nolde, di circa quindici anni più vecchio degli altri artisti della Brücke, durò poco: «c’è molto di loro che vorrei fosse diverso da com’è e questa preoccupazione mi occupa la mente, mentre devo concentrarmi intensamente e ogni distrazione va a detrimento della mia arte» – scrisse poco prima di abbandonare il gruppo.

1931-35 Tier und Weib1931-35 Tier und Weib

 

I dipinti di fiori presenti in mostra, appesi vicinissimi gli uni agli altri, come fossero il tessuto di una tappezzeria, rendono più evidente il progressivo dissolversi dei contorni a vantaggio del colore, che guadagna spazio fino a rendersi medium privilegiato di ogni espressività. In mostra al Louisiana, il Giardino di Burchard del 1907, le Viole del pensiero e il Giardino fiorito senza figure, entrambi del 1908, offrono un saggio esemplare delle moltissime variazioni sul tema al quale la pittura di Nolde venne più spesso associata. Circa dieci anni più tardi, quando traslocò nella cascina di Utenwarf, sulla costa orientale, allestì un suo proprio giardino e tornò a applicarsi intensamente agli acquarelli floreali cui resta legato il suo nome; ma se prima il colore si era spinto a dissolvere la forma fino a sfiorare l’astratto, ora invece i fiori dipinti sembrano artificiali splendori coltivati nel corso di lunghe meditazioni sui dati di realtà che gli scorrevano sotto gli occhi.

 

1948 Bewegtes Meer1948 Bewegtes Meer

 

E fu proprio per reagire alla sua fama di pittore di giardini che Nolde inaugurò il ciclo dei dipinti biblici, soggetto religioso già anticipato nel 1906 dal quadro titolato Spirito libero, che lo stesso artista considerava centrale nello sviluppo della sua opera: lo compongono quattro figure, in piedi su uno sfondo blu elettrico, piazzate come fossero su un palcoscenico. Nessun senso di profondità, né ombre a turbare la superficie piatta del quadro. Al centro, in posizione frontale, la figura nella quale lo stesso autore si sarebbe a posteriori identificato; intanto, nei suoi scritti Nolde testimoniava la tremenda lotta con il colore e con i mezzi che fino a allora la tecnica gli aveva fornito, arrivando a confessare come tutto ciò che aveva appreso dovesse essere reimparato da zero.

 

 

Tre anni dopo, avendo sfiorato la morte per un avvelenamento causato dall’acqua inquinata di un villaggio vicino al mare del Nord, l’artista tedesco tradusse questo scampato pericolo in una rinnovata libertà espressiva, dalla quale derivò le prime tre figure tratte da leggende bibliche, Pentecoste, L’ultima cena e Cristo deriso, tutte del 1909, tele il cui espressionismo veniva messo al servizio di un «irresistibile desiderio di ritrarre la spiritualità, le religione e la passione… ma senza tanto saperne né rifletterci su». Di lì al 1951 avrebbe dipinto cinquantuno opere di soggetto sacro, le uniche delle quali Nolde fornì una sorta di catalogo, registrate come pietre miliari della sua opera.

 

E, in effetti, di tutta la retrospettiva allestita al Louisiana, questa sezione che raccoglie tele alle quali risalgono le memorie delle notti di infanzia passate a leggere la Bibbia, segnano il passagio artistico che meglio testimonia della inquietante grandezza del pittore tedesco. Con buone ragioni Nolde stimò il dipinto della Deposizione di Cristo, del 1915, come «il più bello mai creato da tempo»: le figure di Nicodemo, Giovanni e Giuseppe di Arimatea, nelle loro lunghe tuniche sorreggono affannati il corpo di Gesù accasciato: solo il blu e il giallo sopravvivono al ritrarsi del colore di fronte alla pietà che deforma i corpi offesi dallo sforzo e dal dolore, mentre la testa del Cristo emerge appena dal braccio che la sorregge, quasi soffocata nella presa.

 

 

Ovviamente accolte con espressioni di scandalo, le pitture religiose che Nolde trasse dal Vecchio e dal Nuovo Testamento furono interpretate come una inedita, personalissima rivelazione occorsa all’autore. Non a caso, l’architetto Paul Schultze-Naumburg, fra i principali artefici della ideologia artistica nazista, usò l’olio che raffigura Il paradiso perduto, del 1921, a dimostrazione della tesi per cui nell’arte moderna si sarebbe rispecchiata la degenerazione della razza. Nelle figure di Adamo e Eva, animate da uno spontaneismo quasi primitivo, gli occhi sgranati tradiscono sfida e reciproco disprezzo. Prosperosa, con bocca e capezzoli infiammati dal peccato, Eva testimonia nel rossore risalito fin sulle guance la colpa e la vergogna: non soltanto causò sofferenza e mortalità ma dal suo peccato discese la separazione dei sessi, che Nolde rappresenta mettendo al centro del quadro, come una barriera divisoria tra le due figure, uno scarlatto albero della conoscenza con il verde serpente attorcigliato.

 

Sea with Light Violet CloudSea with Light Violet Cloud

 

La sua pittura sconvolgente, vulcanica nell’esplosione del colore, è quella di un animo profondamente reazionario, che aveva interiorizzato la concezione dell’artista come genio, graziato da doni speciali, condannato a percorrere la sua strada in solitudine, come un martire o un profeta. Prelevò temi per la sua pittura tanto dalla remota regione natia al confine tra la Germania e la Danimarca quanto da quella vibrante metropoli che già era Berlino, dove passò quasi tutti i suoi inverni a partire dal 1905; alla depravazione morale dei costumi cittadini opponeva la idealizzazione della vita di campagna, e non a caso partecipò a una delle ultime missioni nelle colonie germaniche, che lo portò fino in Nuova Guinea dove sperava di trovare ancora gli «originali» della razza umana.

 

Dopo l’ascesa del nazismo, grazie a lavori che pescano nei reami del fantastico e in figure mitologiche rese familiari dalla frequentazione delle opere di Böcklin, Nolde si guadagnò la fama di Mago del Nord; ma mentre i responsabili del partito dibattevano su quale fosse l’arte che il nazionalsocialismo avrebbe dovuto sostenere, il pittore venne iscritto alle fila dei «banditi». Sono di questi anni quelle che chiamò le sue «escursioni nel mondo dei sogni, delle visioni, della fantasia sregolata», acquarelli dipinti in un angolo remoto della sua casa, alcuni dei quali avrebbe poi trasferito su tela. Se li definì non dipinti è perché intendeva negare loro ogni forma di esistenza, tanto che non permise a nessun frequentatore abituale dell’arte di vederli, e ne affidò la custodia ad alcuni amici, che li conservarono a memoria di uno tra i vertici della tarda stagione espressiva di Nolde.

 

Questo testo è già uscito su il manifesto

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